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Peaches e la filosofia del «Se ti sto sul cazzo, allora anche tu stai sul cazzo a me»

Peaches è tornata a scandalizzare i perbenisti con il suo nuovo disco, "Rub". L'abbiamo intervistata ed è stata una conversazione illuminante
It's Peaches, bitches! Foto: Stampa

It's Peaches, bitches! Foto: Stampa

Peaches è una costante. Non cresce, non decresce. Temi, mode, opinioni mutano forma e direzione ma lei, Merrill Beth Nisker, canadese, 47 anni a novembre, sembra del tutto allergica al bon ton del music business. Ed è lecito chiedersi se una vita passata ad abbattere le distinzioni fra generi con testi espliciti e tette e cazzi sullo stesso costume le abbia mai creato qualche problemino. Nella vita di tutti i giorni, intendo. «La regola è semplice. Se ti sto sul cazzo, allora tu stai sul cazzo a me», mi risponde con tutta la calma del mondo: «La gente che si sente offesa da me mi offende. Di deficienti è pieno il mondo, ma non ho mai avuto grossi problemi nel quotidiano». La sua voce al telefono ha un non so che di rilassante, spaventosamente sensuale.

Al momento dell’intervista si trova a Parigi per promuovere l’album, sebbene la sua sede operativa sia Berlino da ormai 15 anni. Approfitto subito per chiederle se consiglierebbe la capi- tale tedesca a chi attualmente non sguazza in una situazione socio-politica poi così idilliaca. Non ha dubbi e gira pure il coltello nella piaga: «Berlino è davvero stimolante, e poi è umana». Però, occhio, la regola non si applica all’intera Germania. «Ci sono posti come Monaco dove la gente è troppo bacchettona, conservatrice. A Berlino invece la mentalità è aperta, sia verso le nuove forme d’arte che verso i problemi. Pensa soltanto alla questione dei rifugiati di questi giorni».

Eppure, ogni buona parola spesa per elogiare l’aria berlinese post-Bowie va a farsi benedire quando si finisce a parlare di Rub: il nuovo album uscito il 25 settembre per I U She Music. «Se non stai attento, puoi finire inghiottito dal vortice di distrazioni di Berlino. Quella città è troppo divertente per essere produttivi. Avevo bisogno di uscire da lì per un po’, perciò ho scelto Los Angeles per registrare il nuovo disco. Ho comprato una bella casettina e nel garage ci ho montato uno studio di registrazione». Una mossa saggia, e poi a L.A. «ci trovi sempre Kim Gordon», sua amica e improbabile allenatrice di wrestling nel video di Close Up, perla comica su base dubbosa come molte altre in Rub.

A sentirla parlare, sembra quasi che per Peaches il criterio per scegliere i collaboratori sia lo stesso di quando scorri la rubrica in cerca di un compagno di sbronza: «Nell’album c’è anche una traccia con Feist» la pronuncia corretta è “faist”, non sbagliatelo mai. «Siamo vecchie amiche. Eravamo coinquiline molti anni fa in Canada».

Se poi c’è un argomento su cui è bene dosare le parole è la diseguaglianza fra i sessi. Peaches è fermamente convinta che il problema sia più attuale che mai, arrivando persino a trasformarsi da intervistata a intervistatrice. «E tu, non credi che in Italia ci sia?». Ovvio che c’è, soltanto che qui le lotte si sono sempre fatte a parole, nei comizi elettorali. Non di certo adottando armi efficaci, dissacranti, tipo l’ultimo video di Dick in the Air, in cui va in giro insieme all’attrice Margaret Cho roteando un cazzo che svetta da una tuta rosa. Una via di mezzo fra il twerking e il classico “put your hands in the air”.

In questo senso, la comicità è una parte fondamentale del soggetto Peaches: «Adoro scherzare, adoro i comici. La comicità è un’arma assurda, perché ti permette di comunicare qualcosa e allo stesso tempo divertire. Il messaggio risulta più efficace. Credo di aver frequentato più comici che musicisti in vita mia». E anche in quanto a sarti e stylist, Peaches non scherza. Non esiste sua esibizione senza un costume volutamente osceno, magari ricoperto di tette (opera di una delle sue ballerine): «Per i vestiti con cui mi esibisco, mi affido completamente ad amici. Non basta che siano bravi, dev’essere gente che conosco molto bene. Persone di cui mi fido. Come John Renaud e Charlie Le Mindu, non so se hai presente, lui fa delle acconciature estreme. Il vantaggio dell’essere amici è che non devo sempre farmi viva io, le proposte di nuovi travestimenti arrivano di continuo e sono tutte ben accette. Ma non ho abbastanza soldi per realizzare tutto ciò che vorrei». E purtroppo su questo siamo sempre d’accordo tutti.

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di ottobre.
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