Peso Pluma, il Mick Jagger messicano che vuole cambiare le regole | Rolling Stone Italia
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Peso Pluma, il Mick Jagger messicano che vuole cambiare le regole

Il 2023 è stato il suo anno magico, con numeri da record e un Grammy per l’album ‘Génesis’. Ora deve affrontare la fama, le pressioni per il secondo album (si chiamerà ‘Éxodo’) e alcuni problemi con il narcotraffico. Ma per farlo non è solo: «Non sono io ad essere arrivato al numero uno: è la música mexicana che ha fatto in modo che accadesse»

Foto: Gustavo Soriano

Sono piene di pavoni colorati e iridescenti le strade che portano ai Lab Studios, un complesso di sale di registrazione a Coconut Grove, un quartiere di lusso di Miami. A fine gennaio, Peso Pluma ha organizzato qui un writing camp di una settimana per lavorare al suo prossimo album che, come svelerà più tardi, si chiamerà Éxodo e uscirà per l’estate. È fin troppo azzeccato che un gruppo di uccelli decadenti, con piume maestose dai riflessi metallici, gironzoli sul marciapiede. Dopo tutto, l’artista messicano, il cui vero nome è Hassan Emilio Kabande Laija, è salito alla ribalta in tutto il mondo scrivendo di argomenti come cuori spezzati e romanticismo, ma le sue canzoni sfrontate e dirette che parlano di una vita piena di lussi e stravaganze sono tra le più conosciute. Oggi sta per scriverne altre.

Varcata la soglia, lo studio sembra una confraternita tropicale, piena di ragazzi educati e tranquilli che potrebbero passare per dei normalissimi ventenni, se non fosse che molti di loro portano con disinvoltura orologi tempestati di diamanti e catene d’oro pesanti. La maggior parte di loro è nella band di Peso: sono musicisti giovani, ma esperti, che suonano il basso, il contrabbasso, la chitarra, il requinto (una specie di chitarra più piccola), il trombone e le charchetas (corni contralto), tutti strumenti che definiscono i corridos tumbados di Peso.

I corridos tumbados sono una versione decisamente moderna dei corridos, ballate popolari e affabulatorie che da più di 200 anni raccontano storie epiche e descrivono le realtà complesse del Messico. I corridos tradizionali (che hanno un ruolo importante nella música mexicana, un termine generale usato per descrivere i molti generi diversi della musica di quel Paese) sono spesso considerati roba vecchia, per nonnetti. La situazione è cambiata in modo radicale verso la metà degli anni 2010, quando un gruppo di ragazzi, tra cui l’allora diciassettenne Natanael Cano, ha tirato fuori le chitarre e ha iniziato a prendere in prestito suggestioni dalla trap e da altre forme di hip hop. Il risultato ha plasmato la musica di una generazione iperconnessa alla rete e totalmente agnostica in fatto di generi.

Ben presto Peso, un ragazzo magro il cui nome d’arte significa letteralmente “peso piuma”, ne ha seguito le orme ed è emerso. Negli ultimi anni ha portato il suo stile energico all’interno del movimento: le sue canzoni si basano su le linee corpose di trombone e arrangiamenti di chitarra intricati che accompagnano la sua voce spigolosa, anche se fin da subito ha dimostrato fin di poter andare oltre gli orizzonti di questo sound e cimentarsi in qualsiasi stile musicale, dal pop al reggaeton.

Foto: Gustavo Soriano

Proprio ora, ai Lab Studios, la sua band è radunata in una delle sale di registrazione per ascoltare la versione preliminare di quella che potrebbe diventare la sua prossima hit. Peso non è lì quando, in apertura, un vortice di note di ottoni esce dall’impianto audio. Pochi minuti dopo si sente una voce inconfondibile, ricca di grana e grinta, che dice «Hola!». È più un annuncio che un saluto, speciale e tagliente al punto di lacerare il continuum spazio-temporale. Peso quando arriva è allegro, indossa una maglietta bianca, calzoncini blu da basket e un cappellino nero girato all’indietro, con la visiera che va a coprire il suo tipico mullet. Guarda il computer del suo produttore e annuisce per un po’ ascoltando il brano. Poi, in un attimo, sparisce. Nel corso delle ore seguenti, Peso rimbalza ovunque, come una pallina di elettricità, irrompendo in varie sale e collaborando a diverse canzoni. Quando lo ritrovo, poco dopo, sta suonando la chitarra per mostrare un’idea ad alcuni dei migliori autori di tutta la música mexicana. C’è Edgar Barrera, il trentatreenne produttore e cantautore che solo negli ultimi due anni ha vuto 22 nomination ai Latin Grammy. Vicino a lui c’è Alexis “El Chachito” Fierro, un autore spiritoso e gioviale che ha aiutato Peso con Lady Gaga, una super hit con un testo all’insegna degli stravizi innaffiati di champagne che ha inciso con gli esordienti messicani Gabito Ballesteros e Junior H.

