Olivia Rodrigo – Avere vent’anni | Rolling Stone Italia
Cover Story

Olivia Rodrigo
Avere vent’anni

Come reggi il peso delle aspettative se sei l’emergente numero uno al mondo e sei a malapena ventenne? Ad esempio facendo un disco non troppo serioso. Abbiamo incontrato Olivia Rodrigo alla vigilia della pubblicazione del secondo album ‘Guts’. Ritratto di una popstar «col sole in tasca» che sta cercando il suo posto nel mondo

Foto: John Yuyi per Rolling Stone US. Abito: Marine Serre

«Wow, ho appena fatto un parcheggio parallelo per te». Sono con Olivia Rodrigo a bordo della sua Range Rover nera davanti allo studio del suo produttore Dan Nigro a Highland Park, Los Angeles. Lei ha un outfit da urlo (abitino corto a fiori, stivali alti in pelle marrone, dita inanellate), ma è infastidita da un brufolo che le è spuntato tra le sopracciglia. Da sei mesi prende l’Accutane contro l’acne, ma le secca le labbra e quindi nel portabicchieri ci sono un po’ di stick di Burt’s Bees e due minitubetti di Aquaphor. Tutte cose normali per un ventenne, a parte il fatto che sul calendario del display del computer di bordo c’è scritto “intervista per Rolling Stone”.

Quella del parcheggio parallelo è una storia divertente. Due anni fa in Brutal Rodrigo cantava: “Non sono cool, non sono intelligente e non so nemmeno parcheggiare in parallelo”. Risultato: più di mezzo miliardo di ascolti in streaming. La canzone apriva Sour, il debutto pop più atteso degli ultimi anni. È l’esordio di un’artista donna più ascoltato su Spotify nella prima settimana e ha portato a compimento la trasformazione di Rodrigo da adolescente della scuderia Disney in una delle popstar più grandi del pianeta. Tutto in sei mesi scarsi. Ha vinto tre Grammy, si è esibita al SNL, ha cantato due pezzi con Billy Joel al Madison Square Garden. È perfino stata dal Presidente, alla Casa Bianca, nell’ambito di una campagna per convincere i giovani a vaccinarsi contro il Covid-19. Ora che le è riuscito anche il parcheggio parallelo, deve giusto capire cos’altro le rimane da fare.

La priorità, al momento, è resistere alla pressione fortissima per eguagliare i risultati di Sour e magari superarli col nuovo album Guts. «All’inizio è stata dura. Non riuscivo a scrivere una canzone senza domandarmi che cosa avrebbe detto la gente. Certi giorni mi sedevo al pianoforte entusiasta di scrivere un pezzo, ma finivo in lacrime».

«Quando arrivi al secondo album hai un bel casino in testa», dice Katy Perry, che ha dovuto affrontare aspettative simili ai tempi di Teenage Dream, 13 anni fa. «Hai tutta la vita per fare il primo disco e due anni scarsi per il secondo. E intanto attraversi un periodo di grandi cambiamenti. Ti dici: “Wow, adesso posso comprare un’auto a mia madre” oppure “Non devo più stressarmi come prima”. Ma là fuori è una giungla».

Perry si è offerta di fare da mentore a Rodrigo. «La prima volta che l’ho incontrata», racconta, «le ho messo le mani sulle spalle e le ho detto: “Ascolta, per qualsiasi cosa, io sono qui”. So esattamente quel che passano le ragazze del pop e quando stavo crescendo io nessuno si è offerto di fare lo stesso per me».

Nigro, un ex rocker alternativo sui 40 anni, è il collaboratore più stretto di Rodrigo e l’ha aiutata ad alleviare l’ansia. «Dan mi diceva di andare a casa a riposare», ricorda lei. Insieme combattevano quella cosa che scherzosamente chiamavano «il terrore» facendo spuntini a base di hamburger o piatti taiwanesi, a volte anche Taco Bell. «Ho mangiato davvero bene, lavorando al disco», scherza la cantante. Andava spesso a trovare la figlia di un anno di Nigro. Le assaggiava la pappa («Cazzo, è deliziosa!») e le regalava vestitini adorabili. Secondo Rodrigo, «è la cura migliore per il blocco dello scrittore».

