Ora gli Inhaler devono dimostrare quanto valgono | Rolling Stone Italia
La rivincita delle chitarre

Ora gli Inhaler devono dimostrare quanto valgono

Al debutto avevano tutti gli occhi addosso per via del padre del cantante Elijah Hewson (Bono degli U2). Hanno dimostrato di sapersela cavare e ora rilanciano con le canzoni-inno di 'Cuts & Bruises'. L'intervista

Ora gli Inhaler devono dimostrare quanto valgono

Inhaler

Foto: Lewis Evans

Il cantante Elijah Hewson è il figlio di Bono degli U2, ma si capisce che non ha alcuna intenzione di passare per un raccomandato. Certo è che gli Inhaler, la band che Elijah ha messo in piedi con il bassista Robert Keating, il chitarrista Josh Jenkinson e il batterista Ryan McMahon, partono avvantaggiati da un lato e svantaggiati dall’altro, come hanno dichiarato loro stessi. «Perché se è vero che certe porte si possono aprire più facilmente, dobbiamo dimostrare di essere davvero bravi se vogliamo che non si chiudano in fretta».

Al momento i risultati sono dalla loro parte, con l’album d’esordio del 2021 It Won’t Always Be Like This i quattro di Dublino sono volati in cima alla classifica del Regno Unito. E visto quanto è cresciuto l’hype attorno alla band in questi mesi è facile prevedere che accadrà lo stesso con il secondo disco Cuts & Bruises, in uscita il 17 febbraio: fondendo un certo gusto vintage con sonorità indie rock, echi di Arctic Monkeys e Killers e un’inclinazione smaccatamente pop fatta di melodie e riff di chitarra contagiosi, gli 11 brani che lo compongono hanno tutte le qualità per spingere ancora più in alto il giovane quartetto.

«Ma basta secondi album, troppa pressione!», scherza Elijah prima di farsi più serio. «È stato difficile chiudere questo disco, abbiamo dovuto prendere alcune decisioni in fretta, perché avevamo meno tempo rispetto a quando abbiamo lavorato sul primo. Al tempo stesso, però, pensiamo che questo ci abbia resi dei songwriter migliori, perché quando non puoi riflettere troppo sulle cose l’ego è costretto a farsi da parte e ciò che è bello e meritevole di essere tenuto anziché gettato via diventa subito evidente. In fondo tutto questo ci ha permesso di ritrovare il nostro spirito di squadra, di riconoscerci nuovamente come quattro ragazzi che scrivono canzoni insieme in una stanza prendendosi cura l’uno dell’altro e trovando la forza proprio nello stare insieme: dopo l’isolamento dovuto alla pandemia, è stato rigenerante».

“I’m not dead, I’m feeling so alive”, canta il 23enne Elijah nel fortunato e riuscito singolo Love Will Get You There, versi che esprimono una positività che pervade l’intero album e che lui e gli altri Inhaler hanno ricercato con determinazione. «Fare un disco deprimente in un periodo buio come quello che stiamo vivendo sarebbe stato… prevedibile. Al contrario, volevamo scrivere delle canzoni-inno in grado di trasmettere gioia alle persone». Lo hanno fatto, come già per il loro debutto, con la complicità di Anthony Genn degli Hours, musicista che alla fine degli anni ’80 ha suonato il basso con i Pulp di Jarvis Cocker, nei ’90 è stato in tour come tastierista con gli Elastica, e già al fianco di Joe Strummer, Scott Walker, Robbie Williams: nei crediti di Cuts & Bruises compare sia nelle vesti di produttore, sia nel ruolo di co-autore. «È il nostro papà musicale», afferma Ryan. «Ed è uno che detesta che il potenziale umano vada disperso. Con la sua esperienza e la sua mente eclettica ci ha motivati e ci ha insegnato tantissimo, inclusa la disciplina».

Disciplina che gli Inhaler ritengono essenziale anche in tour, loro che non nascondono l’ambizione di conquistare gli stadi («Perché no, è il sogno di tutti») e che nel 2023, oltre a tornare in Italia a maggio (il 13 all’Estragon di Bologna, il 14 all’Orion di Roma, il 16 all’Alcatraz di Milano), saranno nuovamente sui palchi con gli Arctic Monkeys, dopo aver aperto alcune date di Alex Turner e soci l’estate scorsa. «Dopo i concerti preferiamo stare sul tour bus a guardarci un film o altro. Capita che si faccia festa, certo, ma non è una regola, non siamo costantemente alla ricerca di party affollati e perlopiù preferiamo evitare di sballarci, se no poi rischi di bruciarti», dice Elijah.

