OneMic, cronache sonore di un’epoca in cui il rap italiano «se ne sbatteva» | Rolling Stone Italia
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OneMic, cronache sonore di un’epoca in cui il rap italiano «se ne sbatteva»

Spariti dalla circolazione, i dischi del trio formato da Ensi, Raige e Rayden stanno per tornare. Erano i primi anni 2000. «Eravamo spensierati e inconsapevoli del mercato, e quindi sperimentavamo»

OneMic, cronache sonore di un’epoca in cui il rap italiano «se ne sbatteva»

I tre OneMic sulla copertina di 'Commerciale'

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Tra le tante discografie che si sono perse nella notte dell’hip hop italiano – ovvero quel periodo buio che va dai primi anni ’00 al debutto dei primi rapper in major, a cavallo tra il 2006 e il 2007 – c’è anche quella targata OneMic. Il trio made in Alpignano, un piccolo comune alle porte di Torino, vedeva schierati tre giovanissimi MC pieni di talento, Raige, suo fratello minore Ensi e Rayden. I loro lavori collettivi sono quattro: il promo OneMic, gli album Sotto la cintura e Commerciale, l’EP Cani di paglia. Nessuno dei quali era disponibile su Spotify: come spesso capita con i prodotti di quell’epoca, o li possedevi o non potevi più ascoltarli. Almeno fino a questa settimana, perché venerdì verranno finalmente resi disponibili per lo streaming.

«Ripubblicare quel materiale è stata un’esigenza, un po’ perché ce lo chiedevano i fan, un po’ perché siamo rientrati in possesso di alcuni master e potevamo finalmente farlo», spiega Raige, che oggi è un apprezzatissimo autore pop (tra i tanti brani che ha firmato con il suo nome di battesimo, Alex Vella, c’è Il mestiere della vita di Tiziano Ferro). «Riascoltarli oggi è un bel trip: dentro ci trovo tutta la nostra spensieratezza e l’assoluta mancanza di consapevolezza di quello che era il mercato discografico, una cosa che ci portava a sperimentare tantissimo. Non è un caso se di solito quelli che cambiano le sorti della musica sono i ventenni: è perché, scusa il francesismo, non sanno un cazzo e se ne sbattono, agendo d’istinto».

Ai tempi l’hip hop non era neanche un mercato discografico vero e proprio, tant’è che tutti loro lavoravano o studiavano, portando avanti la loro attività di rapper in parallelo. «Venivamo da un rap che parlava solo agli adepti del rap: per anni abbiamo pensato che ci ascoltassero solo i nostri colleghi, e in un certo senso era proprio così», ricorda Ensi, l’unico tra di loro ad aver proseguito una carriera sul palco. Noti fanatici del freestyle, delle rime a effetto e della tecnica, i tre OneMic in effetti sono sempre stati particolarmente apprezzati soprattutto dai veri cultori del genere, quelli che non si accontentano di ciò che passa il convento. «Il nostro primo disco era una roba davvero estrema», dice Rayden, che oggi nella vita fa tutt’altro. «C’era una spinta e una ricerca stilistica super pompata: il rap di allora non voleva essere facile, voleva portare un prestigio lirico».

Raige, che visto il mestiere che ha intrapreso ormai se ne intende, fa notare che forse il limite principale di quei primissimi album era un altro: «Quello che mancava, soprattutto in OneMic e Sotto la cintura, era la capacità di costruire una canzone: c’erano pezzi che duravano sei minuti, un’infinità per gli standard attuali. Per il resto, a livello tecnico, di incastri e lirico non ho nulla da dire: quelle tracce sono ancora ineccepibili». Sono orgogliosi e felici dal fatto che quei dischi siano stati oggetto di studio da parte dei rapper di generazioni successive, spiega Ensi. «Ce lo dicono spesso: l’eredità che abbiamo lasciato ha spinto i ragazzi a utilizzare le punchline in maniera non fine a se stessa. Ma anche a dare una forma estetica migliore alle barre, trovando le rime interne, i tripli sensi alle parole, ma sempre cercando di dare un senso ai testi. Ogni nostra canzone aveva un argomento, ed è la cosa di cui vado più fiero: anche nel nostro sfoggio di stile, siamo sempre riusciti a dire delle cose».