Guts passa dal pop-punk ai brani intimisti e suggerisce che, dopo le delusioni d’amore che l’hanno portata al multiplatino, Rodrigo si sta finalmente lasciando andare: è una ventenne libera e selvaggia che non si tira indietro di fronte a nulla. “Ho il sole in tasca, cazzo, faresti meglio a crederci”, canta nell’euforica All-American Bitch. In Get Him Back! è divertita: “Era egocentico, aveva un caratteraccio e l’occhio sfuggente / Ha detto di essere alto due metri e io gli ho risposto: ‘Bel tentativo, amico!’”.

«L’idea era fare qualcosa di più leggero, un disco che non si prendesse troppo sul serio», dice Rodrigo, sapendo che la maggior parte dei fan ha letto Sour come una reazione alla rottura con Joshua Bassett, il co-protagonista di High School Musical: The Musical: The Series. «L’ultimo album era su una rottura sentimentale e me ne rammarico molto. Ho provato a non farlo, ma è andata così. Adesso sono più felice, le cose girano bene, non volevo fare un album devastante, di ballate».

L’artista che ha attirato l’attenzione dell’America cantando “Sono stufa di avere 17 anni / Dove cazzo è il mio sogno da teenager?” adesso è un’adulta. Di recente è diventata newyorchese e si è comprata un appartamento nel Greenwich Village (a quanto pare, con tanto di cimici nei materassi). «Vivere da sola fa paura. Ho sempre il terrore che entri qualcuno e mi uccida, o che un fantasma venga a perseguitarmi». In realtà vive su entrambe le coste, ha una casa in affitto a Beverly Hills e spera di comprarne una un paio di quartieri più in là, a Los Feliz. «Mi divido equamente tra le due coste. Mi chiedi se potrei mai vivere tutto il tempo a New York? Dico solo che adoro andare in auto. Ascolto nuova musica solo in macchina, non c’è niente di meglio».

A febbraio compirà 21 anni. «Mi piace il pensiero di potermi sedere in un bar e chiacchierare con degli sconosciuti», dice. Guts parla proprio di tutti questi momenti legati a una libertà appena conquistata. «In quest’album ci sono la crescita e il processo di inserimento nel mondo, in tutta la sua goffaggine. Sto crescendo a passi da gigante».

Continuiamo il viaggio in auto e Rodrigo ammette di essere una che prende parecchie multe per divieto di sosta. Una volta ha anche urtato la macchina del vicino di casa di Nigro (il proprietario se non altro è stato gentile). «Era solo un graffietto, ma ho pianto tantissimo. Hai presente la sensazione che si prova quando sbatti contro qualcosa in auto? È come se lo stomaco ti uscisse fuori dal culo».

Ci aggiriamo per viali alberati e il panorama inizia a sembrare tutto uguale. «Ho preso la strada giusta?», chiede, parlando fra sé e sé. «Potremmo andare a farci un giro».

Lo studio di Nigro è in una casa grigiastra circondata da siepi, con ghiaia e felci a far da guardia di una porta color cachi. Ora Nigro vive a Pasadena, ma lavora ancora qui dove è stato inciso Sour e una parte di Guts (il resto è stato registrato all’Electric Lady di New York). Rodrigo mi fa fare un giro, apre e chiude rapidamente una porta dietro cui si intravede un seggiolone in mezzo al disordine per poi accompagnarmi in fondo al corridoio. Lì c’è una stanza con una batteria, un pianoforte verticale Yamaha e una panca tinta arancione bruciato che fa molto anni ’70. C’è una lavagna su cui, a pennarello verde, è scritta la tabella di marcia per le registrazioni di Rodrigo, con dei cuori rossi accanto ai titoli dei singoli Vampire e Bad Idea Right?.

La stanza che funge da studio principale ha una bella atmosfera accogliente creata da tappeto persiano rosso e da una tenda in macramè. Appesa al centro della camera c’è la copertina incorniciata del classico di Neil Young del 1970 After the Gold Rush, vicino a un poster della vecchia band di Nigro, As Tall as Lions. Lungo la parete sono allineate delle mini Polaroid che ritraggono vari ospiti dello studio, dalla cantautrice indie Zella Day a Carole King.

Nell’angolo del soggiorno, tra il caminetto e la porta scorrevole in vetro che dà sul patio, c’è un giradischi a cui sono appoggiate pile di LP. Lei li prende e si sofferma su Sour (sulla copia personale del suo produttore ha scritto: “To Dan, suck it!”) e poi su Desire, I Want to Turn Into You di Caroline Polachek, che contiene un pezzo prodotto da Nigro. «È bravissima dal vivo», dice Rodrigo, che l’ha vista al Greek Theater nel 2021.

