Non solo Star Wars: John Williams spiegato dal Maestro Simone Pedroni | Rolling Stone Italia
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Non solo Star Wars: John Williams spiegato dal Maestro Simone Pedroni

A parte tre rarissime eccezioni, Steven Spielberg non ha mai fatto un film senza Williams alle musiche. Una collaborazione lunga 45 anni che il prossimo 5 giugno Pedroni porterà all'Auditorium di Milano

Pedroni all'ultima serata all'Auditorium dedicata a Star Wars. Foto di Paolo Dalprato

Pedroni all'ultima serata all'Auditorium dedicata a Star Wars. Foto di Paolo Dalprato

Quando è uscito Il Ritorno dello Jedi, nel 1983, Simone Pedroni è rimasto seduto in sala per tre proiezioni consecutive. Non riusciva proprio a realizzare come una musica tanto incredibile potesse stare in un film, men che meno in un film contemporaneo.

Trentacinque anni dopo, Pedroni come Williams può fregiarsi del titolo di maestro, essendo diventato uno dei direttori d’orchestra più apprezzati dalla Sinfonica Verdi di Milano. Ma per dimostrare che il genio di John Williams va ben oltre la colonna sonora della saga delle spade laser, il Maestro Pedroni, il 5 giugno all’Auditorium di Largo Mahler a Milano, omaggerà la solida collaborazione fra il compositore e Steven Spielberg. «Abbiamo dedicato al solo Star Wars già due serate nel 2015 e nel 2016» racconta Pedroni al telefono. «È giusto mostrare a tutti che la grandezza di John Williams si è manifestata soprattutto in questa straordinaria collaborazione con Steven Spielberg che dura da 45 anni. Praticamente, tutte le colonne sonore dei film di Spielberg, eccetto tre rarissimi casi, sono firmate da Williams.»

Niente Marcia Imperiale quindi, proprio per lasciare spazio alla bellezza di titoli famosi Lo Squalo, Jurassic Park o Indiana Jones, ma anche per apprezzare quelli meno blasonati di Tin Tin o The Terminal.

Come si spiega secondo lei questa collaborazione duratura?
Secondo me, Spielberg 45 anni fa ha capito che la musica di Williams poteva sposarsi perfettamente col proprio modo di raccontare le storie. Spielberg è come un cantastorie nel cinema. Qualsiasi sua storia, che sia Schindler’s List o E.T., ti prende, ti riesce a catturare sempre con le sue immagini. La musica di Williams, da parte sua, riesce a rendere queste immagini plausibili. Sia nei film di avventura che nei recenti, quindi più riflessivi e storici come Lincoln, l’anima del film di Spielberg si rivela al 100% solo con la musica di Williams. Questo, il regista, l’ha capito fin da subito. E poi è sempre stato appassionato della musica dei film. Fin da piccolo ha collezionato i dischi dei grandi compositori nel cinema, i grandi maestri europei che a partire dagli anni Venti portarono a Holywood la tradizione della musica classica. Pensa che, la prima volta che Spielberg ha sentito un disco di John Williams, credeva che fosse un compositore vecchissimo. Invece aveva solo qualche anno in più. Così il regista gli ha commissionato le musiche per il primo film, Sugarland Express.

E da allora non hanno più smesso di collaborare.
Già, e la cosa straordinaria è che Williams in ogni film rimane in un certo senso se stesso. Come tutti i grandi compositori—ormai possiamo dire che lo è—in ogni film si sente che è lui a scrivere. Così come si sente che Beethoven è Beethoven, Chopin è Chopin, eccetera. Pur rimanendo se stesso però ha vestito ogni film di Spielberg di un colore particolare, di un linguaggio particolare, un suono particolare, una strumentazione particolare.

Pedroni insieme a John Williams

Pedroni insieme a John Williams

Che elementi ha preso Williams dai grandi compositori del passato?
Williams è un musicista a tutto tondo. Da ragazzo, ha studiato pianoforte alla Juilliard di New York. Allo stesso tempo però aveva una band di jazz, quindi conosce perfettamente la classica e il linguaggio jazz. Da New York si è poi spostato a Los Angeles per studiare composizioni da un grande compositore italiano, Mario Castelnuovo Tedesco, ebreo di nascita e fuggito negli Stati Uniti, che in passato aveva già scritto colonne sonore. Allo stesso tempo, Williams ha iniziato a lavorare come pianista di Henry Mancini all’interno degli studios di Hollywood. Questo gli permette di decidere lo stile con cui scrivere, che sia una fuga con lo stile di Bach o un pezzo sinfonico in stile tardo-romantico, oppure una partitura dissonante come quella di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, estremamente moderna e aleatoria in cui gli strumentisti devono quasi improvvisare e fare dei rumori. Quest’ultima sarà molto interessante da sentire suonata dal vivo.

È complesso suonare una partitura del genere dal vivo?
Diciamo che Williams è difficile da suonare per gli strumentisti ma è scritta perfettamente per l’orchestra. Ogni strumento è portato a dare il meglio di se ma senza sfociare nell’impossibile. E dà grande soddisfazione suonarlo. Per questo, sempre, di più, negli ultimi anni le orchestre hanno inserito le partiture di Williams. A novembre poi il Maestro è stato invitato dalla Filarmonica di Vienna a suonare al Musikverein, dove fanno di solito il concerto di Capodanno. È la conferma per noi fan di Williams che già 30 anni fa abbiamo capito il suo genio. Sono fiero di poter portare a Milano i brani di questa collaborazione Williams-Spielberg, dai più famosi a quelli che addirittura non sono mai stati suonati in Italia, come uno da Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo.

