Poly Styrene ha dimostrato che si può essere sia punk che hippie | Rolling Stone Italia
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Poly Styrene ha dimostrato che si può essere sia punk che hippie

Intervista alla figlia della cantante degli X-Ray Spex e regista del film sulla madre 'I Am a Cliché'. «È stata la prima nera nel Regno Unito a capo di una band di successo, ha ispirato riot grrrl e afropunk»

Poly Styrene ha dimostrato che si può essere sia punk che hippie

Poly Styrene

Foto press

I Am a Cliché è il documentario sulla vita e la musica di Marianne Elliott-Said conosciuta come Poly Styrene, frontwoman nera della band britannica anni ’70 X-Ray Spex. Era una punk armata di sorriso, determinazione, talento e… apparecchio per i denti. Narrato dall’attrice Ruth Negga, scritto e diretto dalla figlia della cantante Celeste Bell e da Paul Sng, è stato presentato nel 2021 ed è stato mostrato brevemente al cinema pochi giorni fa per poi finire sulle piattaforme (purtroppo non Italia).

Abbiamo parlato su Zoom con Celeste, intenta a fare ricerche per un documentario sugli Hare Krishna, un’altra delle passioni della madre, morta nel 2011 a 53 anni d’età.

Chi era tua madre?
Potrei cominciare dal suo mantra, rivolto a milioni di ragazze inglesi e non: “Alcuni pensano che le ragazzine dovrebbero essere viste, ma non ascoltate, io penso: schiavitù, mettitela su per il culo!” (è l’inizio di Oh Bondage Up Yours!, il pezzo più noto degli X-Ray Spex, ndr). È stata la prima nera nel Regno Unito a capo di una rock band di successo. È stata la prima a portare un nuovo suono punk accompagnato da una voce non convenzionale. La prima nel Regno Unito a inserire nei testi temi come identità sociale e di genere, consumismo, postmodernismo verso la fine degli anni 70. È stata la prima cantante punk anglo-somala, ispirazione chiave per i movimenti riot grrrl e afropunk.

Dicevi dell’identità sociale…
Essendo di razza mista, somala e inglese, la questione razziale era centrale per lei. Ha protestato, preso botte dai bobbies inglesi nelle manifestazioni in cui ci si opponeva alle leggi anti-immigrati dell’epoca, per non parlare degli abusi verbali subiti.

Perché hai scelto per il titolo del film la canzone I Am a Cliché?
Perché mia madre ovviamente non era un cliché. È un titolo ironico, mi sembrava appropriato sia per il personaggio che per il suo stile delle sue canzoni.

Poly Styrene: I Am A Cliché | Official Trailer | Available to Watch 5 March

Perché hai scelto Ruth Negga come narratrice e per dare voci ai pensieri di tua madre?
L’ho incontrata per caso una sera a Londra, a Soho. Quando ha scoperto chi ero mi ha raccontato di essere una grande fan di mia madre, della sua musica, del suo lato di protesta. Anche Ruth è birazziale: metà etiope e metà irlandese, ha affrontato gli stessi problemi di mamma Marianne. Quando in sala di montaggio io e Paul Sng cercavamo un modo per fare sentire al pubblico le cose scritte da mia madre nei suoi numerosi quaderni e diari mi è venuta in mente Ruth. Mi viene la pelle d’oca a pensare quant’è simile il suo tono di voce a quello di mia madre.

Da dove vengono i filmati d’archivio?
Molti mi sono stati regalati dall’ex manager di mia madre Falcon Stuart (è morto nel 2002, ndr). Era anche regista e aveva parecchie riprese anche rare della band e di mia madre. Il resto lo abbiamo trovato in archivi come quelli di Kino e Getty. Quelli di Kino, in particolate, hanno in catalogo alcuni dei migliori filmati della Gran Bretagna degli anni ’50, ’60, ’70 e ’80.

Celeste Bell e la madre Poly Styrene. Foto: Fabrizio Rainone

Immagini e contenuti sono morbidi e luminosi, quando invece molti si sarebbero aspettati un tono e un’estetica da documentario punk, qualcosa di più cupo e rumoroso. In che modo Poly Styrene ha influenzato il tuo stile di regia?
Mia madre non era la tipica punk. Aveva un aspetto, un suono, un’estetica singolari. Se dovessi usare un solo aggettivo per descrivere gli X-Ray Spex rispetto ad altri gruppi punk userei la parola “colorati”. Concetto riassunto molto bene in The Day the World Turned Day-Glo, il titolo di una delle loro canzoni. Erano fosforescenti, luminosi, prepotenti. Volevamo portare questa cosa nel film, renderlo colorato, luminoso e poi contrastarlo con elementi più sognanti, malinconici e persino celestiali perché anche quella spirituale è una parte importante della sua personalità.

Nel film descrivi Poly come un’osservatrice del quotidiano.
Era una news junkie, aveva una dipendenza da giornali e notiziari tv, e lo si capisce ascoltando la sua musica, dove descriveva dettagliatamente l’attualità di allora e temi che viviamo ancora oggi. Lo faceva semplicemente riportando quel che vedeva, senza giudicare né criticare. Aveva idee molto fluide, nel senso che le cambiava continuamente. Era empatica, riconosceva le emozioni altrui. Questo suo dono ha però influenzato moltissimo la nostra relazione, non sempre positivamente. Essere una persona così sensibile, artistica e creativa vuol anche dire che la maggior parte del tempo sei altrove, che non sei presente.

Poly Styrene. Foto press

E tu, sei più osservatrice o critica?
Sono più un critica di mia madre. Ho idee politiche più forti perché sono cresciuta in un’epoca diversa. Mia madre era influenzata più dal movimento hippie che da quello punk. Si ispirava ai poeti della Beat Generation. Si interessava di sostanze psichedeliche, di filosofia, di spiritualità orientali. Quelle erano la sue passioni, più della politica. È cresciuta ascoltando ska, reggae e Motown. Era fan di Aretha Franklin. Era sbalordita dalla sua abilità vocale e dalla potenza della sua voce. Anche lei aveva una voce molto forte, percià adorava tutto ciò che era soul. Oggi amerebbe M.I.A. e Missy Elliott.

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