Olivia ha riflettuto molto su Desire, I Want To Turn Into You, l’album uscito dopo l’esordio solista di Polachek Pang, e l’ha preso a modello per evitare la crisi del secondo album. «Non è un cambio di rotta radicale rispetto al primo, ma suona nuovo e fresco. Non è che volessimo reinventare la ruota». Ci sono altri secondi album che le piacciono: A Rush of Blood to the Head dei Coldplay e Teenage Dream di Perry. «Ha piazzato cinque hit al numero uno, con quell’album», dice, e spiega che Part of Me di Perry è uno dei suoi documentari musicali preferiti. «Quell’album è bello e speciale».

In Guts c’è un pezzo intitolato Teenage Dream, ma secondo Rodrigo è una semplice coincidenza. «Abbiamo anche pensato di cambiare il titolo perché se qualcuno cerca Teenage Dream su Spotify, non c’è verso che la mia canzone compaia per prima». In ogni caso, alla sua mentore la cosa non dà fastidio. «È bello vedere che quel concetto continua ad essere applicabile», dice Perry a proposito del titolo. «Lei è un’artista. È un po’ come Fleabag: scrive dei nostri pensieri più reconditi, le cose che non abbiamo il coraggio di confessare».

Teenage Dream, che chiude Guts, è diversissimo dall’inno pop di Perry del 2010. Inizia come una nenia al pianoforte, ma si evolve in un rock catartico mentre Rodrigo immagina nel testo il giorno in cui non sarà più la stella del pop più giovane e brillante del panorama. Perry ha cantato di non guardarsi mai indietro. Rodrigo preferirebbe non farlo.

«Parla della paura di non essere più un’adolescente e di non avere più l’immagine della ragazzina ingenua o della bambina prodigio», spiega. «Sono cresciuta in questo strano ambiente in cui tutti mi lodavano per il talento che avevo alla mia età, e ora devo affrontare la pressione di incidere un secondo disco e allo stesso tempo chiedermi se la gente continuerà a pensare che sono cool anche se non sono più una diciassettenne che sa scrivere canzoni».

Ora Rodrigo è seduta su un divano in velluto verde, si è levata gli stivali e li ha appoggiati di fianco, svelando dei calzini bianchi a tubo con la scritta “Parental Advisory”. Vicino a noi, nella cucina dello studio, ci sono tre bottiglie di vino sul bancone. Rodrigo dice che c’erano tante bottiglie vuote dopo la festa per la fine dell’album. «Sembravamo degli alcolisti», scherza.

In Guts canta di far festa come non aveva mai fatto prima, come in Bad Idea Right?: “Non ti sento da un paio di mesi / Ma ora sono in giro e sono fuori di testa”. In Making the Bed ammette: “A volte mi sembra di non voler essere dove sono / A ubriacarmi in un club coi miei finti amici”.

È un argomento normalissimo per una persona dell’età di Rodrigo, ma era titubante all’idea di includere alcuni di questi versi. «Mi spaventava l’idea di pubblicarli. Ho tante fan giovani e ne sono consapevole. Ma sono cose vere. Tutti i miei modelli di riferimento non si vergognano di ciò che sono e io non posso scegliere di mostrare solo alcune parti di me. Ma poi, se questo è il mio lato peggiore, allora vuol dire che sto andando abbastanza bene».

Foto: John Yuyi per Rolling Stone US. Vestito: Dilara. Scarpe: Femme. Giolielli: Cartier

Fra le sue influenze principali ci sono dischi di punk e rock alternativo di un’onestà brutale usciti prima che lei nascesse. Quando aveva circa 14 anni, Rodrigo dormiva con un giradischi accanto al letto. Ogni mattina, per svegliarla, sua madre faceva cadere la puntina su Fontanelle delle Babes in Toyland (un altro nel secondo album). Si preparava ascoltando le urla di Kat Bjelland. «Il rock al femminile fatto così, per me, è la cosa più bella del mondo».

Lavorando a Guts, ha cercato di attingere alla potenza delle Babes in Toyland, in particolare in All-American Bitch. Il titolo del pezzo l’ha trovato in Verso Betlemme di Joan Didion. La canzone apre l’album e si scaglia contro chi, ascoltando Sour, ha liquidato Rodrigo come un’adolescente banale dal cuore spezzato: “Perdono e dimentico / So quanti anni ho e mi comporto da adulta”.

