«Non saremo mai dei dinosauri», l'ultima intervista a Joey Ramone | Rolling Stone Italia
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«Non saremo mai dei dinosauri», l’ultima intervista a Joey Ramone

Il 15 aprile 2001 ci lasciava la voce più importante del punk americano. Ecco l'ultima volta che ha parlato con Rolling Stone.

«Non saremo mai dei dinosauri», l’ultima intervista a Joey Ramone

Grazie a un suono di chitarra inimitabile, un ritmo in 4/4 minimale e al grido “Hey, ho / Let’s go”, i Ramones hanno trasformato il rock & roll per sempre. È davvero difficile abituarsi all’idea che sia passato così tanto tempo dal primo disco della band. Oggi è l’anniversario della morte della voce più importante del punk americano, Joey Ramone: abbiamo deciso di ricordarlo rileggendo la sua ultima intervista rilasciata a Rolling Stone.

Il vostro nuovo disco, Acid Eaters, è ancora al primo posto delle classifiche dei dischi più venduti al college. Solo i fan del cinema d’exploitation riconosceranno la citazione del titolo. Ti piace quel film?
Il vero fanatico del cinema è John (Johnny Ramone, il chitarrista del gruppo). Mentre discutevamo del possibile titolo del disco ha parlato di Acid Eaters, ho pensato subito fosse un nome fantastico. È perfetto, un po’ perverso, fa pensare a tante cose diverse.

I Ramones sono famosi anche per le loro cover. Come mai avete deciso solo ora di farne un intero disco?
La nostra versione di Take It As It Comes dei Doors è andata molto bene, e a un certo punto il nostro manager ci ha proposto di pubblicarla come singolo insieme a un EP di cover. Una specie di regalo per i nostri fan. Abbiamo cominciato ad ascoltare i nostri pezzi preferiti degli anni ’60: inizialmente i brani erano 5, poi una volta iniziate le registrazioni abbiamo deciso di farne un intero album.

Joey Ramone sul palco con il batterista Tommy Ramone nel 1977. Foto di Keystone/Hulton Archive/Getty Images

Ci sono moltissimi ospiti sul disco.
Pete Townshend ha cantato i cori di Substitute, per me è stato un momento fantastico perchè sono un fan degli Who da moltissimo tempo. Pete è una sorta di mentore fantasma per me, era in città per lo spettacolo dedicato a Tommy: ha saputo che stavamo lavorando a quel pezzo e ha voluto ascoltare cosa stavamo facendo. Era molto contento, ha fatto davvero un grande lavoro. Io, invece, ero parecchio nervoso, è venuto in studio proprio mentre registravo la traccia principale.

Non l’avevo mai incontrato prima, ho conosciuto Roger Daltrey nel 1980, forse a Londra. Eravamo ospiti a Top of the Pops e Daltrey non sembrava capire cosa diavolo volessero fare i Ramones. Mi ha detto: «Non avrete mai successo indossando giacche di pelle; il successo si fa in giacca e cravatta». Penso che la band del momento fossero gli Knack, forse pensava a loro: non sapevo come reagire sentendo parole del genere provenire dalla bocca del cantante di una delle prime band ribelli della storia del rock. Magari scherzava, a me sembrava piuttosto serio.

In Somebody to Love Traci Lords canta la parte di Marty Balin
Si, lei collabora con la nostra etichetta. Il nostro manager, Gary Kurfirst, voleva che facessimo questa sorta di duo. Ci è sembrata una buona idea: lei è divertente, cool. Penso che abbia fatto davvero un ottimo lavoro.

Joey Ramone a New York nel 1983. Foto di Laura Levine/IMAGES/Getty Images

Il mondo del punk era molto ostile ai veterani del rock, li chiamavate dinosauri. I Ramones sono sulla piazza da quasi 20 anni, come si fa a non diventare preistorici?
Noi siamo sempre stati una band unica. Abbiamo proposto un sound unico e uno stile tutto nostro, un marchio di fabbrica. Questo è quello che cercano di fare tutti, ma in pochi ci riescono davvero. Solo una manciata di band della storia del rock hanno un suono riconoscibile immediatamente; i Led Zeppelin si riconoscono subito, i Beatles si riconoscono subito… e anche i Ramones. Per noi i punti fermi sono sempre stati due: il rock & roll dev’essere divertente e, beh, less is more.

Il vostro pubblico intercetta generazioni diverse. Alcuni dei vostri fan più accaniti sono ragazzi che, quando è uscito il vostro primo disco, indossavano ancora il pannolone.
Questa è la cosa più pazzesca dei Ramones, abbiamo un pubblico molto ampio. Penso che la media, oggi, sia di circa 16 anni, ma non solo: molti dei nostri fan originali sono ancora qui, insieme ai ragazzi fissati con il metal, con l’hardcore e con il grunge. Abbiamo fan Democratici, Repubblicani e skinhead, un potpourri di gente che vuole solo divertirsi.

Quando la carriera di una band va avanti per tanto tempo, le difficoltà tra i membri del gruppo cominciano a venire fuori. I Ramones vanno ancora d’accordo? Uscite insieme?
Quando siamo sul palco siamo una cosa sola: la stessa visione, gli stessi ideali. Siamo individui diversi, abbiamo le nostre idee su quello che succede. Siamo uniti, ma non siamo un solo cervello.

I Ramones sul palco del Santa Monica Civic Auditorium nel 1976. Foto di Michael Ochs Archives/Getty Images

Sei apparso all’improvviso su un disco-tributo dedicato a John Cage, hai cantato una delle sue composizioni.
Per me quella è stata un’esperienza di puro studio, ho imparato moltissimo. Mi piace partecipare a progetti lontani da quello che faccio di solito. Il pezzo che ho cantato, The Wonderful Widow of 18 Springs, era davvero diverso da qualunque altra cosa avessi fatto prima, davvero una cosa eccitante.

Il prossimo concerto sarà il n.2000. Come festeggerai?
C’è una festa in nostro onore all’Hard Rock Cafe di Tokyo. Bob Gruen – il fotografo -, documenterà tutto. Per il n.2000, invece, saliranno sul palco con noi i Soundgarden. Io, invece, andrò a vedere un concerto di Bob Dylan, credo che suoni al Budokan stasera. È la prima volta che lo vedo dal vivo.