Nuovo Tommaso Paradiso | Rolling Stone Italia
Cover Story

Nuovo Tommaso Paradiso

Il disco che uscirà a fine mese, la paternità, i 40 anni. L’ex golden boy dell’indie italiano è diventato grande. E ha scelto di concentrarsi sulle cose importanti

Foto: Mattia Guolo

Possiamo dire che Tommaso Paradiso sia un tipo piuttosto abitudinario. La prima volta che lo abbiamo messo sulla copertina di Rolling Stone, nel 2018, per l’uscita di Love, avevamo realizzato l’intervista nell’hotel di Milano in cui alloggia di solito, zona Chinatown.

Di anni ne sono passati parecchi, e sono cambiate molte cose. I Thegiornalisti non esistono più (anche se in un’intervista per la Rai ha detto: «Marco Rissa suona ancora con me. Quindi, a meno che le persone non fossero particolarmente affezionate al batterista, siamo sempre noi»). E poi Tommaso ha superato i 40, è diventato papà, ha pubblicato due dischi da solo e ora arriva anche il terzo. È cambiato tanto ma non l’hotel, appunto. Ci incontriamo lì in una fredda sera milanese, tra pochi giorni (cioè oggi, 14 novembre) esce il nuovo singolo e tra due settimane l’album Casa Paradiso.

E forse questo sarà un disco più importante degli altri. Perché Tommaso ha cambiato casa discografica, team di lavoro, perché dopo i 40 forse cambi anche tu. Perché è quell’età per cui per tutti diventi un uomo. Anche se l’ex golden boy dell’indie italiano tiene a precisare che «la testa rimane quella, solo il fisico aumenta di volume. Eppure non mangio un cazzo».

Quando lo incontriamo l’impressione è quella di avere davanti lo stesso ragazzo entusiasta che avevamo conosciuto una decina di anni fa, quando con la sua band le cose stavano iniziando a cambiare davvero. Tommaso è ancora il più simpatico nella stanza, uno che per metterti a tuo agio farebbe qualsiasi cosa, che ammette di essere «facilmente distruttibile dal punto di vista emotivo», ma soprattutto uno a cui interessa scrivere canzoni sincere, che raccontino cose che ha provato. «Perché non so fare altro».

Hai un po’ d’ansia perché deve uscire il disco nuovo o è una roba che hai imparato a gestire?
Sarei un ipocrita se ti dicessi che non c’è neanche un filo d’ansia: c’è sempre. Però ti direi un’ansia positiva, mi fa capire che ci tengo ancora tanto a quello che faccio. È figo dire «no, non mi frega niente del giudizio, faccio quello che mi pare». Invece alla fine ti aspetti il giudizio, e io sono pronto a riceverlo.

Anche perché arriva comunque.
Ah, certo. Arriva.

Casa Paradiso perché?
Perché sono io, ancora più consapevole delle cose che reputo importanti.

Che sono?
Quando cresci si realizza automaticamente una scrematura delle cose. Quando ero pischello mi andava bene tutto, facevo un po’ tutto, le serate, le cose… Adesso ho imparato a dire: ma se questo non mi va di farlo, perché devo? Magari perdi delle cose, ma allo stesso tempo acquisisci il significato autentico di quelle per cui vuoi vivere. E la casa in questo momento nella mia vita c’entra tantissimo, perché alla fine è il luogo dove sto meglio al mondo.

Anche dai social sembri una persona molto casalinga.
Assolutamente sì. Cerco di essere un po’ metafisico: la casa non sono solo le quattro mura che ti circondano, ma son proprio sono i luoghi ameni e le persone con cui stai bene, tutte le situazioni. Io invidio molto la fase in cui cerchi qualcosa di diverso. Per me invece è bello stare nei luoghi in cui mi sento protetto, e lo dice uno che ha sempre sofferto di una mancanza di protezione.

In che senso?
Sono sempre emotivamente distruttibile in pochi secondi, quindi quando mi sento nella zona di comfort mi esprimo al meglio, sono più autentico. Tiro fuori le qualità migliori, se le ho. Ah, devo dirti una cosa: una canzone l’ho scritta subito dopo averti mandato un video.

Non ci credo. Quale?
Spettacolo, che è l’ultima ed è una delle mie preferite. Ti mandai un video, appena uscito da una visita, stavo col monopattino e faceva un freddo becco a Roma. Avevo la giacca chiusa fino alla faccia, con gli occhiali a specchio, e ti mandavo questo video e dicevo: «Finché ho questi occhiali e sono in monopattino a me che cazzo mi può fermare, niente mi può distruggere». E da lì ho scritto quella canzone là. In qualche modo sei stato veramente l’anteprima di quella canzone.