Peso ha praticamente terminato un corrido che ha scritto da sé, ma vorrebbe perfezionarlo ancora un po’. «Forse possiamo aggiungere un pre-ritornello o qualcosa del genere», suggerisce, strimpellando la chitarra. Canta quello che ha scritto finora e la sua voce, in tutta la sua peculiarità, riempie lo spazio circostante. Il suo timbro è così naturale e incontaminato da risultare fastidioso o irresistibile, a seconda dell’ascoltatore. Moltissima gente ne è attratta. «La sua non assomiglia a nessun’altra voce sulla piazza», dice Barrera. «Quando la senti, capisci subito che è Peso Pluma a cantare».

Quella voce, l’anno scorso, è stata ovunque. A marzo ha unito le forze con la band americano-messicana Eslabon Armado per Ella Baila Sola, ode a una bella ragazza in pista da ballo che è diventata la prima canzone di música mexicana a raggiungere il numero uno della classifica globale di Spotify e a entrare in Top 10 nella Billboard Hot 100 (Rolling Stone America l’ha definita la migliore canzone del 2023). A un certo punto del brano, Peso esclama “Bella!” con una forza tale da avere dato il via a delle challenge su TikTok e a tantissime imitazioni. Poi c’è stata Bzrp Music Sessions Vol. 55, inserita in una popolare serie di freestyle su YouTube, che ha fatto guadagnare a Peso un altro numero uno nella classifica globale di Spotify. Infine Génesis, il suo fortunatissimo disco, ha debuttato al numero tre della Billboard 200 in aprile, divenendo l’album regionale messicano a ottenere il posto in classifica più alto di tutti i tempi.

A seguire, una serie di tappe fondamentali: a settembre 2023, Peso (con la sua band) è diventato il primo artista di música mexicana a esibirsi ai VMA. Ha superato Taylor Swift, Bad Bunny e chiunque altro al mondo diventando l’artista con più visualizzazioni su YouTube durante l’anno. È entrato e uscito dagli studi con alcuni dei suoi eroi del rap, tra cui A$AP Rocky e Travis Scott. E poi, a febbraio, ha vinto il suo primo Grammy, portandosi a casa il trofeo per il miglior album di música mexicana, chiudendo in bellezza la serata con un paio di foto insieme a Jay-Z. Nel frattempo ha collezionato miliardi di streaming, collaborazioni con chiunque (Becky G, Anitta, Kali Uchis) e stadi sold out in tutto il pianeta.

Parte del suo appeal risiede nel fatto che, a differenza di molti artisti di música mexicana del passato, Peso ha scambiato gli stivali da cowboy e i sombreri con scarpe da ginnastica di lusso e cappellini da baseball, così da somigliare più a un rapper tutto ingioiellato che a un crooner messicano. A questo aggiungete un mullet anni ‘80 così esagerato che i ragazzi, in Messico, hanno iniziato a chiedere ai barbieri “il taglio alla Peso Pluma”. Il ragazzo sta riscrivendo le regole dei corridos tumbados a modo suo. «Sono orgoglioso di sventolare la mia bandiera e di essere il primo a fare molte cose, di poter mostrare le mie radici, da dove veniamo, cosa ci piace ascoltare e cosa facciamo», dice Peso. Anche i suoi live costituiscono una parte importante del suo fascino. Sul palco, Peso è iperattivo, incontenibile, esplosivo: pesta i piedi e salta su e giù, facendo smorfie irriverenti che i fan hanno immortalato in meme e GIF. «La prima volta che l’ho visto su un palcoscenico, o alle prove, il suo carisma mi ha lasciato sbalordito», racconta il suo manager, George Prajin. «Ho sempre detto a tutti: “Questo è il Mick Jagger messicano”».

I corridos hanno una storia lunga, complicata e controversa. Sin dai tempi della Rivoluzione Messicana, queste ballate hanno narrato battaglie sanguinose e violente e raccontato storie di corruzione e povertà. Nel loro albero genealogico ci sono i narcocorridos, un sottogenere emerso negli anni ’60 e sviluppatosi molto negli ’80, pieno di storie spietate incentrate sul narcotraffico in Messico. Anche se la violenza dei cartelli è cresciuta enormemente nel Paese, molti narcocorridos sono stati scritti in tributo ai leader criminali e ai capi dei cartelli, elogiando le loro imprese criminali e commemorandoli. Gli artisti più giovani di corridos tumbados non si sono sottratti ad alcune di queste tradizioni, in pratica come se avessero mixato Johnny Cash coi N.W.A. Come molti interpreti di corridos prima di loro, hanno suscitato critiche e persino rabbia, accusati di glorificare le armi, la violenza e le realtà raccapriccianti della guerra legata al traffico di droga.