«Credo che tutti, in un certo senso, possano rivedersi nella sensazione di essere identificati con uno stereotipo. Quand’ero più giovane ho temuto di apparire ingrata nel caso mi fossi lamentata di qualcosa. Questo atteggiamento mi è stato inculcato e mi ha causato un sacco di problemi. Avevo tanta rabbia che ribolliva dentro di me e facevo sogni in cui davo di matto: accade soprattutto quando si è adolescenti, si è in preda alla confusione, si ha la sensazione che il mondo voglia farci a pezzi e si è molto insicuri. Sentivo che non avrei mai potuto farlo nella vita reale».

Il ritornello di All-American Bitch è più violento delle strofe ed è ispirato a un’altra grande band anni ’90. «Quest’anno ho ascoltato moltissimo i Rage Against the Machine. Oggi come oggi è il mio gruppo preferito. Li sentivo continuamente andando e tornando dallo studio. Vorrei andare alla cerimonia della Rock and Roll Hall of Fame dove ci saranno anche loro». E invece si perderà la serata che si terrà a Brooklyn, il prossimo autunno, a causa di «una sovrapposizione di impegni che non si possono spostare». La cosa la fa impazzire: «Piangerò fino allo sfinimento».

Sa bene che alcuni dei suoi fan più devoti (i cosiddetti Livies) speravano che dopo Sour avrebbe pubblicato un album intitolato Sweet. «Immagino che se fossi stata follemente innamorata avrei scritto un album che si chiamava Sweet», dice. «Non so. Quello dopo cosa dovrebbe arrivare, Umami o qualcosa del genere?».

Innamorata o meno, viene spontaneo domandarsi come possa sentirsi nei confronti dell’Olivia di Sour, quella la cui carriera è esplosa dopo aver pubblicato Drivers License nel gennaio del 2021. «M’intenerisco a ripensare a chi ero. Dico a me stessa: “Perché piangi, ragazza?”. Ma anche: “Non lo sai, ma le cose andranno meglio”».

Mi chiedo se pensa di diventare una di quelle artiste che, una volta cresciute, non si fanno problemi a cantare la hit che le hanno portate al successo. «Ci pensavo l’altro giorno. Ho visto Stevie Nicks fare Landslide in uno stadio strapieno. Non che Drivers License sia Landslide, ci mancherebbe, ma pensare di cantare quel pezzo quando avrò l’età di Stevie Nicks è una cosa potente».

A Rodrigo piace andare dalle cartomanti. Non quelle pessime di Hollywood Boulevard, tiene a precisare, quelle che ti dicono che per purificare la tua energia oscura devi sganciare 5000 dollari. «Quelle buone, da cui sono stata, sono state sempre molto positive. Da una di loro sono andata più volte. L’ho rivista a distanza di un anno e mi ha detto: “Sì, non è andata bene. E lo sapevo già allora, ma non volevo dirtelo perché era necessario che tu affrontassi quella cosa”. Io ho pensato: “Eh, vabbè, ma ok, può essere».

Varie sensitive le hanno detto che avrà due gemelli. «Sono sempre stata fissata con l’idea della maternità», dice, prima di cambiare le carte in tavola: «Tu pensi che avrai dei figli? Scusa, so che è una domanda troppo personale e ci siamo appena conosciute». Siamo sedute fuori da un locale di tacos, in Figueroa Street; lei intinge le patatine nel guacamole e sorseggia un tè freddo. I bambini e il matrimonio sono due dei suoi argomenti preferiti. Ne canta persino nella malinconica Love Is Embarrassing: “Sto pianificando il mio matrimonio con un ragazzo che non sposerò mai”. «Fin da piccola, cercavo nomi per bambini che si abbinassero bene con i cognomi. Vedi quanto sono psicotica?».

A volte ribalta i ruoli dell’intervista e mi fa domande sul mio matrimonio imminente. «Solo un’altra e la smetto di tormentarti». Non vede l’ora di parlare delle canzoni per il matrimonio: lei è anni che pensa alle sue. Al momento, le sue scelte ricadono su Harvest Moon di Neil Young, I Melt with You dei Modern English e First Day of My Life dei Bright Eyes. «Sto letteralmente organizzando il mio matrimonio con te, davanti a dei tacos».

Si commuove quando le dico che vorrei un pezzo di Bob Dylan. «Ha una discografia così enorme che mi sembra di non averla neppure scalfita in superficie». Ha scelto il titolo Ballad of a Homeschooled Girl per una canzone sull’ansia sociale ispirandosi a Ballad of a Thin Man. Al momento le piacciono molto Planet Waves e Blood on the Tracks. Quest’ultimo è il suo album preferito per i viaggi in aereo. «È da tanto che vorrei scrivere una canzone come If You See Her, Say Hello. Lui è una leggenda. Bravissimo».