Mi merito un punto Siae. Tra l’altro quella è un’ottima chiusura del disco.
Io penso che nei miei dischi, alla fine, l’ultima canzone è sempre la più bella.

Direi che questo album è Casa anche a livello di sound. Suona proprio come un album di Tommaso Paradiso.
Per molti è un limite essere sempre molto riconoscibili, io invece penso che la riconoscibilità al primo istante è un grande valore che un artista può esprimere. Uso sempre questo esempio: se io vado a vedere un film di Martin Scorsese mi aspetto un cazzo di film di Martin Scorsese. Non voglio vedere Martin Scorsese che si reinventa un genere, voglio vedere Martin Scorsese con le sue evoluzioni. Idem Sorrentino. Chiaro, a ogni film cambia un po’ la sua consapevolezza sulla vita, ma la fotografia è quella, i concetti sono quelli. A me piace molto questa cosa qua. Mi piace l’artista di genere.

Possiamo dire che questo è un ritorno più ritorno delle altre volte? Anche perché hai cambiato etichetta, e tutto il resto…
Sono fasi. Quando ho fatto i primi due dischi da solista ero talmente ingolfato a livello mentale da quel sound così incisivo che avevo prodotto con Dardust e Cantaluppi che me ne volevo un po’ liberare, perché succede anche questo. Che poi è la produzione che mi ha portato fortuna. E allora mi son detto: voglio farlo completamente diverso, scarno, col pianoforte. Perché sì, mi piace il synth pop degli anni ’80, ma allo stesso tempo amo la musica organica degli anni ’60-’70, quella suonata con gli strumenti. Questa cosa non riesco mai a risolverla fino in fondo. Per esempio, che ne so, ho esagerato col suono degli anni ’60-’70 in Space Cowboy. Poi però a un certo punto rivoglio la coccola di mamma. In questo mi sembra ci siano un po’ tutte e due le cose.

Intanto sei diventato papà. Com’è essere padre per te?
Ci sono due cose da dire: la prima è che è la cosa più naturale che io abbia mai fatto. Io sono un padre atipico, sto tantissimo a casa: è assurdo, è come se questa bimba che mi guarda tutti i giorni dalla mattina alla sera fosse sempre stata lì.

E la seconda?
Ti crepa. Quando la guardi ti crepa.

Ti ha fatto cambiare la prospettiva sulle cose?
Assolutamente. Da quando è nata sono terrorizzato dal fatto che prima o poi ci lasceremo perché morirò prima di lei. Queste idee mi ossessionano. Il fatto di dover vivere il più a lungo possibile con lei, cioè, vorrei vivere il più tempo possibile, anche rinunciando a delle cose.

Già stare a casa tanto è una cosa che il 90% dei papà italiani non fa.
Infatti, già aver passato in una giornata di otto ore con lei è bellissimo.

Comunque Tommaso Paradiso che diventa papà è l’inizio di una nuova epoca. I ragazzi dell’indie diventano genitori.
Sì, non siamo tanti. Io e Dario (Brunori, nda). Edo (Calcutta, nda) ancora no.

Foto: Mattia Guolo

Questo tuo ritorno coincide con un momento particolare della musica italiana che è iniziato a Sanremo. Tutti dicono che è il ritorno del cantautorato. È vero?
Be’, a Sanremo c’è un direttore artistico, quello influenza. Decide un po’ quello che sarà il trend. Sicuramente Amadeus avrà portato delle cose che lui reputava importanti, Carlo Conti probabilmente ha più un gusto che porta a queste scelte. E quindi questa cosa crea le basi perché ci siano più cantautori rispetto al pop mainstream. Poi magari le cose ricambieranno tra tre anni, lo sai meglio di me che le mode cambiano ogni secondo.

Tu come affronti questi cambiamenti? Te ne frega o no?
Non è che non me ne frega, è che io non so fare altro. Ho 42 anni, sono strutturato, non ne ho più 15 o 20. So fare un tipo di musica che è la musica che mi piace e che rispecchia un genere. Non potrei improvvisarmi trapper perché so che va di moda la musica trap. Sarei ridicolo. Ognuno deve seguire la propria natura fino in fondo. Poi, se quello è il tuo momento, bene. Se lo zeitgeist punta tutto sull’hip hop, allora andrà quello. Però tu devi fare la cosa tua.

Sul lungo periodo paga?
Assolutamente. Soprattutto se fai delle canzoni valide. Se la canzone è valida, se ha un messaggio, se dice qualcosa di autentico, allora sì.