Foto: Gustavo Soriano

Peso canta spesso di fare colpo sulle ragazze con macchine costose e di sfoderare pistole tempestate di diamanti per allontanare i nemici, ma in alcune delle sue collaborazioni precedenti si nominavano cartelli e personaggi loschi dello stato nord-occidentale di Sinaloa. Questi testi hanno provocato non solo critiche, ma anche minacce. Lo scorso autunno, prima del suo concerto a Tijuana, in tutta la città sono comparsi diversi striscioni: “Questo è per te, Peso Pluma. Non presentarti il 14 ottobre perché sarà la tua ultima performance”. Erano firmati dal Cártel Jalisco Nueva Generación, un rivale del Cartello di Sinaloa, a quanto pare arrabbiato per i riferimenti nella musica di Peso. Il suo team ha cancellato la data e il tour ha proseguito la corsa in altre parti del mondo. Ma il ritmo e la pressione sono senza dubbio alti, soprattutto per un artista che sta tracciando un percorso difficile e controverso, praticamente senza precedenti.

Nonostante il Messico confini con gli Stati Uniti, pochi artisti messicani (e ancor meno fra quelli che producono música mexicana) sono esplosi come lui nel mondo del pop mainstream. Da Ritchie Valens a Selena, molte delle principali star tipicamente associate alle sonorità messicane sono comunque nate negli Stati Uniti. Il territorio verso cui si muove Peso è del tutto inesplorato. «Sono grato alla mia gente e ai fan che mi hanno supportato, perché sono loro che ci hanno portato in classifica e tutto il resto», spiega. «Io non la vedo come una gara a chi raggiunge la posizione più alta. Penso che non sia solo Peso Pluma ad essere arrivato al numero uno: è la música mexicana che ha fatto in modo che accadesse».

È facile dimenticare che Peso ha solo 24 anni e che la sua ascesa ha richiesto molto lavoro, supper sia stata rapidissima. Deve gestire tante cose e in certi momenti, quando ci incontriamo nel corso di un mese intero, sembra stanco di tutto. A volte è silenzioso e taciturno, quasi fosse prosciugato dal semplice atto di parlare. Altre volte, come ai Lab Studios, è allegro e si gode l’euforia di creare qualcosa di completamente nuovo, di incidere canzoni che nessuno ha mai immaginato prima. Peso si unisce alla sua band, in studio, per controllare i progressi di quel brano con tutti i fiati. Il processo creativo dimostra quanto sia complesso registrare la música mexicana: nessuno sta creando un beat al computer o con un sintetizzatore. Al contrario, ogni componente della band di sette elementi perfeziona gli arrangiamenti complicati di ogni brano e poi incide la propria parte individualmente. Alcune canzoni hanno richiesto giorni di lavorazione e non sono nemmeno state incluse nell’album. Per Génesis, mi dice Peso, ha registrato circa 40 pezzi e ne ha utilizzati 17. Però di questo sembra soddisfatto e si lancia in un balletto sinuoso che i fan conoscono bene, alzando le braccia in aria.

Si dirige di nuovo verso la stanza degli autori. Durante il percorso chiede a Valeria Murrillo, che si occupa delle relazioni con gli artisti e del management per la Prajin Parlay, se può portare della tequila e dei bicchierini da shot nella sala. Poi si siede, esamina ogni singola riga di testo, lavorando con entusiasmo sul corrido che prima aveva suonato per loro. Barrera racconta, poi, che il tempo trascorso in studio con Peso è stato speciale: «Non ho mai partecipato a una session di scrittura in cui il livello di energia era così elevato». «Ecco quello che avete ordinato», annuncia Murrillo dopo un po’, entrando con una bottiglia di tequila Clase Azul dipinta a mano. La sala si riempie di applausi mentre la bottiglia viene passata fra tutti, con la tequila che tracima dai bicchieri. Qualcuno mi chiede se ne voglio, ma io rifiuto gentilmente. Peso si volta con un sorriso gigante sulla faccia e mi indica. «Siiii, Rolling Stone», canta nel suo caratteristico tono da crooner. Dopo pochi secondi ho un bicchiere in mano. Poi Peso si mette in piedi, al centro della sala, e inizia a parlare. «Stasera faremo la storia con due canzoni davvero epiche», dice. «Grazie al mio compare Chachito, al mio compare Oscar, che sono qui. A Julia, a tutti coloro che lavorano a questo album, Ivan, Edgar. Voi lo sapete. Grazie a tutti, hay que echarle chingasos». Che, tradotto liberamente, significa più o meno: «Prendiamoli a calci in culo».
Tutti alzano il bicchiere. «Salud!»
«Cosa mancava al tizio che è morto?», grida Fierro.
«Salud!», ripetono tutti allegramente. La tequila scende, brucia, e alcuni si schiariscono la gola con un «Ahh!» corale.
«Questo cura il Covid», sbotta Fierro, e Peso mi guarda per un attimo, con gli occhi che brillano.
«“Hanno bevuto una medicina per il Covid”», scherza, raccontando quello che pensa che io scriverò nel mio articolo. «“Che significa ‘uno shot di tequila’”».

