Avere vent’anni nella trap era può voler dire essere già allo step successivo di giovane promessa – le tappe si bruciano in fretta – e così il primo album, dopo singoli popolari e dissing virali, diventa l’occasione per definire la propria identità artistica. È questo il significato di Rapper, titolo del disco di esordio di Niky Savage: fissare, come una tag su un muro o un’impronta nel Wall of Fame, la propria firma nel rap game.
Chi sta fuori da questo gioco, che il mercato discografico ha trasformato in business milionario, si ricorderà di Niky per un paio di concerti annullati dopo le critiche dell’europarlamentare di FDI Elena Donazzan – famosa per una foto in cui porta una collanina con la croce celtica – per le canzoni violente e sessiste. Altri lo avranno scoperto per un dissing con Tony Effe, in triangolazione con Fedez, in cui l’ex DPG lo accusava di essere la sua brutta copia. Quindi l’album è la volta buona per Nicholas Alfieri di mostrare la sua personalità di rapper capace, con un stile originale e una voce rauca che rende sexy e dark ogni barra, sia di confezionare banger da classifica sia di mettere in rima la sua storia, un perif drama come molte bio di suoi colleghi: un padre mai davvero conosciuto e finito in galera, una madre “che ha perso tempo con uomini del cazzo” che l’hanno fatta piangere (come racconta in Cose che non posso dire) e che l’ha cresciuto giovanissima in case dove “si stava col giubbotto” come rappa in Freddo sulle scale. E le due anime di Niky Savage, quella con giubbotto camo di Bape che ispira anche l’artwork del disco e che gioca a chi è più grosso, con più swag e più collane, e quella che “copre i sentimenti sotto la visiera” (cit. da Pieno di pare), convivono per 12 tracce, un racconto di formazione che va dalla prima canzone, Bimbo selvaggio, all’ultima, Rapper appunto, e che l’autore racconta a Rolling Stone…
« A prescindere dalla musica, sono sempre stato sia un estremo che l’altro. Ho sempre vissuto le emozioni in modo estremo, se sono felice sono super felice e se sono triste sono super triste. E quindi anche nella musica è la stessa cosa, ci sono i pezzi banger e quelli più conscious. Se parliamo di di carriera, di quello che in quel momento era giusto fare, ho dovuto inizialmente mettere avanti prima una cosa (i banger, nda) e dietro un’altra, ma solo per un discorso di di funzionalità».
Vuoi dire che i pezzi più intimisti sono meno utili per emergere?
No, semplicemente ho passato un periodo della mia vita in cui ero più divertito dalla vita e ho fatto pezzi con quella vibe che poi è esplosa, funzionava.
Ora per il primo album hai sentito la necessità di completare il tuo quadro?
Provo anche queste sensazioni e sentimenti e quindi è giusto che la gente sappia. Perché c’era un pubblico “esterno” che faceva fatica a capire chi sono davvero.
Sono quelli che in Bimbo selvaggio definisci “troppo stupidi”?
Mi dà fastidio quando una persona a prescindere non ti vuole capire. Non sono impermeabile ai commenti sui social, sono un essere umano e se non condivido certe cose, mi infastidisco. Poi continuo a fare quello che che penso sia giusto.
A che commenti ti riferisci?
A quelli che dicono che non so rappare, che non sono un rapper.
Pensavo che fosse per via delle accuse ai tuoi testi, considerati sessisti e volgari. Del resto il successo virale di un pezzo come Yamamay che inizia con “sta puttana sa di papaya” non lasciava molto all’immaginazione…
Era un periodo in cui io mi divertivo e stavo con con ragazze che volevano anche loro divertirsi.
Quello che ci dicevamo in privato durante certi momenti lo mettevo nelle canzoni. Ora sono fidanzato da due anni, quelle cose ci sono ancora, ma ovviamente in un altro modo.
Si sente che qualcosa è cambiato, nell’album c’è meno linguaggio volgare…
Ho voluto pian piano alleggerire ma non è stata una cosa voluta, mi è venuta spontanea.
Non ti sei censurato?
No no, non rinnego pezzi come Yamamay. Stiamo parlando di cose che esistono, no? Quindi chi vive quelle situazioni capisce benissimo che non che non c’è niente di marcio e che è solo una cosa divertente.