Il vostro mestiere è diventato un lavoraccio. I social, i numeri…
Agli esordi me ne sbattevo il cazzo. Volevo portare un modello nuovo rispetto, che ne so, a quello che era il mainstream dell’epoca. Ero felice di suonare davanti a sette persone che però avevano sentito come te l’album dei Kooks. Invece adesso le dinamiche sono cambiate, se il post del tuo singolo non produce tanti like uno si incazza, ma non è il mio caso.

No?
Per forza. Quella è una canzone, non è un algoritmo o una pagina Instagram. Se dovessi poi tracciarti il quadro generale di tutto, ti dico che alla fine vado a vedere le cose che la gente canta ai concerti, che poi sono quelle belle. Roba che si storicizza.

A proposito di live, la data Roma è già raddoppiata. Te lo aspettavi?
È questa la cosa per cui dico grazie a questo mestiere. Che sono riuscito, dopo tanti anni, a fare dei concerti che ti permettono di fare questo lavoro. Non devo rincorrere la supercazzola o scrivere dischi che non c’entrano niente con me. Faccio quello, mi sono stabilizzato. Bene o male che vada, capito?

Chiaro. Hai sempre detto che per te la parte più importante sono i live.
Da sempre, da quando ho iniziato. Nei live c’è un rapporto vero, autentico con chi ti viene a vedere. Noi portiamo musica dal vivo, suonata da 11 incredibili musicisti che fanno un sacco di prove, che si spaccano il culo e che quando suonano sono completamente allineati e si divertono. E questo si percepisce, tant’è che quando ho pubblicato un mese fa le date del tour molte persone hanno scritto nei commenti: «Mi confermi che è la stessa band dell’anno scorso?».

L’unico feat. del disco è con un componente della tua band, Setak.
Sì, che è anche un bravissimo cantautore. Proprio con lui canto Ma come fanno i rapper, uno dei pezzi più autentici del disco, scritto da due amici che si conoscono da una vita. Eravamo in trattoria, e quando la trattoria ha chiuso ci siamo messi lì con la chitarra e abbiamo scritto una canzone. Per me non c’è niente di più bello di quella roba là.

Tornando ai commenti, com’è il tuo rapporto con i social? Nella vecchia intervista per Rolling Stone dicevi di odiare l’odio.
In quel momento era data una grande rilevanza al commento perché era una specie di novità. Adesso è scivolata via. Io non me la prendo veramente, o comunque cerco il dialogo. Se leggo «Ma questo ancora canta», gli scrivo in privato e gli dico: «Ma vuoi provare a venire al mio concerto se ti invito e ti lascio il pass?».

Vengono?
Uno degli ultimi mi ricordo che ha fatto un po’ di resistenza, ti dicono: «Non mi interessa» (ride). Ma poi la gente non si rende conto che noi non è che viviamo su Marte, quindi pubblicano una cosa su di me e pensano che non la leggerò. Oppure se commentano cose strane magari gli scrivo: «Ma guarda, ti spiego, non è proprio andata così».

E pensare che tu eri un grande utilizzatore di Facebook. Ho recuperato un tuo status di mille anni fa, scrivevi: «Ora che Riccione è prima in classifica radio, Completamente sold out è disco d’oro non digitale, proprio fisico, reale, c’è qualche singolo di platino qua e là e domani ci sarà l’’ultimo concerto di questo tour, possiamo finalmente concentrarci sul Fantacalcio». Da farci un quadretto.
Scrivevo un botto, sì. Bevevo e scrivevo. Questa è la realtà (ride). Diciamo che erano status che rispecchiavamo il me di quell’epoca.

Cosa ti ricordi di quel periodo lì, dell’età dell’oro dell’indie italiano?
Mi ricordo proprio Facebook, che era uno strumento dove ancora non c’era un’uccisione di massa. Eri proprio libero, non potevi pensare che una cosa che scrivevi lì finiva sui giornali o faceva un casino enorme ripostata ovunque. In più la mia figura pubblica era ancora molto bassa, di nicchia, ero un animale che andava in giro senza orari.

Sei stato materiale per molte pagine, tipo Diesagiowave.
Ci fu anche un altro tipo che andò fortissimo, quello che aveva creato la pagina Tommaso Paradigma. Non ho mai saputo chi ci fosse dietro, ma era un genio totale.

