Quincy Jones: «Volevo diventare un gangster» | Rolling Stone Italia
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Quincy Jones: «Volevo diventare un gangster»

Abbiamo incontrato la leggenda della black music e sua figlia Rashida, regista del nuovo documentario ‘Quincy’, disponibile su Netflix dal 21 settembre. «Mio padre ha una curiosità insaziabile e sogni talmente grandi che per realizzarli servirebbero due vite»

Quincy Jones: «Volevo diventare un gangster»

«La musica mi ha dato libertà. Non troviate sia incredibile che da più di 700 anni usiamo tutti le stesse 12 note? Tutti! Bach, Brahms, Beethoven, Basie, Bird, Bo Diddley… Le stesse 12 fucking note! It’s heavy, man».

Così sentenzia enfaticamente Mr. Q (soprannome datogli da Frank Sinatra) per tanti un amico, per alcuni padre, marito e mentore, per tutti gli altri del business un imprenditore che ha saputo sviluppare il proprio brand Quincy Jones, esplorando tutti gli aspetti dell’universo musicale, prima come musicista e arrangiatore, poi come produttore, compositore (il primo afroamericano a comporre colonne sonore per il cinema), media mogul (fondatore della rivista Vibe), attivista sociale (ha sostenuto Martin Luther King, Jr. nell’importante Operazione Breadbasket) e infine filantropo e fonte di ispirazione per generazioni a venire.

Nel nuovo documentario scritto e diretto da Rashida Jones (figlia della terza moglie Peggy Lipton), in collaborazione con Alan Hicks e disponibile su Netflix, Quincy Jones racconta la propria vita intercalando momenti tra passato e presente della propria carriera leggendaria, le performance con le prime band e il mondo del bebop, Count Basie, Lionel Hampton, Duke Ellington, Frank Sinatra, durante le registrazioni in studio con Michael Jackson, sul set con Oprah Winfrey e Steven Spielberg, interviste con Dr. Dre e Kendrick Lamar, immagini intime e personali con la famiglia, problemi di salute (ha rischiato tre volte la vita, l’ultima delle quali per un aneurisma cerebrale) e i vari riconoscimenti artistici e umanitari degli ultimi anni.

Nato poverissimo nella zona del South Side di Chicago durante la Grande Depressione, a 11 anni lo vediamo armato di pistola. «Sono cresciuto sognando di diventare un gangster, volevo emulare quello che vedevo intorno a me». Con la madre Sarah Frances ha sempre avuto un rapporto difficile, soprattutto dopo che viene internata in una clinica per malattie mentali (schizofrenia) quando Quincy ha 7 anni. «A quel punto mi sono detto che siccome non avevo una madre avrei dovuto trovare una alternativa. Fortunatamente invece di diventare un gangster ho scoperto la musica».

Per cercare di mantenere la famiglia il padre di Quincy si trasferisce a Seattle. «Siamo partiti nella notte come dei ladri, perché avevamo tutti paura che mia madre potesse tornare ad ucciderci. Seattle è stato il primo posto dove ho iniziato a comporre canzoni. Pioveva sempre e non sapevo cosa fare, avessi vissuto in un’altra città non so se sarei diventato compositore. Li ho scoperto il mio amore per la musica, ho iniziato suonando il piano, per poi suonare di tutto, corno, trombone, tamburo, percussioni, alla fine ho deciso per la tromba». Strumento che ha smesso di suonare per questioni di salute. A 14 anni è nella band di Count Basie e poi con Lionel Hampton. «Suonavo la sera e poi passavo le nottate in giro per i club ad ascoltare bebop. Così ho conosciuto il favoloso Ray Charles. Mi manca da morire, fosse vivo saremmo in giro a suonare e fare qualche cazzata! E’ merito suo se ho imparato ad apprezzare diversi stili di musica, ed è il primo ad avermi insegnato a leggere la musica in braille».

Dopo lo vediamo a New York, dove inizia a fare arrangiamenti per Ray Charles, Sarah Vaughan e Dinah Washington, ma nonostante il successo, il colore della sua pelle sembra sempre un problema, un ostacolo. «Nessuno mi voleva per arrangiare un’orchestra di archi, quindi sono partito per Parigi per studiare con Nadia Boulanger, l’insegnante di Igor Stravinsky, e il mitico Leonard Bernstein». E come si dice, the rest is history… con tanto di successi con Sinatra e Fly Me to the Moon, 27 Grammy Awards, Michael Jackson e Thriller, (ancora oggi l’album più venduto nella storia) la sua induzione alla Rock and Roll Hall of Fame, una carriera che lo ha portato ad essere uno dei pochi EGOT nel business, acronimo che sta ad indicare vincitore di Emmy, Grammy, Oscar, e Tony.

A Toronto c’era anche Rashida Jones. «Mio padre ha una curiosità insaziabile, non sa smettere di imparare, di raccogliere dati, di provare nuove esperienze… Si fermasse morirebbe. Ha dei sogni talmente grandi che per realizzarli gli servirebbero due vite. Ancora oggi, a 85 anni, papà scrive musica a mezzanotte, quando le sue muse sono svegli e e lo vanno a trovare e non finisce prima dello spuntare del sole». Il suo album Back on the Block del 1989, con Ice-T, Big Daddy Kane, Sarah Vaughan e Dizzy Gillespie è stato il primo a unire Rap e Jazz ed è tuttora fonte di ispirazione per giovani musicisti come Kendrick Lamar.

Nel 2016 ha aperto il primo Q’s Bar & Lounge al Palazzo Versace in Dubai, nuova sede di live performance e possibile franchise per altre città. Nel prossimo futuro, a parte un ruolo come ambasciatore del Montreux Jazz Festival, dove ha promesso gli ultimi due show della carriera di Sir Elton John per il 2019, anche un progetto con il regista Steve McQueen per un nuovo centro di performing arts; parte della High Line in New York, e anche American film: the Black Experience, documentario sulla storia del cinema USA vissuta dall’esperienza diretta degli afroamericani, prodotto con Cheryl Boone Isaacs, ex presidente degli Academy Awards. Andate a vedervelo su Netlifx.

PS INTER NOS. Giusto perché non ci sia dubbio alcuno: Quincy è uno dei documentari musicali più belli degli ultimi anni, incessante, rivelatore, magnetico e ovviamente con una colonna sonora mostruosamente incredibile.

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