A proposito degli Arctic Monkeys aggiunge: «Sono da sempre i nostri idoli, suonare prima di loro ci ha fatto sentire dei ragazzini alle prime armi, li osservavamo e prendevamo appunti. Del resto, noi verso i 13-14 anni pensavamo che imbracciare una chitarra fosse una delle cose più fighe da fare e sono stati loro, nel 2013 con AM, a cambiare le regole del gioco per la musica rock: quell’album ha ridefinito gli ascolti di molta gente». E conclude: «Oggi c’è un sacco di musica iper-prodotta in giro, e non è necessariamente una cosa negativa, ma noi siamo cresciuti ascoltando guitar band come gli Arctic Monkeys e gli Strokes. Gli anni ’90 e i primi 2000 sono stati gli ultimi momenti che hanno visto dei gruppi indie rock diventare mainstream ed è bello pensare di poter fare in modo che quella possibilità sia nuovamente realizzabile. Abbiamo l’impressione che da qualche anno la guitar music stia vivendo una sorta di revival. È qualcosa che accade ciclicamente e adesso, dopo una fase dominata dall’hip hop e dal rap, ci pare si stia ritornando da quelle parti. Basti pensare ai Fontaines D.C., che hanno un sound diverso dal nostro, ma ci piacciono molto».

Un’altra soddisfazione che gli Inhaler si toglieranno sarà quella di aprire, il prossimo 10 giugno, lo show di Harry Styles in un luogo mitico per gli irlandesi come lo Slane Castle, dove gli U2, oltre a suonare come tanti altri, dai Queen a Madonna, da Eminem a David Bowie, hanno registrato l’album The Unforgettable Fire del 1984. Quarant’anni dopo il figlio di Bono e compagni hanno concepito il loro secondo disco in un’altra location che nella biografia inviata ai giornalisti viene chiamata Nunnery e definita «un ex convento in disuso a Dublino». Chiediamo spiegazioni, ce le fornisce Ryan: «Si tratta della nostra sala prove in Irlanda, ma non possiamo svelare dove si trova, è la nostra Batcaverna. Ci abbiamo passato gran parte del tempo per quasi un anno, scrivendo canzoni, suonando, cazzeggiando con gli amici, prima di registrare al Narcissus Studio di Antony a Londra. Non è una cosa da poco avere un luogo lontano da casa dove lasciar scorrere la creatività liberamente».

È lì che sono nate le tracce di Cuts & Bruises, anche sotto l’influenza dell’acclamata docuserie The Beatles: Get Back di Peter Jackson. «Ci ha fatto capire che persino i Beatles discutevano, ma che poi, anche grazie all’amicizia che li legava, l’ispirazione arrivava e accadeva la magia», spiega Elijah. Non solo: «Guardando quel film abbiamo compreso quanto la spontaneità sia importante per arrivare a scrivere delle belle canzoni. Mi viene in mente un passaggio in cui, durante una session, George Harrison ammette di non avere ancora completato il testo di Something, che gli manca il seguito del verso “attracts me like…”. Così Lennon gli suggerisce di provare a dire la prima cosa che gli viene in mente e lui: “attracts me like a pomegranate” (poi diventato “like no other lover”, nda). È una delle scene più divertenti che abbia mai visto. Insomma, stiamo parlando di una delle canzoni d’amore più belle della storia della musica! Eppure è stata scritta così, lasciandosi andare, e proprio per questo è così autentica».

Il frontman degli Inhaler ritiene anche che Get Back sia stato «terapeutico per molte giovani band», e il discorso si sposta sul tema del burnout che colpisce molti artisti quando il successo li costringe a ritmi frenetici. «Sappiamo cosa significa, l’anno scorso ci siamo andati vicini, eravamo divisi tra il tour e il lavoro sul nuovo disco ed era come avere avere il cervello diviso in due parti in lotta l’una contro l’altra». E conclude: «Quella della salute mentale e dei burnout dovuti a troppi impegni e concerti è una questione cara alla nostra generazione e che sta a cuore anche a noi. Proviamo il massimo rispetto per chi arriva a cancellare delle date nel momento in cui sente di non stare bene. Si è rotto un tabù, finalmente certe problematiche sono venute allo scoperto ed è un bene che se ne parli apertamente».

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