Per Brendan Yates dei Turnstile buona parte dell’ultimo anno è stata una specie di sogno, una parola che ripete più volte in questa intervista. Il quarto album della band di Baltimore Never Enough ha ottenuto nomination ai Grammy nelle categorie rock, metal e alternative. Nessuno mai era stato candidato in tutte e tre nello stesso anno. È la ciliegina sulla torta di 12 mesi incredibili.
Il 2025 è stato davvero l’anno dei Turnstile, ben oltre la “Turnstile Summer” promossa da Charli XCX. Per Yates, il fatto che siano candidati in tre diverse categorie è il segno della ampiezza delle loro influenze. «Da sempre nel dna della band ci sono tante musiche diverse».
Cos’è un genere musicale oggi?
È una cosa soggettiva. Il genere può essere una buona guida per trovare suoni che ti piacciono. In quanto all’hardcore, è forse più una cultura e una comunità che un genere. A un concerto hardcore ci possono essere band dal sound molto diverso che però condividono qualcosa di profondo, di essenziale. Siamo cresciuti andando ai concerti punk e hardcore, ma siamo cresciuti anche ascoltando rock, metal, alternative, R&B, rap, elettronica, di tutto. Non ci siamo mai negati il piacere delle musiche che hanno fatto parte delle nostre vite e influenzati, da quello che mettevano su i nostri genitori quando eravamo piccoli in poi. Tutti assorbono le cose verso di cui sono attratti. È importante non chiudersi in una gabbia per proteggerti da quello che ti attira.
Com’è cambiato il vostro sound negli ultimi due dischi?
Quando scrivi hai dei motivi musicali che restano lì, che persistono. Sono mantra che ti restano in testa e che canti più e più volte e che un giorno potrebbero diventare canzoni. Per scrivere l’ultimo disco mi sono chiuso in una stanza con un synth, una chitarra e un pianoforte. Se il synth è finito in molte texture dell’album è perché ho passato tanto tempo mettendoci su le mani. Partire da una cosa semplice può plasmare la direzione di un disco.
Quali erano i mantra che ti ronzavano in testa?
La canzone Never Enough ce l’avevo in testa da parecchio. Hai parole e melodie in mente molto prima che prendano forma. Parlava di tante esperienze diverse, l’amore che non basta mai o una cosa che non riesce ad avere un impatto duraturo, la sensazione di inseguire e rincorrere costante. Può diventare un modello mentale da cui, se rimani intrappolato, è difficile uscire. Quando lo abbiamo messo su, abbiamo capito subito che Never Enough avrebbe dato una direzione alla stesura del disco. Rifletteva gli ultimi anni delle nostre vite, dall’album precedente in poi.
Mi pare che nelle canzoni ci sia molta vulnerabilità, che magari non emerge al primo ascolto, né tantomeno nel pit.
Cerco sempre di esprimere ciò che sto provando in un dato momento, è il bello della musica. A volte con gli amici parliamo del fatto che le canzoni diventano segnalibri della tua esistenza solo che, magari cinque anni dopo, quelle stesse canzoni possono assumere un significato completamente nuovo, crescono assieme a te. È bella questa cosa che la musica cresce con te e significa cose diverse in fasi diversi della vita. Cerco sempre di farci attenzione. Perché suonare live dà alle canzoni un’altra importanza grazie allo scambio col pubblico.
Il concerto a Baltimora è stato bellissimo.
Stiamo ancora cercando di elaborare quanto è stato speciale quel giorno. Non solo poter suonare nella nostra città e raccogliere fondi per l’assistenza sanitaria, per i senzatetto, ma farlo di fronte ad amici e famigliari, persone con cui siamo cresciuti, alcune che vediamo sempre, altre che non vedevamo da una decina d’anni. È sembrato un sogno, davvero. È stato uno dei concerti più importanti che abbiamo fatto.
Cosa c’è dentro un disco dei Turnstile oggi? Avete fatto un intero film per il disco, sembra quasi arte immersiva.
Lo volevo fare da un pezzo: un film intero legato a un album. Ma è sempre sembrata una cosa impossibile, un’impresa folle. mentre scrivi e inizi a dar forma alle canzoni, coi suoni arrivano delle immagini, colori, ambientazioni. Quando abbiamo finito il disco, ci siamo ritrovati con una sorta di canovaccio su un film in grao di dare alle canzoni una vita oltre la musica.
Amo la scena in cui durante Birds pogano tutti in quel campo bellissimo.
È stata una cosa speciale perché non era un concerto vero e proprio, ma la nostra prima esperienza di condivisione delle nuove canzoni con la gente. È sembrato un sogno.
Ti piacerebbe comporre una colonna sonora?
Tantissimo. Non l’ho mai fatto, ma l’ho sempre sognato. Spero che un giorno arrivi l’occasione.