I musicisti scoppiano a ridere e in pochi secondi si ributtano a lavorare alla canzone nuova, che improvvisamente è più veloce, più festosa e più movimentata di prima. Le chitarre suonano più potenti e la voce di Peso risuona più forte: il suo entusiasmo è palpabile. Alle 22 i pavoni del quartiere sono probabilmente rannicchiati sugli alberi e dormono beati. Ma le luci dello studio sono ancora accese e tutto l’edificio sta praticamente tremando per l’esplosione esuberante di fiati che continua a ripetersi.

Foto: Gustavo Soriano

Il giorno dopo Peso è seduto a un tavolo fuori dallo studio e fissa il suo telefono, con gli occhi assonnati. L’energia è un po’ più fiacca rispetto al giorno prima, probabilmente perché i ragazzi non sono andati a casa prima delle due. Peso elenca tutti i luoghi in cui deve andare: New York, Messico, Los Angeles (vive nella Orange County). Deve pianificare l’annuncio di un tour, ha in vista una serie di apparizioni a premiazioni e poi c’è l’album che sta cercando di terminare, lavorandoci ogni volta che può. «Ovunque io vada, continuo ad avanzare un po’ alla volta», dice. È un promemoria di tutte le cose che deve fare. All’interno, si sono aggiunte altre persone: Tito “Double P” Laija, cugino di Hassan e uno dei suoi più stretti confidenti, è lì vicino e sta già pensando a una nuova canzone. È silenzioso e serio, seduto con il resto dei ragazzi per scrivere un testo. È curioso il fatto che Peso non abbia frequentato molto Tito durante la sua infanzia. Tito è nato a Culiacán, Peso a Guadalajara. Peso si descrive come un bambino attivo con una soglia di attenzione bassa, ossessionato dal calcio e da Spiderman. Sua madre, una make-up artist, lavorava molto: lui spesso rimaneva in casa da solo e, alla fine, ha imparato a suonare la chitarra guardando dei tutorial su YouTube. Amava artisti come Chalino Sanchez, il “Re dei Corridos” e presunto killer del cartello, le cui ballate energiche l’hanno reso una star, prima di essere assassinato dopo un concerto in Messico all’età di 31 anni. Peso era anche un fan di Ariel Camacho, il cantante messicano che aveva iniziato a farsi conoscere negli Stati Uniti quando la sua carriera è stata stroncata da un incidente automobilistico mortale, nel 2015.

