Popa, sciura milanese ad honorem | Rolling Stone Italia
Salotto chic utopico

Popa, sciura milanese ad honorem

Nelle sue canzoni, la fashion designer lituana trasforma le signore della Milano bene in icone. «Meglio pensare a quel mondo che a quello di oggi». E se non si hanno i dané, «colazione da Cucchi e riso in bianco per cena»

Popa, sciura milanese ad honorem

Popa

Foto: Lukas Rusilas

C’è un libro uscito qualche mese fa, L’invenzione di Milano di Lucia Tozzi, che ha sollevato un dibattito latente ormai da tempo: Milano – o, per usare un’espressione orrenda – il modello Milano ha smesso di funzionare? Affitti inaccessibili, ciclisti arrotati, aria di merda, e non bastano le week del fashion o del design o le dirette social del sindaco a farne un luogo desiderabile, anche se l’opzione di gestire una malga in Trentino, senza neanche un mercoledì al Plastic, stenta a decollare.

A portare una ventata di ottimismo in questo clima tossico depressivo ci ha pensato Maria Popadnicenko, in arte Popa, fashion designer lituana che da 15 anni si è trasferita a Milano e da allora non ha perso l’entusiasmo e la fascinazione per questa città, forse idealizzandola, o semplicemente fotografandola come se fosse un set di qualche brand magico e sospeso. Soprattutto mettendola in musica, con eleganti reference anni ’60 e ’70, mood lounge romantico, e un’ironia spiazzante che resuscita la sciura milanese – la borghese della Milano bene – e la trasforma in icona della retromania. Dopo le baby gang, aspettiamoci le gang delle sciure. Prepariamoci ad accoglierle.

Popa, lavorando nella moda saprai meglio di me che è un mondo poco ironico e autoironico, che si prende tanto sul serio… Come ti sei protetta, per rimanere leggera e ironica?
Guardandolo da fuori il mondo della moda può sembrare chiuso, esclusivo e un po’ snob. Io volevo proprio rompere questa rigidezza, raccontando la moda in una maniera più inclusiva, per tutti. Voglio dare una nuova chiave di lettura su cosa è la moda oggi: più leggerezza, ma senza perdere la bellezza.

A quale bellezza fai riferimento?
A quella classica, quella delle sicure milanesi, per citare una mia canzone. Loro sono bellissime, sofisticate, impeccabili nonostante lìetà. Gentilezza, cortesia, classe, eleganza: questo la nuova generazione ammira nelle donne che avevano la nostra età negli anni ’60. E cercano di imitarle magari andando negli stessi posti a prendere il caffè, tipo Cucchi (noto bar pasticceria milanese sopravvissuto agli anni di piombo e a Tangentopoli, nda).

Popa - Sciura Milanese

Da Cucchi un caffè e bicchier d’acqua al tavolino costano 4 euro. Si paga così tanto l’eleganza?
Quando vai da Cucchi trovi il servizio di un cameriere molto gentile, classico, raffinato. Magari ti fa anche una battuta galante. Quello che si cerca è un salotto chic utopico dove vivere un po’ come una volta.

Stai parlando di una nostalgia di cose che non hai vissuto, perché sei troppo giovane. Ha un nome questo e glielo ha dato un critico musicale che la lunga su molte cose, Simon Reynolds: è la retromania…
Non l’abbiamo vissuto, ma possiamo immaginarci come sarebbe stato. Vedendo vecchie riviste o i film della Dolce vita. Oggi c’è tanto pessimismo in giro, meglio pensare a quel mondo che a quello che abbiamo davanti. Poi quando parlo con quelle sciure di 70, 80 anni capisco che voglio invecchiare così. Loro sono cresciute senza internet, e quando raccontano una storia nulla è scontato, citano tutti i dettagli – il sapore di una cosa, il colore di un’altra – prendendosi tutto il tempo che ci vuole. Ecco, con la mia musica cerco di ispirarmi a quel tipo di racconto, attento al particolare. Così quando ascolti puoi vedere un’immagine precisa.

Racconti una Milano romantica, ma Milano non è romantica: è incazzata, di fretta, individualista. O sbaglio?
Vedo molto romanticismo a Milano, forse proprio perché non sono di qui. In Mare di Milano parlo dell’Idroscalo e lì immagino signore con l’ombrellino che camminano o teenager che si danno il primo bacio guardando gli aerei che decollano da Linate, come in un pezzo di Avril Lavigne o Christina Aguilera, con il palazzo Mondadori sullo sfondo. Tutto questo è super romantico.

Popa - Mare Di Milano

I tuoi in Lituania ti facevano ascoltare Toto Cutugno e i Ricchi e Poveri. Li ascolti ancora?
Ascolto sempre i Ricchi e Poveri, sono i miei idoli, anche se oggi in Italia non è così cool ascoltarli. Ma per me sono cool, come lo è Battisti. Mi ispirano molto le artiste internazionali che sono passate in Italia e si sono impossessate a modo loro, magari con l’accento, della lingua: Amanda Lear, Catherine Spaak, Heather Parisi, Cicciolina. Mi sento un po’ come loro.

Parli spesso di lusso, anche nella tua canzone Tocco di lusso, ma non è quello contemporaneo dei trapper col ghiaccio al polso, la collanona e una Maserati Levante…
Per me il lusso è prenderti qualcosa che non puoi permetterti. Tipo fare colazione da Cucchi e poi bilanciare la spesa cenando a riso in bianco a casa. Oppure andare col treno regionale a una festa a cui la gente arriva in elicottero, o fare un weekend con un ricco viveur a Saint Tropez sapendo già che il giorno dopo sarà con un’altra. Prendere con leggerezza e divertimento le situazioni. E poi io come brand cito Armani e Cipriani, non Balenciaga o Maserati: ho un altro immaginario rispetto alla trap, più chic.

Chi è il tuo pubblico?
C’è di tutto, anche la gen Z che vive un revival del vintage, e quindi sono nelle loro corde. Nel mio immaginario ci vuole tempo per entrare, ma quando entri, ci sei dentro.

Popa - Déjà vu (radio edit)

In un altro dei tuoi pezzi, Miliardi, citi i Vanzina. Sembra una provocazione visto che il tuo immaginario è più da Call Me by Your Name di Guadagnino che da cinepanettone. È così?
C’è ironia nei Vanzina e magari sono un po’ trash, ma l’umorismo leggero e banale non mi dispiace.

Era anche molto maschilista e sessista quel genere di cinema.
Lo canto in Déjà vu, quando vedo un uomo così non ci casco, mi faccio regalare un diamante, lo prendo in giro e me ne vado. Non rischio a prendere sul serio maschi che fanno i machi, non riescono a sedurmi, ma un pranzo da Cipriani posso farmelo offrire.

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