Ragazza mai: intervista a Sara Serraiocco | Rolling Stone Italia
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Ragazza mai: intervista a Sara Serraiocco

«Non mi sono mai sentita ragazza. O donna o bambina». Ventisei anni portati con grande serietà, la stessa che mette nel suo mestiere di attrice

Al cinema sarà una testimone di Geova molto “inquadrata”, che si innamora di un ragazzo di borgata (La ragazza del mondo, di Marco Danieli, con Michele Riondino, dal 3 novembre nelle sale). E – anche se in questi scatti per RS la vedete molto rock – durante una lunga chiacchierata abbiamo scoperto che Sara Serraiocco è un’attrice disciplinata e seria – un po’ “inquadrata” quindi – che non ama i party e il gossip. Nonostante i suoi 26 anni non ce la fa proprio a mettersi nei panni di una ragazza, meglio quelli di una donna dice. Una donna speciale che a fine intervista se ne va canticchiando My Funny Valentine.

Cosa ti piace del personaggio che hai interpretato ne La ragazza del mondo?
Di Giulia mi piace il fatto che sia una ragazza “normale”, nonostante sia cresciuta all’interno di una comunità religiosa molto forte, con delle sovrastrutture mentali pressanti che le hanno scatenato una marea di sensi di colpa. Di lei mi piace anche la curiosità nel porsi le prime domande, che non sono per forza legate al suo credo in Geova, ma a come mai una religione debba impedire di proseguire gli studi e di frequentare le persone “del mondo”.

Hai incontrato “qualche Giulia” nelle fase di preparazione del film?
Sì, Giulia è un personaggio che potrebbe esistere veramente, dato che è ispirato a una storia vera. I testimoni di Geova nella nostra società sono tanti e tra loro ci sono ragazze che si devono rapportare con la nostra generazione di ragazzi che è completamente diversa, cresciuta con altri valori.

C’è molta differenza tra i tuoi valori e quelli del tuo personaggio?
Mah, io ho trovato soprattutto analogie, perché anche nella religione cattolica ritrovo i sensi di colpa da cui questa ragazza viene oppressa. È un personaggio universale e di lei mi porto dietro la voglia di emancipazione, perché all’interno della comunità dei testimoni di Geova si ha una rappresentazione della figura della donna un po’ arcaica, una concezione patriarcale che c’è nel Sud Italia da dove vengo io. Ho ammirato la voglia di emancipazione di questa ragazza che vuole proseguire gli studi e affermarsi, nonostante la sua religione glielo impedisca.

Nel film l’emancipazione di Giulia sembra seguire il percorso dei suoi baci, da un bacio sulla guancia fino a…
Il primo bacio è a stampo all’interno della fabbrica, il secondo è senza lingua, nel terzo ci mette la lingua. La prima volta si scansa, il secondo è molto trattenuta, tant’è che non sa dove mettere le mani e si irrigidisce; lui le chiede se ha fatto qualcosa di male e lei risponde che per voi tutto questo è normale, e dopo quando inizia ad andare con lui, vabbè… si lascia andare.

RS Ma non fanno subito sesso…
La sceneggiatura è molto ben calibrata. Ci sono dei passaggi che magari lo spettatore non nota: lei non arriva subito al rapporto completo e, anche nel momento in cui masturba il ragazzo, non gli guarda il membro; quando lui arriva all’orgasmo c’è un’esitazione da parte di Giulia. È un processo graduale, anche la prima volta che fanno l’amore, lei è rigida durante la penetrazione. Il regista ha voluto far crescere Giulia all’interno della storia che, in realtà, ricopre temporalmente molti mesi, anche se noi la vediamo compressa in un’ora e mezza.

Cosa c’è ora di “tuo” ne La ragazza del mondo?
C’è molto da un punto di vista emotivo. Sono andata ogni sabato alle adunanze pubbliche dei testimoni di Geova, per capirne i gesti. Ma queste sono cose che impari anche senza una scuola. Per me è fondamentale capire il personaggio prima di tutto fisicamente. Ho conosciuto una ragazza che si è allontanata da una comunità in cui la obbligavano a stare con la schiena dritta, a non dire parolacce, a parlare in una certa maniera e a non tingersi i capelli. Ci sono tutte queste regole rigide che fanno sì che si riconosca subito una ragazza cresciuta in ambiente geovista. La ragazza ex testimone di Geova che ho conosciuto, per esempio, adesso cerca in tutti i modi di vestirsi in maniera provocante, però senza mai sentirsi realmente a suo agio.