Il cameriere le chiede una foto e lei gentilmente risponde che preferirebbe farla quando avrà finito di mangiare. È una cosa nuova per lei: in un recente viaggio alle Hawaii con la sua migliore amica Madison Hu (sua ex coprotagonista nella serie Disney Bizaardvark), ha rifiutato di farsi fotografare da chiunque. «Non voglio ferire i sentimenti di nessuno, ma è stato bello. Se non fai le foto, parli con le persone e le conosci meglio».

Come molti altri figli di Internet, Olivia Rodrigo nutre sentimenti profondamente contraddittori nei confronti dei social media: non conosce la vita senza app, ma le trova incredibilmente fastidiose. Soprattutto Instagram, un’applicazione lanciata quando lei aveva sette anni, dove ora ha più di 33 milioni di follower. «Leggevo un libro in cui si diceva che, e sparo un po’ a caso il numero, il nostro cervello è programmato per conoscere bene solo un gruppo di 200 persone al massimo. Non dovremmo sapere cosa fa oggi, in spiaggia, una bella ragazza in Australia. Il nostro cervello non è predisposto per gestire così tante informazioni. Quindi cerco di prendere tutto con le molle. A volte mi deprimo proprio per questa cosa».

Come la maggior parte delle popstar, ha un team che l’aiuta coi social (vuole che siano veri, perché «si capisce sempre se a farli è qualcun altro»), ma quando ha pubblicato Drivers License le cose non stavano così. «Tutta quella merda social mi ha travolta. Ho cancellato i miei account per sei mesi perché eravamo passati da zero a cento in un attimo, è stato un battesimo del fuoco. Ho chiuso tutto per un bel po’ e sono felicissima di averlo fatto. Adesso invece riesco a gestire meglio la cosa, ma all’epoca avevo completamente smesso coi social. Ora sto cercando la giusta via di mezzo».

Quando parla di battesimo del fuoco, si riferisce a come è stata continuamente oggetto di sguardi indagatori dopo il successo di Drivers License. Ascoltatori di ogni età si sono immedesimati nel brano (basti vedere lo sketch di SNL), ma erano anche ossessionati dal tentativo di decifrare la situazione. All’uscita di Sour, milioni di adulti erano interessatissimi a un triangolo amoroso fra adolescenti che, si dice, abbia coinvolto Rodrigo, Bassett e la collega Sabrina Carpenter, un’altra attrice Disney. Nessuno dei tre ha mai rivelato cos’è successo e Rodrigo non ha la minima intenzione di farlo. Che Bassett sia o meno il ragazzo che nella canzone ha ascoltato Uptown Girl con una o più delle sue colleghe, sono curiosa di sapere come si sente lei visto che tanti sconosciuti, su Internet, hanno pensato che sia stata lasciata per Carpenter. Le cito un’intervista che ha concesso l’anno scorso in cui raccontava di aver avuto grossi problemi di salute, come conseguenza dell’accaduto.

«È una domanda difficile. Non ho letto l’articolo di cui parli, ma sì, era tutto assurdo e la cosa è stata gestita in privato». Si corregge subito: «Gestito non è la parola giusta, ma è una faccenda di cui non mi piace parlare pubblicamente. Prendo tutte queste cose sul serio, ma sono private. Non ho intenzione di rilasciare alcuna dichiarazione. Siamo persone vere, queste cose le affronto faccia a faccia, non su Twitter».

Eppure il pubblico non smetterà di cercare di scoprire tutto sulla sua vita privata. A fine giugno, è tornata con la storia sovrannaturale di Vampire e subito i fan hanno ricominciato a indagare. Sospettavano che il brano parlasse del produttore Adam Faze o del dj e influencer Zack Bia, entrambi vicini a Rodrigo e più grandi di lei, da qui deriverebbe il verso che recita “le ragazze della tua età lo sanno bene”. Bia potrebbe essere il “ragazzo figo” che esce solo “di notte” (ha detto a GQ di essere restato a casa soltanto cinque o sei volte negli ultimi quattro anni). Il dibattito potrebbe andare avanti all’infinito, ma quella canzone merita davvero un altro round di indagine pubblica?