Foto: Mattia Guolo

Si dice che i 40 sono una tappa importante. Tommaso Paradiso che quarantenne è? Sei il quarantenne che pensavi che saresti diventato?
Sì, per l’anagrafe (imita Christian De Sica, nda). Scherzi a parte: Noel Gallagher in una canzone dice: “My body is still young but my mind is very old”. Io so’ proprio il contrario. Quando mi specchio dico: cazzo, so’ proprio diverso. Non mangio un cazzo, faccio sport tutto il giorno e comunque cresci, aumenti di volume. Però mentalmente sono ancora quello che vuole fare le cose, nonostante le cose bellissime come la famiglia, mia figlia, eccetera.

Cosa diresti al Tommaso Paradiso di vent’anni fa?
Che avrebbe dovuto iniziare prima. I primi contratti, diciamo, li ho firmati a 33-34 anni. Oggi a vent’anni sono i leader mondiali. Io all’età di Olly andavo all’università, capito? Ma è stato diverso per la mia generazione. Ci siamo potuti permettere di fare questo mestiere a 33 anni, quando finalmente mi è arrivato un compenso vero. Adesso a 33 anni sono già 15 anni che lo fanno.

Tu tra l’altro sei amico di Olly e Juli.
Sono ragazzi intelligenti, con la testa sulle spalle. Mi vedono come uno di cui ci si può fidare.

Cose che non rifaresti ce ne sono?
Sì, però non è che ci metto proprio la croce, in quel momento andava bene così. Alcune canzoni, poche, non le avrei fatte uscire.

Dimmene una.
Piove in discoteca, la prenderei tutti i giorni a pugnalate.

Perché?
Il 97% delle canzoni che ho scritto nascono da qualcosa di reale, di vero. Due o tre le ho scritte un po’ a cazzo, sai quella cosa della casa discografica che vuole il singolo.

So che sei impazzito per la reunion degli Oasis. A quale concerto sei andato?
Londra, Wembley.

Ho visto che ti sei commosso. Te l’aspettavi così la reunion?
Non mi aspettavo che Liam fosse così in forma. Incredibile, penso che sia ritornato a com’era nel 1999, nel 2000. Vorrei proprio chiedergli: ma come cazzo hai fatto?

E Noel?
Eh, che ti devo dire. È il più grande songwriter degli anni ’90 insieme a Damon Albarn e Thom Yorke. Alla fine io se sto qua e se faccio questo lavoro è perché quei due sono esistiti. Non so se avrei fatto questo mestiere, se non ci fossero stati gli Oasis.

Quando è scattata la scintilla per loro?
Quando ho sentito la prima nota. E poi sono andato al concerto a Bologna, nel ’98, e ho detto: per me non esiste nient’altro che questo. Mi son detto: io non ho altre strade, posso anche fallire ma devo farlo.

Un’altra band che vorresti che si riunisse?
Bella domanda. Ti dico i Thrills, che hanno fatto tre dischi incredibili. Quale band potrebbe riunirsi secondo te?

Le Spice Girls.
Ci sta.

Chiudiamo col singolo che esce oggi, Forse. Raccontamelo.
È un concetto banale, primitivo, che ho cercato di poeticizzare. Io odio litigare. Scappo, mi fa schifo. Sfuggo. Non so se è un gesto codardo o altro, però in questo gesto anti-litigata vedo tante persone intorno a me e parlandoci il punto è quello.

Quale?
Che scopare potrebbe risolvere tante cose. La gente litiga tanto perché non scopa. Non voglio fare il Paolo Crepet, ma veramente con la fisicità, con la sessualità, sparirebbero molti conflitti. Ridimensioneremmo tante problematiche. Non è che Freud era un cazzaro, eh.

Scopava da morire?
Da morire.

Le date del tour:

18 aprile 2026: Roma, Palazzo dello Sport
19 aprile 2026: Roma, Palazzo dello Sport (nuova data)
22 aprile 2026: Milano, Unipol Forum
23 aprile 2026: Torino, Inalpi Arena
25 aprile 2026: Casalecchio di Reno, Unipol Arena
26 aprile 2026: Padova, Kioene Arena
28 aprile 2026: Firenze, Mandela Forum
30 aprile 2026: Napoli, Palapartenope

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Photographer: Mattia Guolo
Interview Curated By: Filippo Ferrari
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Art Director: Alex Calcatelli for Leftloft
Talent Production Team: Alessia Casarola for Popup Production
Talent Manager: Nicola Cani
Talent Press Office: Goigest
Talent Label Management: Eleonora Romanò, Manuel Nicoli, Claudia Tiano, Stefania Gorla for Sony Music Italy, Columbia Records Italy
Talent Personal Stylist: Susanna Ausoni
Make Up & Hair Styling: Helena Collaviti
Post Production: Nicolò Amoretti for The Circumstances
Digital Manager: Alessia Azzolini
Light Designer: Ian Dall’Ara

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