Durante l’adolescenza Peso ha trascorso un periodo negli Stati Uniti frequentando per un po’ le superiori in Texas. È sempre stato appassionato di hip hop e idolatrava rapper come Tupac Shakur e Biggie Smalls (ha un tatuaggio che recita “All Eyez on Me” sul petto, in omaggio a Tupac). Tutte queste suggestioni sono confluite nelle canzoni che ha iniziato a scrivere e a suonare per gli amici, alle feste. «Non ho mai avuto un insegnante di chitarra o di canto. Gli unici che posso definire in quel modo erano i miei amici. In pratica ci riunivamo, bevevamo e cantavamo per divertirci», racconta. «Facevo più che altro cover, ma ho iniziato a evolvermi. È così che ho trovato il mio stile, la mia voce, suonando con gli amici». Verso i 20 anni ha deciso di trasferirsi da solo a Culiacán, nel Messico nord-occidentale, per cercare fortuna come musicista. Suonava in molte feste private e scriveva le sue canzoni. Grazie ad alcune conoscenze comuni, si è imbattuto in Tito, anche lui musicista e autore. «Abbiamo iniziato a parlare più che altro del fatto che siamo cugini, roba tipo “Come sta la famiglia?” e tutte queste cose, e di quanto fosse bello che entrambi facessimo musica», racconta Peso. «Per lui era più un hobby, mentre io lo facevo per guadagnare qualcosa, perché era così che campavo. Non avevo un altro lavoro». Collaborare con Tito ha sbloccato qualcosa in lui. «Quando ho incontrato Tito, ho trovato la spalla musicale che mi mancava e abbiamo iniziato a parlare di fare qualcosa insieme», ricorda Peso. Ci sono voluti parecchi mesi, ma alla fine Tito gli ha mandato circa 30 canzoni usando l’app Voice Notes. Una di queste era El Belicon, il cui titolo significa “il combattente” o “l’aggressivo”. Peso ha risposto subito. Le melodie di chitarra della canzone sono piuttosto dolci. Nel testo, tuttavia, Peso e l’artista Raul Vega si vantano della loro collezione di “minimis, basukas, y Kalashnikov”, ovvero “mitragliatrici, bazooka e Kalashnikov”. Il video si spinge oltre, mostrandoli mentre corrono con maschere e fucili. El Belicon è decollata a livello locale, poi è diventata ancora più nota, diventando la prima canzone di Peso a entrare nella Hot Latin Songs di Billboard e ottenendo otto dischi di platino. È stato un punto di svolta. «Quando abbiamo fatto quella canzone, ho capito che il suo stile e il mio erano la chiave per farci notare», spiega Peso.

I due cugini hanno attirato l’attenzione di un manager di nome Herminio Morales che, dopo essersi ammalato, ha proposto a Prajin di mettere sotto contratto Peso. Lui ha colto al volo l’opportunità, ma non senza aver valutato a fondo le possibilità di Peso. «Faccio questo lavoro da molto, [gestendo] atleti, artisti. Non ero sicuro di voler lavorare con un altro artista e puntare tutto su di lui. Quindi l’ho messo un po’ alla prova». Prajin ha fatto imparare a Peso Wish You Were Here dei Pink Floyd alla chitarra e gliel’ha fatta incidere in inglese. «Ho capito che si fidava di me. E a quel punto, mi sono detto: “Mi butto a capofitto su questo ragazzo”», dice Prajin. La gente spinge ancora perché quella cover esca, ma Prajin dice di aver promesso a Peso che avrebbe deciso lui stesso se farlo o meno. Peso e Prajin hanno studiato il modo in cui le star del reggaeton hanno raggiunto la massa critica facendo squadra e pubblicando collaborazioni importanti. Peso, quindi, ha iniziato a registrare praticamente con chiunque, pubblicando una canzone dopo l’altra: PRC con Cano, La Bebe con Yng Lvcas, Igualito a Mi Apá con Fuerza Regida, Chanel con Becky G.

Foto: Gustavo Soriano

Grazie anche a questi sforzi, la música mexicana è esplosa inserendosi nella più ampio filone della storia della musica latina, che ha generato un miliardo di dollari nel 2022 e ha surclassato il resto dell’industria musicale. La música mexicana ha accelerato la propria crescita: su Spotify, gli stream sono più che triplicati dal 2019 e cinque artisti di questo genere sono entrati nella Top 50 globale della piattaforma. In testa c’è Peso, che è stato ascoltato in streaming nove miliardi di volte solo nel 2023. Gli artisti di corridos tumbados hanno iniziato a entrare nel circuito dei grandi festival; Cano ha suonato al Coachella nel 2022 e, dopo un cameo a sorpresa durante il set di Becky G l’anno scorso, Peso quest’anno avrà uno slot pomeridiano. A ogni modo le connessioni del genere con droga e violenza sono difficili da scrollarsi di dosso. I corridos tumbados sono diventati sempre più popolari, ma sono anche stati contestati pubblicamente dal presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, che in una conferenza stampa dell’estate scorsa ha dichiarato: «Non ce ne staremo in silenzio quando questi corridos diranno che l’ecstasy è una cosa buona e che hanno una pistola calibro 50 e che i loro idoli sono i narcos più famosi».