Ti tocca ancora rispondere alle accuse di misoginia?
No, no.
E quando ti è capitato, come hai reagito?
Ci sono rimasto male, ma non me la sono presa più di tanto.. Ho sempre pensato che la gente non capisse, perché sono cose dette con leggerezza, sono divertenti.
Divertenti come “maranzare in Corso Como”, come rappi in Soldi nelle borse?
Sono stato uno zarretto milanese di periferia – zona viale Ungheria – con i genitori del sud che ha sempre girato liberamente per la città. Maranzare significa prendere il monopattino o la 90 (bus milanese, ndr) e andare a ubriacarsi e fare lo scemo in corso Como, o a fare freestyle in giro.

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Dei tuoi genitori parli spesso nel disco, dici di aver paura di diventare come tuo padre.
Arrivato a questo punto non credo proprio che sia più possibile commettere certi errori. È un modo per dire: meno male che c’è la musica, perché sai che se cresci in periferia tutto può succedere.
Cosa saresti diventato se non fossi stato un rapper?
Ho sempre pensato che qualcosa avrei fatto qualcosa del genere, mi sono sempre atteggiato di conseguenza con un atteggiamento positivo verso il futuro.
“Bamba, giravamo in piazza” è solo una delle rime in parli della cocaina. L’unica droga nominata più volte e di cui sembri avere esperienza diretta.
Sì, beh, sicuramente è una merda. Tutte le droghe pesanti sono una merda e non dovrebbero far parte della vita di nessun ragazzino.
Però la cocaina ha fatto parte della tua vita…
Quando ne fai uso come se fosse un aiuto è pericolosa. L’ho capito in tempo e per fortuna i vizi, anche sigarette e alcol, non mi si accollano. Non è stato troppo pesante distaccarmi dalle droghe.
Nei testi c’è quasi un’ossessione per le borsette da regalare alle ragazze – “vuole la Chanel / tutto il cash per lei” canti in Baad – come se fosse qualcosa di più di un luogo comune del rap più gangsta…
Perché è una cosa che alle donne piace, e alle donne che che ho attorno voglio fare i regali che piacciono. Non c’entra col rap, è la realtà.
Anche l’ossessione per i soldi, i vestiti, le collanone fanno parte della realtà?
Sì, swaggare in quel modo è divertente. In Billionaire Boys siamo in tre – Artie 5ive, Faneto ed io – a fare i fighi, senza competizione.
Nel disco non c’è nessun dissing. Anche se è stato proprio un dissing, quello con Tony Effe, ad accrescere la tua popolarità.
Ha reso popolare una cosa già nota, ovvero che io sapessi rappare.
Ti sei sentito poi con Tony Effe?
Io e Tony ci siamo beccati il giorno dopo che gli ho risposto col pezzo, quindi sul personale è già stato tutto risolto.
Non ti ha dato fastidio che lui dicesse che eri la sua brutta copia?
Ma è un discorso puramente estetico! Ci sono delle foto sue e mie da piccoli in cui sembriamo identici. Alcune persone si assomigliano, e in questo caso entrambe fanno rap.
Ci sono tanti featuring, da Lazza a Rhove, ma neanche uno con una donna, nonostante il tuo brano più ascoltato sia TT le girlz con Anna.
Anna è mia sorella, è una grande e penso che ogni cosa debba essere fatta a tempo debito.
Quindi farete ancora musica insieme?
L’abbiamo fatto una volta ed è andata più che bene, quindi magari si rifarà.
Che tipo di feedback ti aspetti da questo album d’esordio?
Vorrei che la gente si renda conto del mio potenziale a 360 gradi, del fatto che so fare un banger, ma anche un pezzo intimista o una canzone d’amore. Puoi ascoltarmi sia che vai in palestra sia che te ne stai triste a casa.
C’è un tuo pezzo preferito? E credi che sarà anche quello più apprezzato dai tuoi fan?
Cose che non posso dire con Nayt, sia per un discorso sentimentale sia perché ho collaborato con il mio artista preferito, un sogno che si avvera. Anche Stupida con Artie 5ive è super divertente, super super swag, sono sicuro che piacerà ai fan.