La scelta delle orchestre di inserire sempre più sue partiture nel programma può essere anche interpretata come un modo per proporre la musica sinfonica ai profani, no?
Non so se lui abbia cercato o meno questa cosa, sicuramente se n’è reso conto. In un’intervista rilasciata nel 2015 per The Force Awakens, ha detto, parafrasando: “Quando scrivo in un certo senso mi trema la mano perché so che, per mezzo del film, la mia musica verrà sentita da milioni di persone. Quindi ho il dovere di fare del mio meglio, dare il massimo.” Sente una grande responsabilità morale, e a nche qui sta la sua grandezza. Quando ha ricevuto il premio Life Achievement Award, che prima di lui era stato dato solo ad attori e registi—mai a compositori—, ha tenuto un discorso bellissimo che è culminato con: “Spero che domani, quando tornerò a casa e ricomincerò a lavorare, di essere degno di questo premio.” Sai, per un uomo di 87 anni, sono parole incredibili. Io che l’ho incontrato l’anno scorso a Boston posso confermarlo. Gli ho presentato il mio ultimo disco con le sue musiche e lui non ha mai tolto lo sguardo dai miei occhi. Spero di poterlo incontrare di nuovo a breve.

Ora però parliamo di lei. Qual è il modo più semplice per diventare direttore d’orchestra?
Ci sono scuole per questo. Bisogna imparare innanzitutto la gestualità per far capire a 90-70 persone qual è la direzione da prendere, che vuol dire il tempo e l’intenzione musicale. Quest’ultima non si può comunicare solo a parole, avendo poche ore a disposizione per provare con l’orchestra, quindi ci si affida al braccio del direttore. Ogni direttore ha il suo modo, non c’è una regola precisa. Quella c’è per il tempo, ma non per l’intenzione musicale.

Quindi esistono direttori più comprensibili di altri?
No, direi che hanno stili diversi. E, a seconda dello stile, anche il suono dell’orchestra magicamente cambia. La stessa orchestra diretta da due Maestri differenti suona diversamente. Così come un pianoforte suonato da due pianisti diversi. È come un grande strumento.

Pedroni con Darth Vader. Foto di Roberto Finizio

Pedroni con Darth Vader. Foto di Roberto Finizio

Però allora la presenza del direttore è fondamentale, proprio come il pianista col piano?
È una domanda stuzzicante, perché esistono delle orchestre senza direttore. Non solo orchestre da camera. Anche in Italia ne abbiamo una molto rinomata, si chiama Spira Mirabilis. Fanno le sinfonie di Beethoven o Schumann. Certo, l’assenza di un direttore richiede moltissime ore in più di prova. C’è anche la Kaleidoscope Chamber Orchestra che è molto brava. Diciamo che senza direttore la sinergia arriva dopo molto più tempo, però è un’esperienza che consiglio ai musicisti.

Possiamo dire che lei ormai è di casa all’orchestra Verdi, no?
Sì, sono molti anni che collaboro con loro. Ho debuttato con loro come direttore ma non perché me ne interessi la carriera. Più che altro, avevo il chiodo fisso di dimostrare che Jown Williams potesse essere presentato come un’opra wagneriana senza il film e poter dimostrare che le sue musiche sono perfette per una sala da concerto senza l’ausilio delle immagini. Sono stato un fan della prima ora. Pensa che nell’83, quando uscì Il Ritorno delo Jedi, rimasi al cinema per sette ore guardando tre volte di fila il film. Non riuscivo a capire come potesse esserci una musica così bella in un film contemporaneo.

Comunque dirigere sembra anche una bella fatica a livello fisico, o sbaglio?
È vero, dirigere è molto più stancante di suonare il piano. Si sta in piedi e c’è anche la responsabilità di ottenere la cooperazione delle altre persone. Quando suoni il tuo strumento la tua responsabilità si limita a quello, mentre in un’orchestra sei responsabile di tutti. Il grande lavoro del direttore è nelle prove. Dal vivo non puoi cambiare tantissimo, a parte lievi variazioni sulla velocità. Se il gesto è chiaro, l’orchestra è portata a dare il meglio di se.

Non vorrei ricordare male ma, lei, l’ultima volta che l’ho vista su un palco, indossava delle vistose scarpe rosse. È possibile?
Sì, io suono e dirigo con le scarpe rosse. È un modo per sdrammatizzare l’obbligo a vestirsi di nero. Il frac poi è il vestito dei servi e ogni tanto viene richiesto. Non è ribellione, è semplicemente un gesto allegro. Anche il papa aveva le scarpette rosse. È come un sorriso per chiunque mi veda entrare in sala. Quando l’ho fatto per la prima volta negli Stati Uniti è partito un applauso davvero particolare. Ho visto che qualcuno un pochino mi ha copiato, ma rosse di vernice come le mie non le ha nessuno. Sono scarpe da ballo, quindi molto comode.

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