A novembre, le autorità di Tijuana hanno dato un giro di vite ai narcocorridos, emanando un divieto che riguarda anche i corridos tumbados. La nuova legge stabilisce che qualunque artista che “in una performance dal vivo diffonda, mostri, canti o riproduca musica, video, immagini o qualsiasi altra cosa simile, che promuova la cultura della violenza o faccia apologia del crimine o degli autori di atti illegali” può essere punito con multe fino a 57.000 dollari. Ma molti autori che si dedicano a questo genere lo vedono solo come una forma di narrazione. «Non lo puoi censurare: come si fa a censurare quello che sta accadendo?», dice Barrera. «Lo vedete nei notiziari che ne parlano ogni giorno. I corridos sono sempre stati una forma di narrazione di ciò che succede nelle strade». Prajin paragona spesso il genere all’hip hop, anch’esso osteggiato da tanti quando stava arrivando nel mainstream. «La realtà è che sono degli intrattenitori, no? Cantano canzoni e le loro canzoni riflettono ciò che la gente vive quotidianamente. Ci sono cose belle e cose brutte, nel mondo», dice Prajin. «Hassan non fa altro che rappresentarle». Se glielo si chiede, Peso ora dice che la sua musica è solo una mescolanza di esperienze di vita vissuta e di ciò che sente. «È un mix di cose che mi capitano, di quello che mi viene in mente e di ciò che voglio descrivere. Ho sempre detto che la musica per me è una specie di terapia. Ci sono tantissime cose di cui la gente non parla», dice, ma non vuole fare ulteriori commenti a proposito della polemica sui suoi testi. Durante il writing camp, tutti hanno proposto con nonchalance testi che parlavano di girare armati e avere armi, mentre si ragionava su cosa avrebbe funzionato meglio in certe canzoni.

Eppure le critiche paiono preoccupare Peso. Sta già pensando a Éxodo come risposta diretta alla stampa sfavorevole che sembra circondarlo. «[In Génesis] la gente ha già visto il lato buono, quello da supereroe. Ma credo che quest’anno conosceranno un lato più oscuro», mi dice criptico. «Si parlerà molto del perché facciamo quello che facciamo e perché cantiamo quello che cantiamo, del perché la gente ci mette l’uno contro l’altro, del motivo per cui i media cercano sempre le cose negative, della ragione per cui la gente si concentra più sugli aspetti negativi che su quelli positivi». Gli domando perché pensa che la gente si fissi proprio sugli aspetti negativi della sua carriera. «Non lo so», risponde con un’alzata di spalle. «Credo che per i media sia 10 volte più conveniente dare notizie cattive che buone. La gente parla più delle cose brutte che di quelle belle». Ha imparato a non pensarci? «Non è facile, ma giorno per giorno mi pare di imparare a fregarmene di tutto, capisci? E a fare solo quello che mi va. Se a loro piace, bene. E se non gli piace, bene lo stesso».

Foto: Gustavo Soriano

Ai Lab Studios di Miami, tutti ci danno dentro col lavoro. Peso tiene le redini della situazione, ma per qualche minuto si ferma fuori, con quelli della sua band, fumando una canna. Pochi dopo il suo tour manager si avvicina e gli comunica che due produttori di reggaeton sono arrivati in studio per fargli ascoltare qualche pezzo. Peso si alza e si dirige verso una sala secondaria per incontrarli. Circa mezz’ora dopo i due produttori fanno partire un brano appena creato con la voce di Peso in primo piano. Alcuni dei suoi compagni di band, in attesa fuori dallo studio, annuiscono. Dopo un’ora o due, i produttori se ne vanno e Peso esce dalla stanza come se non avesse appena creato una nuova canzone. Ma c’è ancora molto da fare, altri corridos da scrivere.

A fine gennaio, qualche settimana dopo, Peso è di nuovo in California. È appena arrivato nello studio di Prajin, ad Anaheim, e saluta rapidamente il suo manager. Gli mostra un video che sta per pubblicare su Instagram, che ha girato guidando lungo un’autostrada con un paio di sneaker nuove. Prajin lo esamina attentamente, assicurandosi che nulla, compreso il limite di velocità, visibile in un fotogramma, possa mettere nei guai Peso. Prajin e Peso hanno un rapporto strettissimo. Prajin mi dice che vede Peso come un figlio, mentre Peso parla spesso della stima immensa che ha del suo manager. «Grazie a Dio sono capitato in buone mani», dice. «George è una brava persona, un uomo d’affari, e non fa le cose per via del rapporto di lavoro che abbiamo, ma perché desidera il meglio per me e si prende cura di me, prima di tutto». Questo è uno dei motivi per cui hanno deciso di diventare soci in affari e lanciare l’etichetta di Peso, la Double P Records. La popolarità della música mexicana ha fatto in modo che tanti artisti nuovi, molti dei quali adolescenti, firmassero contratti in tempi incredibilmente brevi. Negli ultimi anni, alcuni di loro hanno rivelato pubblicamente di non essere contenti dei loro contratti. Cano, per esempio, in una diretta di Instagram Live ha spiegato di voler diventare il proprietario della sua musica, mentre il cantante Gerardo Ortiz ha denunciato la sua etichetta per frode. Peso ha lanciato Double P con Prajin come partner lo scorso anno. Ha annunciato che ne prenderà il timone in veste di CEO e responsabile A&R. «Si sa che l’industria messicana e le aziende più conosciute e famose del momento non hanno agito veramente per il bene dei loro artisti», mi dice Peso. «Giravano contratti strani, approssimativi da fare schifo. Quello che noi vogliamo fare, e da subito, è rendere il tutto super trasparente».

