Non sono come voi | Rolling Stone Italia
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Non sono come voi

L'indie svogliato, il rap come cabaret, "X Factor" male necessario. A 21 anni Anastasio non teme le polemiche: «Sono al 75% comunista, ma ho anche idee conservatrici». Ascolta l'intervista integrale nel nostro podcast

Quello che segue è un breve estratto della conversazione con Marco Anastasio. Clicca sul player nel testo per ascoltare la versione integrale in modalità podcast.

Marco Anastasio non regala sorrisi a nessuno, persino le sue pacche sulle spalle hanno un che di formalità. I suoi 21 anni sono testimoniati solo da un piccolo buco nudo nel baffo destro. Da lì lo sguardo cade sulla camicia à la Ace Ventura, un cortocircuito assoluto rispetto all’immagine tutt’altro che satura di colori che si è ritagliato. Se lui sia davvero così, con addosso quella corazza, è parecchio difficile da stabilire.

Si accomoda sulla poltrona del nostro studio, e pare un filo più a suo agio. Sa che dovrà parlare un bel po’, ma quello per lui non è un problema. Quando accende lo start, poi, Anastasio va, con le marce sempre alte. Senza strategie comunicative, se non quella di chiamarsi fuori da tutto. Di esprimere il suo personalissimo “non sarò mai come volete voi”, che si tratti dell’esperienza da concorrente (e vincitore) di X Factor, della scena rap o delle polemiche politiche che lo hanno investito lo scorso dicembre, quando divenne per tutti l’mc sovranista.

Avete presente quando si inizia una frase con “senza polemiche”? Ecco, nella mezz’ora della nostra chiacchierata con Anastasio non succederà mai.

Anastasio digital cover rolling stone 8 marzo

Come sono stati gli ultimi tre mesi della tua vita?
La prima settimana fuori dal loft, dopo essere stato maciullato dal tritacarne, è stata durissima. Il passaggio da X Factor alla vita normale è molto più difficile di quello contrario, ti spacca in due. Infatti mi sono fatto due settimane chiuso in casa, ma ora ho preso un po’ le misure.

Cos’è stato per te X Factor?
Quando mi si è presentata l’occasione ero molto titubante, ho accettato solo perché mi è stato assicurato di poter presentare un pezzo mio ogni volta. Non credo molto alla dinamica talent, ci sono andato come un male necessario perché volevo fare le cose in grande. Fosse per me metterei una serie di brani su YouTube, come ho sempre fatto, senza nemmeno registrarli in Siae. Ma alla fine i benefici sono stati grandi: ho allargato in maniera esponenziale la mia platea di ascoltatori, e per ora sono rimasti nonostante la fine dello show. 

Fra pochi giorni inizierai il tuo tour – al via il 20 marzo dal Live di Trezzo, prima di una serie di sold out. Ti stai cagando un po’ sotto?
Io sono fatto un po’ in modo strano. Non mi cago sotto fino a mezz’ora prima dell’evento, e concentro tutto all’ultimo. Poi, spesso, faccio bene, anche se qua la prova fisica sarà sicuramente dura, perché non ho mai fatto nulla del genere. Ho una grande fortuna: a differenza di chi esce da X Factor e non ha pezzi all’attivo, io ho fatto un Ep, ho le cover portate in tv, che sono pezzi miei a tutti gli effetti, più i brani vecchi pubblicati come Nasta: quindi ho uno show di 80 minuti pronto, che mi fa stare tranquillo.

Ti senti un po’ il cantore del disagio della tua generazione?
Un po’ sì, perché io sono uno che il sangue l’ha buttato. E perché se c’è una cosa che accomuna tutti, oltre al senso di colpa, è l’ansia. Comunque solo cose brutte, e quindi se le canti arrivi a un pubblico largo. Ma sento anche la necessità di dare un messaggio positivo, come canto nella parte finale della Fine del mondo.

Tutti hanno esaltato la tua capacità di scrittura, senz’altro notevole. Questo, però, ci dice qualcosa della musica italiana contemporanea?
Mi sono trovato varie volte a chiedermi “ma è davvero così facile?”. Vuoi vedere che il problema sono gli altri e io spicco per contrasto alla nuova musica italiana, in cui solo una nicchia si impegna a scrivere, senza ricevere il riconoscimento necessario? L’indie, per esempio, è una bella melodia con un testo svogliato, occhiolini al pubblico e citazioni.

C’entri qualcosa con il fenomeno trap?
Musicalmente i beat trap mi piacciono, anche io li userò nel prossimo album. Ma la trap è il massimo esempio della svogliatezza nella scrittura dei testi. Già il rap era facile da fare e ci siamo trovati pieni di rapper, la trap non richiede nemmeno più la metrica, la rima, il tempo. Devi solo parlare e dire cagate, fare ridere oppure fare brutto. Non c’è alcun bisogno di fare il king oggi, io non faccio a gara a chi ce l’ha più lungo perché col mio cazzo mi inculo da solo. La scena rap è una pagliacciata, un cabaret infantile. Non voglio mettermi al di sopra di nessuno, ma al di fuori. Ho un altro obiettivo, voglio narrare delle cose.

Veniamo alle polemiche politiche che ti hanno riguardato. Ci spieghi come è andata?
Chi mi seguiva su Facebook allora sa che ero un malato di shit posting, la mia bacheca Facebook era un immondezzaio in cui condividevo provocatoriamente di tutto. Ma non c’era dietro un’ideologia. E comunque nella vita mi sono trovato a condividere posizioni di destra, ma ho anche tanti ideali di sinistra.

Quali sono le une e quali gli altri?
Condivido un buon 75% delle idee comuniste, sono per la lotta di classe e i diritti dei lavoratori. Ma ho anche punti fermi conservatori: secondo me la cultura dei padri è importante, come il tema della famiglia. Inoltre non sono un relativista, per me ci devono essere un bianco e un nero nelle cose. Oggi la sinistra, che nel frattempo è diventata liberale, ha sempre e solo cercato di sdoganare tutto, di togliere ogni divieto per una finta libertà.

Ma i razzisti non ti stanno sulle palle?
Ma chi è un razzista? Un suprematista certo che mi sta sulle palle. Io non odierò mai nessuno, perché nella vita ogni essere umano vale uno. Ma che si urli al razzismo quando non c’è, serve solo a svuotare di senso una parola delicata.