«Mi accorgo che me ne importa sempre meno», dice, mentre Wake Up degli Arcade Fire viene sparata a tutto volume dagli altoparlanti del ristorante. «Dietro le quinte, faccio tutte ciò che devo e cerco di essere il più preparata possibile. La gente dica quel che vuole. Più cerchi di controllare questa cosa, più sei infelice e più il problema s’ingigantisce. Io mi limito a scrivere canzoni, non è compito mio spiegarle alla gente».

In una call su Zoom, un mese e diverse interviste con altre pubblicazioni dopo, mi dice una cosa leggermente diversa. «Parlo troppo ed è una cosa che ho dovuto imparare a controllare, facendo questo mestiere. Ma è normale. Scrivo canzoni diaristiche, per cui è ovvio che ognuno dia la sua interpretazione». A un certo punto cita You’re So Vain, il pezzo di Carly Simon su cui si dibatte da mezzo secolo circa l’identità del protagonista maschile. Quando, alla fine, le chiedo esplicitamente se stesse cantando di Bia, fa una pausa, espira e sorride: «No comment».

Foto: John Yuyi per Rolling Stone US. Top: Gucci. Gonna: Dsquared. Scarpe: Western Affair. Gioielli: Tiffany & Co.

La sera dopo ci vediamo da Little Dom, un locale italiano vintage che sembrerebbe più adatto al quartiere Carroll Gardens di Brooklyn che non alla zona trendy di Los Feliz. Rodrigo indossa un baby doll a scacchi rossi comprato da Depop abbinato a mocassini neri e calzini bianchi. «Abbiamo fatto una bella chiacchierata ieri», dice. «Mi sembra che abbiamo chiarito molte cose».

Diversamente da ieri, stamani è riuscita ad andare a lezione di pilates, a Beverly Hills, insieme alla amica e attrice Bailee Madison. «È il mio allenamento preferito», spiega. «Ed è impossibile farlo troppo male. Mi piace andare dove ci sono donne avanti con l’età. Non c’è niente di peggio di una palestra di pilates dove incontri gente che conosci. Mi fa sentire molto a disagio».

Quando ci accomodiamo al banco circolare, ordina una Diet Coke e chiede di sedersi alla mia sinistra (è nata semisorda dall’orecchio sinistro). Scherzo dicendole che è come il personaggio di Jimmy Stewart in La vita è meravigliosa e lei ammette di non averlo visto. «Non so perché, ma non riesco a guardare nessun film girato prima del 1970», dice. «Il mio cervello non riesce a processarlo. Chissà com’è nato l’accento tipico della vecchia Hollywood, tipo quello di Audrey Hepburn e Cary Grant. Non è così che si parla nella vita vera».

Rodrigo è invece una vera appassionata di cinema più recente, ha anche un account su Letterboxd. Sabato scorso ha visto Oppenheimer con suo padre e La ragazza di San Diego, del 1983, con Nicolas Cage. «È il suo primo film ed è stranamente molto sexy». Quando le consiglio di vedere Stregata dalla Luna, in cui Cage interpreta un panettiere bello e arrabbiato con una mano di legno, ne prende nota col telefono. «Sembra un tipo di cui potrei innamorarmi».

Barbie l’ha colpita molto e lo nomina più volte nei giorni trascorsi insieme. «Quando la gente ne parla alzo gli occhi al cielo, ma eccomi qui a fare come loro. È un film femminista bellissimo, meraviglioso. E sono felicissima di essere una ragazza. Non ricordo l’ultima volta in cui ho visto un film così incentrato sulle donne che non tirasse in ballo il sesso o non parlasse di una donna tormentata che passa dei guai. È solo un bel film, positivo, su una ragazza in gamba».

Quando le chiedo cosa pensa di Dua Lipa, che ha fatto un cameo nella pellicola, le si illumina il viso. «Sono emozionata per il suo prossimo album, non vedo l’ora». Poi mi parla della performance elettrizzante di Lipa ai Grammy del 2021, con due pezzi di Future Nostalgia e cambi di costume rapidissimi. «Cazzo, lei è bellissima. L’ho vista in tv, ha spaccato. Devono essersi fatti un gran culo per fare quella roba. Io non ci riuscirei».

Rodrigo preferisce essere considerata cantautrice e non popstar. Quando parliamo dei suoi idoli, cita l’impatto che Lorde ha avuto su di lei da bambina. «Quando ho sentito Royals in radio ho pensato che allora si potevano fare canzoni su qualunque pensiero ed emozione, che le canzoni non dovevano per forza parlare della fine di un amore. Lei ha scritto un album intero su ciò che si prova a 15 anni se vivi in periferia e ti senti sperduta». Sono tematiche in cui si è immedesimata Rodrigo, che allora aveva 10 anni e viveva nella tranquilla cittadina di Temecula, California.