Uno dei suoi primi acquisti è stato il musicista Jasiel Nuñez. (Peso, che è uno dei co-curatori di Future 25 di Rolling Stone America, ha selezionato Nuñez per la lista, definendolo un artista fenomenale e lodando il suo modo di scrivere). Nuñez descrive Peso come «una persona davvero buona, con un grande cuore» e dice che firmare per Double P gli ha cambiato la vita. «Mi ha anche reso una persona migliore, perché sono con delle brave persone: siamo una squadra, una famiglia». Prajin vede nell’etichetta un mezzo tramite cui Peso si imporrà nel settore. «Avrà una carriera molto lunga, soprattutto come dirigente, come A&R o proprietario di etichetta discografica. Diventerà un Jay-Z». È uno dei motivi per cui ha lavorato a così stretto contatto con Peso. «Cosa farà, se io non ci sarò? Deve imparare a gestire la sua attività e a tutelarsi».

Davanti allo studio, Prajin e Peso si aggiornano ancora per qualche minuto. Poi Peso sale su un furgone nero che si dirige verso il centro di Los Angeles. Lo attende una giornata piena di servizi fotografici e video e sembra un po’ nervoso: vorrebbe accendersi una canna, ma uno dei suoi assistenti (un amico dai tempi del liceo) ha dimenticato di portare un accendino, quindi il suo staff sta cercando di trovare una stazione di servizio dove procurargliene uno. Peso, nel frattempo, svapa e chiede all’autista di lasciargli connettere il suo telefono per ascoltare un po’ di musica. Bandz a Make Her Dance di Juicy J inizia a uscire dagli altoparlanti del veicolo. Ha passato un paio di giorni di riposo nella sua casa di Orange County. Di solito, quando è libero, si rintana nella sua sala dei divertimenti per giocare alla PlayStation e fumare erba. Altre volte fa maratone di film. Di recente ha visto dei film della Disney, come Lilo & Stitch e Ratatouille. Sta per terminare l’LP.

«Voglio che sia una sorpresa per tutti. Mi sto concentrando sulla messa a punto di tutti i dettagli, ma ci saranno molti spunti, non solo legati alla musica regionale messicana», dice. «Fin dall’inizio, mi è piaciuto fare cose per uscire dalla mia comfort zone. So che tutto va bene con i corridos, ma non mi lascio sfuggire l’opportunità di fare altre cose che mi piacciono». Tra queste, Igual Que Un Ángel, la canzone disco pop di Kali Uchis con cui si è cimentato di recente. «Non avrei mai immaginato di fare il tipo di roba che ho fatto con Kali, ma penso che sia un’occasione per mostrare di che pasta sono fatti i messicani e che cosa siamo in grado di fare». Ha già dato prova di ciò che può fare in alcune situazioni. Il suo show preferito in assoluto è quello che ha tenuto a El Foro Sol, un gigantesco stadio di Città del Messico, seguito da un ritorno a casa a Guadalajara e da un enorme concerto in Argentina. «Non pianifico mai nulla. Per me si tratta solo di salire su quel palco, godermi ciò faccio, lasciarmi andare il più possibile», dice. «Non mi piace quella sensazione tipo: “Avrei potuto fare meglio. Avrei potuto fare questo. Avrei potuto fare quello”».

