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Quella musica lentissima che fa impazzire i clubber

Lo chiamano supreme (o magnifico) rallentato e i suoi pionieri sono un duo italo-belga, i Front De Cadeaux, conosciutosi in una chat gay di "orsi". Le caratteristiche? Vinili suonati alla velocità sbagliata e bpm bassi, anzi bassissimi, che inducono alla trance estatica

Foto: Fotopia Be

C’è una musica lenta, lentissima che fa impazzire i clubber. Ribaltando i ritmi dell’universo danzereccio, preferisce disarmare i corpi danzanti piuttosto che accelerarli, costringendoli a ripensare le proprie certezze legate all’esperienza del ballo e del club. Immaginatevi ore e ore di dj set, a bpm molto bassi, in cui l’unica opzione possibile è abbandonarsi ad un andamento lento fino a cadere in uno stato di trance sensuale, di ipnosi quasi erotica, di assenza di tempo seduttiva.

I pionieri di questa esperienza sonora sono un duo italo-belga, i Front De Cadeaux, il progetto dei dj e produttori Hugo Sanchez e Dj Athome che alla rivoluzione lenta hanno dedicato il loro primissimo album, We Slowly Riot, uscito lo scorso mese a più di dieci anni dall’esordio del progetto, concretizzatosi nel 2013. L’idea dei Front De Cadeaux di inaugurare una filosofia dedita a una musica-da-ballare lenta, anzi lentissima, nasce però ben prima del progetto in sé.

Hugo Sanchez e Dj Athome si conoscono quasi vent’anni fa in una chat gay per “orsi” dove scoprono di aver molto in comune a livello musicale: entrambi sono dj con background legati all’hip hop e al trip hop, da sempre immersi nel mondo dei bpm lenti, una “rottura” rispetto al sound sostenuto tipico delle serate gay. Passeranno però degli anni prima che i due riusciranno a concretizzare questo amore sonoro in quello che verrà ribattezzato dall’amico e dj Fabrizio Mammarella come supreme rallentato (e da altri magnifico rallentato). Ma di cosa parliamo quando parliamo di supreme rallentato?

«Parte tutto da una tecnica in cui i vinili vengono suonati in modo “sbagliato”, ovvero al posto che farli suonare a 45, si mettono a 33 giri. Questo fa sì che le tracce suonino molto più lente, evidenziando frequenze più basse e diventando quindi più sexy», racconta Maurizio, in arte Dj Athome. «Questa però non è una tecnica nuova», interviene Hugo, «era già stata utilizzata nella new beat in Belgio o da Daniele Baldelli in Italia. Però nessuno aveva ancora deciso di farci interi dj set, di sposare questa tecnica e renderla uno stile fatto e finito. Noi abbiamo iniziato così, coi dischi che già avevamo, intraprendendo una ricerca dei vinili più adatti: parliamo di materiale di scarto, dischi che non interessano più a nessuno, quelli che stanno nelle cassette che nessuno vuole e che compri a 50 centesimi l’uno».

I due iniziano questa collezione, tra Roma e Bruxelles, le loro due città di residenza, raccogliendo vinili ideali per essere suonati a velocità sbagliata, facendo anche un’interessante scoperta: «Più si espandeva questa collezione, più ci tornava utile dividerla in macro aree: minimal, techno, balearic. L’organizzazione per generi, però, non si è basata sul suono dei pezzi originali, ma bensì sul genere che i brani acquistano quando vengono suonati sbagliati. Rallentando si vengono a creare dei meta-generi».

Il supreme rallentanto parte quindi da una tecnica per diventare un mood, un bagno sonoro (citando una terminologia che piace molto a Tropicantesimo, il collettivo artistico di Hugo Sanchez), una visione del tempo totalmente nuova nel clubbing. Il giradischi torna ad essere lo strumento principale del dj riprendendo il concetto dell’arte del turntablism di scuola hip hop e i set si allungano (dalle quattro alle nove ore) richiedendo al pubblico un abbandono assoluto. Inutile aspettarsi che tutto torni alla normalità, ai tanto agognati 120/128 bpm, come da prassi: l’unica soluzione per comprendere quello che sta avvenendo è disarmarsi dalle abitudini e arrendersi al supreme rallentato.

Provo a spiegarvi cosa si prova, in prima persona, quando si sperimenta una serata dedita al magnifico rallentato. La percezione più evidente, sicuramente, è quella della deformazione del tempo. Abituato a frequentare il mondo del clubbing, coi suoi ritmi sostenuti, in queste situazioni sembra di muoversi in uno slow motion sensuale, in cui c’è molto più tempo (mentale, più che fisico) di pensare al movimento in sé, di realizzare il proprio corpo nello spazio, e nella danza. I lunghissimi set conducono a una trance psicofisica, una deformazione cognitiva, quasi psichedelica, un tempo-senza-tempo dove diluirsi. Come in un rituale tribale, al limite dello sciamanico, l’esperienza, se accettata, è estatica. Nelle parole di Hugo Sanchez: «C’è qualcosa di non previsto nell’aria. Quando si va al bar o si esce dal dancefloor per parlare tutto si muove alla velocità che conosciamo, ma quando ci avviciniamo alla musica è come se tutto fosse al rallentatore. C’è una sorte di dispercezione cognitiva. C’è qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato che porta un senso di illusione, di trance». “There’s something wrong, not correct, try again”, citando un vocal del disco del duo.

Per quanto il mondo del clubbing sia uno spazio adibito alle libertà (sonora, sessuale, identitaria), un tentativo di fuoriuscire dalle logiche ristrette del divertificio notturno, questo cambio drastico di paradigma sonora ha bisogno di essere, prima di tutto, accettato. E spesso, per esperienza, questo non riesce a tutti, come conferma Hugo: «C’è una difficoltà a mettere in discussione questi moduli predefiniti per il divertimento. Per divertirsi il bpm deve essere alto, per essere belli bisogna essere magri, per essere felici bisogna avere i soldi. Quando invece si fa una rottura di questi moduli della cultura del performante, molte persone, principalmente le più giovani, si sentono smarrite, in difficoltà a riformulare un’idea di realtà possibile». Athome aggiunge: «Non è una musica facile se ti manca un background musicale, se non hai molto ballato in giro. Perché il suonare lento fa parte di molti altri generi, come l’hip hop».

Il supreme rallentato, da questo punto di vista, è propedeutico proprio per la sua capacità di re-insegnare a interpretare il mondo del clubbing, liberandolo da una serie di paletti e cliché, in cui chi ne fruisce deve mettersi in gioco, attivamente, e fare un passo in una nuova giungla di significati alla ricerca di un’estasi possibile. Perché un nuovo modo di vivere il clubbing (e la fuga dal quotidiano) esiste, e il supreme rallentato ne è una possibile chiave d’accesso.

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