Ma c’è un altro suo idolo di cui vorrei parlare, è diciamo così l’elefante glitterato nella stanza. La domanda è: cosa è successo, se è successo qualcosa, tra lei e Taylor Swift? All’inizio della sua carriera, Rodrigo ha definito Swift una fonte di ispirazione. «Sono in soggezione nei suoi confronti e non sarei la cantautrice che sono oggi se non fossi cresciuta ispirandomi a tutto ciò che fa», ha detto a Ryan Seacrest nel marzo 2021. Si sono scambiate delle lettere scritte a mano e Swift le ha regalato un anello simile a quello che indossava durante la lavorazione di Red. Due mesi dopo si sono incontrate di persona ai Brit Awards.

Le cose si sono fatte più complicate, quell’estate, quando Rodrigo ha dato a Swift e Jack Antonoff due crediti da autori su Sour: per 1 Step Forward, 3 Steps Back (che interpolava New Years Day di Swift) e per Deja Vu (ispirata a Cruel Summer di Taylor; ha ricevuto un credito anche St. Vincent, co-autrice della canzone di Swift). Non era chiaro se Swift avesse preteso quei riconoscimenti, ma i fan più maniacali erano convinti che fosse nato un litigio. Hanno iniziato a individuare presunte prove un po’ ovunque: Rodrigo che si confida con Alanis Morissette dicendo a Rolling di avere incontrato ragazze meschine; l’apparente mancanza di ogni interazione tra le due ai Grammy del 2023; Swift che ha scelto Sabrina Carpenter, la presunta arcinemica di Rodrigo, per aprire l’Eras Tour in America Latina. Alcuni sedicenti detective si sono persino chiesti se Rodrigo abbia travestito Vampire da canzone d’amore, mentre in realtà parlava di Swift.

Quando le chiedo della presunta querelle, lei sta mangiando una minestra maritata italiana. «Non ho problemi con nessuno», dice calmissima. «Sono molto serena. Me ne sto per conto mio. Ho le mie quattro amiche e mia madre, e sono le uniche persone con cui parlo sempre. Non c’è niente da dire». Poi aggiunge: «Girano così tante teorie del complotto su Twitter. A me interessano solo quelle sugli alieni».

Mantiene questo atteggiamento anche quando le chiedo dei crediti da co-autori di Sour che nell’agosto del 2021 sono arrivati a includere anche i Paramore in Good 4 U. «Sono stata un po’ presa alla sprovvista. All’epoca la faccenda era molto incasinata e io ero giovanissima ed entusiasta». Non è chiaro se sia stata costretta a concedere quei crediti: «Non mi sono occupata granché della cosa», ammette, «l’hanno gestita i nostri rispettivi team, non sono la persona giusta a cui chiedere».

Sono curiosa di sapere cosa farebbe una Olivia più esperta: chiederebbe i crediti a un artista giovane o lascerebbe correre, come ha fatto Elvis Costello quando è emersa la rassomiglianza tra Brutal e Pump It Up? «Non credo che lo farei mai, ma chi può dire dove sarò tra 20 o 30 anni? Tutto quello che posso fare è scrivere le mie canzoni e concentrarmi su ciò che posso controllare».

Ci dividiamo spaghetti e polpette e pollo alla parmigiana, poi Rodrigo ordina una seconda Diet Coke prima del conto. «Grazie, papà Rolling Stone!», dice divertita.

Foto: John Yuyi per Rolling Stone US. Top: El/If. Gonna e scarpe: 1XBlue. Collana e orologi: The Steam Punk Ghost. Cavigliera: Pearllhearts

Dopo cena, passeggiamo per Los Feliz con la guardia del corpo muscolosa e tatuata di Rodrigo che vigila su di noi a distanza. Non le piace granché avere collaboratori che la seguono ovunque. «Amo andare in giro da sola e si arrabbiano perché lo faccio di continuo. I miei manager mi dicono: “Non puoi fare così, deve esserci sempre qualcuno con te”. Ma io mi sento al sicuro. Lo sono davvero? Non ne ho idea, ma non è una cosa a cui sono disposta a rinunciare».