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Il successo del gruppo è sempre rimasto una faccenda di nicchia, per motivi più strutturali che altro. «Abbiamo iniziato a fare rap nel momento peggiore per il rap italiano», osserva Raige. «Poi, quando siamo arrivati a cavalcare l’onda con Commerciale, eravamo un pelo in ritardo. Non abbiamo mai avuto un gran tempismo. E il nostro leitmotiv a livello estetico era il cosiddetto brutto outfit!», ride. «Oggi, più che gruppi veri e propri, ci sono dei collettivi, da cui emergono un frontman e poi qualche altro membro minore. Noi ci consideravamo alla pari e volevamo solo spaccare tutto, al di là dei numeri: in questo essere in tre ci ha aiutato, perché c’era continuamente un’amichevole competizione tra di noi, e la competizione stimola il talento». Forse anche per quello, prosegue Ensi, «ancora oggi mi basta dire OneMic e scoppia l’inferno: abbiamo fatto una cosa grossa, anche più grossa di quelle che abbiamo realizzato singolarmente, perché rimane iconica e granitica nel tempo». Ma, inutile negarlo, è anche perché la loro discografia è legata a un periodo ormai circonfuso da un’aura mitologica, in cui le leggende metropolitane e gli aneddoti si sprecano.

Particolarmente selvagge, ad esempio, sono state le varie trasferte per i concerti dei tre, ormai tramandate per passaparola, nella migliore tradizione della storiografia orale. «Non avevamo un tour manager, neanche quando abbiamo cominciato ad avere delle date più importanti, così ci circondavamo di personaggi più o meno folkloristici che giravano con noi e ci davano una mano», racconta Raige. «Una volta siamo andati a suonare in Germania: era un live di presentazione di Sotto la cintura, perciò era il 2005. Un viaggio della speranza, dieci ore di macchina in cui per passare il tempo e tenerci svegli abbiamo avuto la malaugurata idea di fare freestyle senza sosta». Date le premesse, in cuor loro erano convinti di esibirsi di fronte a quattro gatti, ma «quando siamo arrivati lì il locale era strapieno la gente era gasatissima, alcuni cantavano pure i pezzi a memoria», sorride Rayden. «C’era perfino un gruppo di ragazzi di Torino che si era fatto la trasferta in macchina per seguirci fino alla Foresta Nera e vederci suonare lì. Pazzesco».

La situazione era sempre molto rock’n’roll, anche perché praticamente non esistevano i budget per le trasferte: «L’albergo non c’era quasi mai, abbiamo dormito in tutte le stazioni d’Italia almeno una notte. Oppure ci arrangiavamo, come quella volta che dovevamo andare in Salento alla finale del 2theBeat e, dopo che il bigliettaio della stazione di Alpignano mi aveva riso in faccia quando gli avevo detto che dovevo arrivare fino a Lecce, siamo partiti in macchina da Torino alle 2 del mattino», dice Ensi con una punta di orgoglio. E là dove un letto c’era, non era proprio quello previsto. «Una volta eravamo a Gorizia per una data: il posto era super malsano, la gente fumava dentro, ai tempi era normale», racconta Rayden. «Ci avevano messo a dormire in un soppalco del locale, una cosa che sfidava ogni norma igienica e il buonsenso. La mattina dopo facevo quasi fatica a respirare, da quanto l’aria era viziata». E che dire della volta che a Campobasso un contest di freestyle tra rapper locali degenera in una maxi rissa? «Mazzate da ogni parte, la gente tra il pubblico e sul palco se le dava di santa ragione», si sbellica Raige. «Quando gli organizzatori ci hanno finalmente presentati e hanno aperto il sipario, dentro il locale non c’era più nessuno: erano tutti fuori a menarsi». «È uno dei miei ricordi più belli legati al freestyle», chiosa Ensi unendosi alle risate generali.

I quattro dischi da venerdì 17 giugno su Spotify

Nonostante i fan ci sperassero molto, al momento Ensi, Raige e Rayden non hanno intenzione di riaprire il capitolo OneMic con materiale inedito. «Sono stati una parte fondamentale della nostra vita, ma al momento non c’è l’esigenza di fare nuova musica insieme, anche perché l’unico artista ancora in attività tra di noi è Ensi», spiega Raige. Non c’è alcuna paura di confrontarsi con le aspettative della gente, chiarisce suo fratello: «Semplicemente, al momento non lo faremo. Magari più avanti cambieremo idea, chissà. In fondo, OneMic è un progetto che non abbiamo mai dichiarato ufficialmente chiuso».

La bella notizia, però, è che in concomitanza di questo debutto su Spotify i tre rapper stanno pensando a un ritorno nella dimensione che più è loro congeniale, quella dal vivo: «Sarebbe una bella occasione per fare un regalo ai fan che ci supportavano allora, e per dare modo a chi all’epoca ancora non c’era di conoscerci nella nostra veste migliore», dice Ensi. Stavolta con un letto vero in cui dormire, un tour manager e in situazioni meno aneddotiche, ne siamo sicuri. I piccoli piaceri dell’età adulta.

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