Foto: Gustavo Soriano

Però il personaggio straordinario che vediamo sul palco sembra molto diverso dal ventiquattrenne calmo, più tranquillo che c’è nel furgone: lo dico ad alta voce. All’inizio sembra svicolare, ribattendo: «Ci sono momenti in cui ci si diverte con gli amici e altri in cui bisogna essere più seri». Ma poi riflette un po’ di più sulla sua risposta e continua. «Mi sento anche un po’ frammentato, fa parte delle mie personalità multiple». Gli chiedo quale delle sue varie personalità senta più vicina a chi è lui davvero. «Non lo so», risponde. «Tutti i miei collaboratori possono dire che ogni giorno, per cinque minuti, posso essere la persona più felice del mondo. Poi, nei cinque successivi, mi trasformo in qualcosa di terribile». Sorride, facendo una mezza battuta. Ciò a cui tiene di più è vedere i suoi successi come parte di un insieme: un risultato per il Messico, un successo per il suo genere di musica. Però si è calato in un ruolo da leader, palese durante il writing camp, che guida una dozzina di musicisti e autori. Ci pensa un attimo. «Non mi considero una persona normale», dice dopo un po’. Ridacchio e gli chiedo cosa intenda. «Sono pazzo. Non lo dico per scherzo», continua serio. «Ho problemi mentali: pensa alle le idee che ho, alle canzoni che facciamo. Ma credo che la follia sia parte integrante del genio». Ma pazzo in che senso? «Non saprei spiegarlo, non so dirtelo», risponde. Infine ci prova: «È come una malattia che abbiamo. Io dico che è una malattia. Tutti noi big ce l’abbiamo e non lo sappiamo nemmeno. A volte siamo matti e questa pazzia ci rende genuini e autentici. Siamo tutti pazzi in modi diversi».

Questa pazzia ha spinto Peso in ogni angolo della cultura pop, portandolo persino a ricevere offerte da Hollywood: «Ho avuto molte opportunità di fare film e programmi televisivi, anche importanti». Ma le ha rifiutate: dice di avere difficoltà a stare seduto in un posto e pensa che non sopporterebbe l’attesa, mentre i tecnici cambiano gli obiettivi e le impostazioni delle telecamere. «Anche nei miei video, i registi sanno già che io posso resistere tre ore, al massimo quattro. Le persone con cui collaboro a volte rimangono più a lungo di me», dice. Ammette, un po’ timidamente, che c’è un altro progetto a cui non gli dispiacerebbe partecipare: «Farei Narcos: Messico, se ne girassero un’altra stagione». Per quanto rapida sia stata la scalata di Peso verso la popolarità, nell’ultimo anno, il suo mondo è parso davvero muoversi in fast forward a febbraio, dopo la vittoria del Grammy. La fine della sua storia con la cantante argentina Nicki Nicole è divenuta di dominio pubblico (dopo la rottura, Peso ha rifiutato di commentare la relazione). Ha cancellato un concerto da headliner a Viña del Mar, in Cile. I tabloid si sono avventati sulla notizia che si sarebbe fatto ricoverare in un centro di salute mentale/disintossicazione in Messico. Peso mette a tacere tutti i gossip, svelando che in realtà si trovava in studio, in California. «Be’, le ultime settimane sono state davvero pazzesche», mi ha detto all’inizio di marzo, con voce calma. «La gente avrà sempre qualcosa da dire su quello che sto facendo e creerà la propria narrativa. Ma la realtà è che, per tutti quei giorni, sono stato in studio a lavorare su Éxodo». Mi aggiorna su altre cose importanti accadute durante quel turbine di eventi. La vittoria ai Grammy, dice, è stata «surreale»; l’incontro con Jay-Z è stato altrettanto sorprendente. «Ero sotto shock, sinceramente. Non sapevo cosa dire. Ho iniziato a balbettare. Gli ho detto che per me era una fonte d’ispirazione e un idolo. È stato pazzesco vederlo voltarsi, guardarmi e dirmi: “Continua a fare le tue cose”. Mi è rimasto impresso e andrò avanti a fare la musica che amo». A Los Angeles mi ha detto di avere in mente un altro sogno: ha iniziato a prendere contatti per girare una serie sulla sua vita, qualcosa che catturi quanto incredibile, intenso e straordinario sia stato il suo viaggio. Pensa che lo farà più avanti nella sua carriera, ma è determinato a portare la cosa a termine. «Vivo o morto, la finirò», promette.

Ma è solo uno dei vari obiettivi che ha per ora. Se l’anno passato è indicativo, Peso probabilmente riuscirà a realizzarlo. Prima di tutto, però, ora deve uscire dal furgone. È rimasto seduto troppo a lungo, ora ha bisogno di fare un po’ di movimento.

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Produced by Rhianna Rule for Palm Productions
Photography direction by Emma Reeves
Styling by Anastasia Walker
Hair/Barber: David Thomas
Grooming by Dani Perez
Videographer: Brianna Devons
Video Interview Editor: Kim Hoyos
BTS Video Editor: Sasha Fox
Line Producer: Xavier Hamel
Production assistance by Ixtel Garcia and Peter Giang
Lighting Direction by Sebastian Johnson
Photographic assistance by Lance Williams
Digital Technician: Renee Dodge
Styling assistance by Conrad Gyuras
Studio: Hubble Studio
Post Production by Dallas Wing

Da Rolling Stone US.

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