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«Per le Sleater-Kinney è l’inizio di una nuova era»

La morte dalla madre in Italia ha spinto la star di ‘Portlandia’ Carrie Brownstein a fare un passo indietro e lasciare che a cantare fosse solo Corin Tucker. Il risultato è l’album ‘Little Rope’. La nostra intervista

Foto: Jason Williamson

«Sinceramente, avevo bisogno di sentire Corin cantare». Lo scorso autunno Carrie Brownstein stava andando in studio a Los Angeles. Corin Tucker l’ha chiamata per darle il contatto dell’ambasciata americana in Italia che da giorni stava cercando di contattare lei e la sorella. Nessuna delle due aveva un numero di telefono aggiornato abbinato al passaporto e dato che Tucker era indicata come contatto d’emergenza di Brownstein, l’ambasciata ha chiamato lei. Pensava fosse un imbroglio o uno scherzo, ma ha comunque avvisato l’amica per sicurezza.

Brownstein lo ha detto alla sorella ed è entrata in studio a lavorare. Un paio d’ore dopo, quando si è presa una pausa, ha saputo dalla sorella che quattro giorni prima, mentre erano in vacanza in Italia, la madre e il patrigno erano morti in un incidente stradale.

Prima dell’incidente, Brownstein e Tucker stavano già lavorando a un album delle Sleater-Kinney. La tragedia ha scombussolato il loro modo di lavorare affinato nel corso di tanti anni che prevedeva si alternassero alla voce. Dopo la morte della madre, spiega Brownstein, «sentivo di dover suonare solo la chitarra. Non avevo la forza di cantare».

Un anno dopo, Brownstein e Tucker raccontano via Zoom la storia di Little Rope, undicesimo album della band che uscrà il 19 gennaio. È un pomeriggio di fine autunno a Portland, Oregon, e sono ognuna a casa propria, coi loro cani che sonnecchiano appena fuori dall’inquadratura della videocamera.

«Il tono dell’album è cambiato dopo l’incidente», racconta Tucker, «la perdita ha avuto un impatto su tutte le canzoni».

Affrontare la solitudine, il dolore e la sensazione di vulnerabilità che deriva dal rendersi conto di quanto si ha bisogno delle persone a cui si vuole bene sono concetti che chiunque conosce dopo gli ultimi tre anni. Sono i sentimenti che hanno plasmato Little Rope, orientando scelte che vanno dai cambiamenti alle melodie fino alla rielaborazione di canzoni già scritte. Non è un album che ti butta giù. Anzi, comunica fermento e urgenza, dà la sensazione di camminare sul filo.

Le Sleater-Kinney sono sempre state una delle rock band più toste fin da quando a metà anni ’90 sono esplose provenienti dalla scena riot grrrl del Pacific Northwest con testi forti che uniscono il personale al politico. L’urlo inconfondibile di Tucker e le schitarrate selvagge di Brownstein hanno attirato una fanbase appassionata, soprattutto tra le ragazze che sentivano di avere trovato finalmente la loro band.

Brownstein e Tucker hanno pubblicato sette album in dieci anni prima di prendersi una pausa nel 2006. Il secondo atto della band (che ha quasi raggiunto il primo, come durata) è iniziato nel 2015 con il trionfale No Cities to Love. La nuova era è stata anche foriera di grandi cambiamenti: la batterista Janet Weiss, nel gruppo dal 1997, se n’è andata quattro anni fa, dicendo che il suo ruolo nelle Sleater-Kinney era cambiato e «non era più adatta». (La versione di Weiss data in un podcast: «Ho chiesto: quindi adesso sono solo la batterista? Mi hanno risposto di sì. Allora ho domandato se ero ancora un elemento creativo al loro pari nella band. Mi hanno risposto di no. Ho mollato»).

Anche se all’epoca c’è stato un certo risentimento, le tre sono rimaste in contatto. «Ci mandiamo gli auguri di compleanno», dice Brownstein. «È come una famiglia, questa, ed è una cosa che trascende i cambiamenti di formazione». Aggounge Tucker che «lei sarà sempre parte delle Sleater-Kinney e della nostra storia. E noi ci preoccuperemo sempre per lei, vogliamo che stia bene».

Dopo quasi tre decenni insieme in quella che Rob Sheffield di Rolling Stone ha definito la migliore punk-rock band americana di sempre, Tucker e Brownstein potrebbero anche terminare le frasi l’una dell’altra. La sensazione è che non lo facciano perché si divertono a sentirsi parlare. Hanno costruito questa partnership creativa con grande fatica e la proteggono.

Sono le circostanze in cui è nato Little Rope ad avere portato la voce di Tucker più in evidenza del solito. «Mi piace tantissimo, ne avevo un gran bisogno», dice Brownstein.

Per Tucker non è stato facile modellare la voce per adattarla all’intensità dell’album. Canzoni che fanno venire i brividi quando Tucker si lascia andare come Untidy Creatures e Say It Like You Mean It (il secondo singolo estratto dopo Hope) sono state particolarmente complesse da assimilare. Ricorda di aver faticato a portare a termine Say It Like You Mean It, ma Brownstein e il produttore John Congleton, anch’egli fan di vecchia data delle Sleater-Kinney, l’hanno esortata a insistere.

«Una delle cose che mi ha sempre attratto, nella band, è l’espressività pura e semplice della voce di Corin», racconta Congleton. «Le dicevo: continua e basta, cazzo, non preoccuparti di suonare perfetta».

Una notte, Tucker si è svegliata e ha registrato una versione di Say It Like You Mean It sul telefono, intonando «un’altra melodia che comunicava un senso di urgenza e di connessione forte con l’idea di perdita».

«Credo che abbia cantato benissimo», dice Brownstein, «e per me è entusiasmante, sia come ascoltatrice che come membro della band», per poi concludere che «diventerò la PR di Corin».

Brownstein e Tucker, che hanno rispettivamente 49 e 50 anni, pensano sia importante continuare a evolversi a livello creativo. «Detto questo, non è che proviamo a reinventare la ruota ogni volta che facciamo un disco», dice Brownstein. «Non cambiamo genere radicalmente. Non ci mettiamo a fare free jazz o country. Sappiamo cosa funziona in questa band. Cerchiamo solo di forzare un po’ quei paletti, per vedere quanto sono elastici».

Per spiegarsi meglio, entrambe citano un po’ di artisti nuovi che ascoltano ultimamente (Rosalía, Palehound, Blondshell, Olivia Rodrigo), ma anche alcuni di quelli più vecchi, i loro preferiti a cui si ispirano, come Lucinda Williams e Nick Cave. «Ho bisogno di entrambe le cose», dice Brownstein. «Serve Lucinda Williams, ma anche Olivia Rodrigo».

«Mi sembra che le generazioni più giovani non si preoccupino più di tanto dell’età e credo sia una buona cosa», dice Tucker. «È un bene per noi, visto che vogliamo continuare a fare musica».

«Vedo quest’album come l’inizio di una nuova era delle Sleater-Kinney», aggiunge Brownstein. «È un ritorno a tutto ciò che apprezzo nel fare musica con Corin. Mi godrò ogni minuto perché non so quando finirà».

Da Rolling Stone US.

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