So che hai appena finito di girare un film, ne usciranno altri due nelle sale tra poco. Come scegli i tuoi lavori?
Leggo ovviamente la sceneggiatura, anche se non sempre ti viene data subito, quindi è importante l’incontro con il regista e se tra di noi scatta empatia o no. Sono gli incontri che cambiano la prospettiva del lavoro, a me succede sempre. Per esempio c’è stato l’incontro con Giovanni Veronesi (regista di “Non è un paese per giovani”, film che uscirà nel 2017 e che ha Sara tra i protagonisti, ndr): fin dal primo istante in cui ci siamo ritrovati al provino è nata un’empatia molto forte e da lì ho capito di voler lavorare con lui. Sul suo set mi sono lasciata completamente andare.

Ho letto che hai un ruolo particolare…
È un ruolo che mi ha messo a dura prova anche perché ho deciso di rasarmi a zero, ma non vorrei si focalizzasse l’attenzione su questo, credo che la mia recitazione debba essere considerata allo stesso livello del gesto che ho fatto perché altrimenti non andrebbe bene. È la mia prima commedia, anche se forse è sbagliato definirla solo così, perché il mio è un ruolo veramente intenso, come lo è quello che hanno gli altri due attori, Filippo Scicchitano e Giovanni Anzaldo.

Entro l’anno invece sarai nelle sale con un altro film, Brutti e Cattivi.
È l’opera prima di Cosimo Gomez, dove interpreto “la Ballerina”, una donna nata senza braccia. Parla di una banda di disabili alle prese con una rapina; io sono la mente della banda, mio marito (Claudia Santamaria, ndr) non ha le gambe. È stata una prova molto dura fisicamente, perché ho dovuto fare tutto con i piedi, truccarmi, mangiare… E senza controfigura.

Questo tuo personaggio mi ricorda la Marion Cotillard di Un sapore di ruggine e ossa…
È un’attrice che ammiro moltissimo. Per Brutti e Cattivi abbiamo usato il Vfx, lo stesso effetto speciale del film di Jacques Audiard.

Hai studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Quando hai capito che volevi fare l’attrice?
L’ho deciso quando ho cominciato a recitare nella fiction R.I.S. Ero iscritta a un’agenzia di pubblicità, facevo provini per spot, ma non immaginavo che avrei mai recitato in un film. All’epoca insegnavo danza, poi ho avuto un grave infortunio, mi sono rotta la caviglia e da lì…

Foto: Giovanni Gastel

Foto: Giovanni Gastel

Sei appena stata al Festival di Venezia, dove hai vinto il Premio Pasinetti come miglior attrice. Hai fatto un po’ di vita modana? Party, cene di gala…
Non mi interessa, sono fatta così. Vado al lavoro torno a casa e stop. Sto con il mio fidanzato, vado al cinema, a fare una passeggiata, a mangiare fuori, cose normali. Non mi piace andare agli eventi, ai party.

Ora che hai quattro film in uscita, sai che si parlerà un po’ di te, interviste, articoli eccetera…
Spero si parli dei film e di me, ma solo in quanto attrice. Non mi interessa mostrare altri lati di me che non siano legati al mio lavoro, non penso nemmeno possano interessare agli altri. Io non mi chiedo mai come possa essere un attore o un’attrice al di fuori di quello che mostra nel film.

Mi sembra che tu prenda molto seriamente il tuo lavoro.
Se io non mi fossi concentrata così tanto sul lavoro non avrei ottenuto gli stessi risultati. Poi magari ci sono attori con un talento particolare che non ne hanno bisogno.

Ci credi nella “magia” del talento?
Non molto. So perfettamente quali sono i miei limiti, nella danza ne avevo parecchi, e l’esperienza da ballerina mi ha aiutato tanto a capire quali sono i miei punti di forza e i miei punti deboli. Questa è una cosa che ho ritrovato nella recitazione: capire se stessi a livello artistico. I propri punti di forza si individuano in maniera molto naturale, mentre i punti deboli li scopri piano piano, almeno per me è così. Ma non voglio certo dirti quali siano i miei punti forti e i miei punti deboli come attrice. (Sorride).

Avevo ragione quando ti dicevo che ti prendevi sul serio! Hai 26 anni, sei ancora una ragazza…
Non mi sono mai sentita ragazza. O donna o bambina – e a volte mi sento ancora bambina – penso sia una cosa comune a molti artisti, anche se mi vergogno a dire questa parola… artista. Penso che per interpretare un personaggio senza doverlo giudicare sia necessario essere capace di tornare bambini.

Nelle foto che hai scattato per Rolling Stone ti vedi donna o bambina?
In alcune sono donna, in altre bambina. Ragazza mai, non mi piace essere ragazza. Non mi sono mai piaciuti i vestiti da ragazza, sono molto meglio quelli da donna. Non dico che mi sento diversa dalle mie coetanee: siamo donne, abbiamo 26 anni, non siamo più ragazze.

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