Rodrigo indica un posto nelle vicinanze che serve brunch. «Una volta sono andata a un appuntamento, lì, ma è andata male». E riflette: «Mi chiedo se per qualcuno sono stata io il peggior appuntamento. Il mio obiettivo è creare scompiglio. Sì, è quello che voglio fare nella vita». Prendiamo un gelato da Jeni’s (lei sceglie un cono ai gusti miele e vaniglia) e giriamo per Franklin Avenue. Rodrigo ha appena visto per la seconda volta Le amiche della sposa e recitiamo le battute della scena dell’aereo.

Per un po’ cerchiamo la “murder mansion” di Los Feliz che dà il nome all’omonimo podcast true crime, ma è a quasi cinque chilometri di distanza. Discutiamo invece del serial killer di Long Island e del cadavere dentro un barile che di recente è apparso sulla costa di Malibu, per poi scambiarci le storie di fantasmi che ci raccontavano le nostre mamme. La mia si è svegliata nel cuore della notte, in una stanza d’albergo di Savannah, Georgia, e ha trovato una sposa seduta sul suo letto; la sua, una volta, ha visto un uomo andare nel seminterrato della casa del Wisconsin in cui è cresciuta. «Per dieci anni non l’ha detto a nessuno», racconta. «E poi mia nonna una volta ha detto: “Avevamo preso quella casa a prezzo stracciato perché nel seminterrato ci era morto un tizio”… Scusami, ultimamente sono macabra».

Forse, ragiona, questa fascinazione per il lato oscuro deriva dalla sua passione per Harry Potter; come me, è rimasta sconvolta quando, il giorno del suo 12° compleanno, non le è arrivata la lettera di accettazione per Hogwarts. Il suo amore per la stregoneria viene da lontano: alle elementari, lei e le sue amiche giocavano a Harry Potter, dopo le lezioni, riempiendo pentoloni di foglie e acqua.

La madre Jennifer insegnava in quella stessa scuola, mentre il padre Chris è uno psicanalista (lei dice che il padre non ha ancora sentito la battuta su di lui che c’è in Get Him Back!: “Sono figlia di mio padre / Perciò forse potrei guarirlo”). Rodrigo ha iniziato a studiare in regime di homeschooling a 13 anni, quando si è trasferita a Los Angeles per recitare in Bizaardvark. «A volte mi pare di avere scarse abilità sociali a causa dell’educazione che ho ricevuto. La sensazione è che mi stessi perdendo qualcosa, perché sono figlia unica e ho studiato a casa».

L’unica volta che Rodrigo è stata folgorata da una star è stata più o meno a quell’età, quando ha incontrato Vanessa Hudgens in un cinema di Los Angeles. «Sono andata fuori di testa. Lei è filippina come me e ricordo di aver pensato che era una figata». Ancora di più lo è il fatto che Rodrigo è stata scritturata per prendere il posto di Hudgens nello show-all’interno-dello-show di High School Musical: The Musical: The Series. L’attrice ha continuato a lavorare nella serie Disney anche dopo Sour; l’imminente terza stagione, che ha appena finito di girare, sarà l’ultima per lei. Si trovava sul set di High School Musical nel momento in cui Drivers License ha debuttato al primo posto. Ha chiamato Nigro dal bagno degli studi. «Ricordo perfettamente di aver detto: “Numero uno, ma che figata è?”», racconta. «Lui mi ha risposto: “Olivia, non capisci. La tua vita è cambiata per sempre”».

Ora lo capisce. Ma sta ancora metabolizzando tutto quanto, anche la nostra conversazione del giorno precedente, quando le ho chiesto se, come Stevie Nicks, si immagina a cantare la sua hit a 75 anni. «Mi hai messa in crisi», dice ridacchiando. «Ma un giorno ti risponderò. Mettiamolo in calendario».

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Foto, concept e collage: John Yuyi
Direzione creativa: Joe Hutchinson
Direzione della fotografia e vice direzione creativa: Emma V. Reeves
Styling: Jared Ellner per The Only Agency
Producer: Rhianna Rule
Hair: Clayton Hawkins per A-Frame Agency
Make-up: Yukari Obayashi Bush
Nails: Yoko Sakakura per A-Frame Agency
Tailor: Carlos Ordoñez
Set Design: Brittany Porter per Artistry Global
VFX: Miguel Fernandes
Photo Assistance: Evadne Gonzalez, Alex Michael Kennedy
Digital Technician: Julian Esteban Duque Lopez
Styling Assistance: Jess McAtee, Brooke Sandra, Maya Sauder
Production Assistance: Doug Stuckey, Mikey De Vera
Set Design Assistance: T Marsh

Da Rolling Stone US.

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