Nicola Piovani: «Smettete di lagnarvi e correte a vaccinarvi» | Rolling Stone Italia
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Nicola Piovani: «Smettete di lagnarvi e correte a vaccinarvi»

Il compositore ha collaborato con Tornatore per gli spot della campagna vaccinale. Qui racconta i giorni in ospedale per il Covid, la chiusura dei teatri, il rapporto tra musica e morte, un ricordo di De André

Nicola Piovani: «Smettete di lagnarvi e correte a vaccinarvi»

Foto: Fondazione Musica per Roma/Musacchio-Ianniello-Pasqualini

«Ho sentito il lamento di chi soffre, ho visto il lavoro quasi eroico di medici e infermieri, e questo ha fatto crescere il mio disprezzo per il negazionismo. Dobbiamo correre tutti, appena possibile, a vaccinarci. Questi spot sono un’occasione per dare voce poetica a un’iniziativa che mi convince e mi appassiona».

Nicola Piovani ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza drammatica del Covid-19. Compositore, pianista, direttore d’orchestra, premio Oscar per la colonna sonora de La vita è bella, ha composto le musiche per gli spot diretti da Giuseppe Tornatore per la campagna di vaccinazione. Qui racconta per la prima volta in modo dettagliato come ha scoperto di essere positivo, i giorni passati in ospedale, il rapporto fra musica e morte. «Fidiamoci degli scienziati. Basta amplificare le cose peggiori. I media non devono diventare i maggiordomi dei social».

Come è nato il progetto?
Mi ha telefonato Tornatore e mi ha detto: faccio quattro spot di impegno civile, per aiutare la campagna a favore dei vaccini, vuoi partecipare? Non ci ho pensato un secondo a dire sì. Io credo che se una speranza abbiamo di salvarci da questa nefasta situazione, questa speranza passi per i vaccini. Non sono esperto in materia, ma non vedo altra soluzione.

Tornatore le ha chiesto qualcosa di particolare? Ha visto prima lo spot o ha avuto subito un’idea di quella che sarebbe stata la musica?
Abbiamo dovuto lavorare in fretta, in pochi giorni. Ho letto le piccole sceneggiature e, mentre Tornatore girava sul set, ho immaginato due o tre ipotesi musicali, ma la prima che mi è venuta in mente è stata ed è rimasta la più convincente, per Tornatore e per me. Ne abbiamo discusso su Skype.

"La stanza degli abbracci", campagna di comunicazione per la Vaccinazione anti Covid-19

Quando ho visto il primo spot la musica l’ho sentita un po’ inquietante. È una sensazione sbagliata o è stata concepita per far provare prima la paura della malattia e poi il senso di salvezza che solo il vaccino può dare?
La musica che ho scritto per questi spot ha, è vero, un piccolo lato inquietante, nonostante il tema sia sereno, lineare. È la fissità armonica sulla tonalità di La bemolle maggiore che genera un po’ d’inquietudine all’ascolto. Però trattandosi di una tonalità inequivocabilmente maggiore contiene anche un sentimento di ottimismo a cui tengo molto. Abbiamo cercato d’altro canto di evitare anche la retorica trionfalistica sul cartello finale della primula e il vaccino; perché il trionfo è ancora lontano, la strada da percorrere è molto lunga e impegnativa.

Come si è accorto di avere contratto il virus?
L’ho scoperto in ospedale, dove ero andato per alcuni controlli clinici. Avevo sintomi di stanchezza fortissimi. Il tampone di controllo è risultato positivo. Mi hanno subito ricoverato in isolamento totale, il che significa non poter vedere proprio nessuno, ad eccezione dei “palombari”, medici e infermieri che non vedi in faccia, la cui voce ti arriva attutita e modificata dagli scafandri, dalle doppie e triple mascherine, in una stanza che non ha finestre. Ti devi autoregolamentare sui ritmi della giornata attraverso i pasti (sigillati) che ti consegnano tre volte al giorno.

Comunque, non credo proprio che l’eccellente personale medico dell’ospedale di Tor Vergata mi abbia inserito nessun microchip sottocutaneo. Sono storielle che farebbero ridere, se non avessero un indotto tragico. I terrapiattisti e i no-vax sono una piccola minoranza, ma alzano la voce, e l’informazione, attraverso tutti i media, gli fa da cassa di risonanza pubblicitaria. Così sembrano più di quel che sono.

Come mai ha scelto di comunicare di aver contratto il Covid solo quando è uscito dall’ospedale?
Nei giorni in cui lottavo contro la malattia avevo bisogno di stare concentrato, non avrei potuto far fronte a troppi messaggi e telefonate. Dopo, a pericolo scampato, gli attestati di solidarietà sono arrivati numerosi e mi ha fatto molto piacere rispondere a tutti. Quando ero isolato, ricevevo solo le telefonate e i WhatsApp delle preziose persone intime – congiunti, consanguinei, amici – che mi sono state di grande conforto. Una volta superato il pericolo, ho comunicato la mia avventura, soprattutto perché volevo ringraziare pubblicamente i miracolosi medici e infermieri dell’ospedale di Tor Vergata che mi hanno assistito e salvato con gentile competenza.

Ha avuto paura di morire?
Sì.

Che rapporto ha con la morte? Era pronto a morire?
Non sono ateo, ma nemmeno praticante. Ho grande rispetto per tutte le religioni, che mi affascinano e mi attraggono. Quando sono rientrato a casa, dopo settimane di ospedale, sono passato anche nella chiesa del mio quartiere, vuota: una mezzoretta di isolamento volontario, di meditazione a telefoni spenti fa bene alla coscienza. “Devi essere pronto al fatale passo”, è vero, e io credevo di esserlo. Ma poi, quando l’ipotesi si fa realistica, ti rendi conto che non è vero. Ho scoperto di non essere preparato a lasciare le persone che amo. È un tema a cui sto lavorando con la mia coscienza adesso che sono, diciamo, fuori pericolo (nessuno lo è mai),

In musica, che cos’è la morte?
La morte raccontata in musica, da Mozart a Verdi, da Penderecki ai jazz funeral di New Orleans, è la morte contemplata da chi resta, il trapasso all’aldilà cantato in tutta la sua musicale commozione, il dolore per una perdita. I requiem della letteratura musicale sono opere spesso di altissima ispirazione, commoventi per chi ascolta. Mentre la musica del protagonista del funerale, del trapassato, è il silenzio; quel silenzio tombale nel quale qualcuno vede il nulla. Ma, fra le poche certezze che ho, so che il nulla non esiste. Esiste il Mistero, la divinità di cui dovremmo tener conto e alla quale mi inchino come faceva anche Albert Einstein. Dar tetto in su nun sa gnente nessuno, recita un motto romanesco.

C’è una melodia che le ricorda la malattia, sua o di un altro autore?
Quando ero in isolamento mi aiutava molto il mio tablet sul quale, oltre che leggere libri e giornali, guardavo le televisioni, i canali generalisti. Non fa parte delle mie abitudini guardarli, ma le sigle dei programmi mi aiutavano a scandire la giornata. Quando sentivo la sigla del TG3 sapevo che erano le 7, quando sentivo la sigla di Otto e mezzo sapevo che erano le 8:45. Ma ero anche bombardato dalle tante, ubique musiche della pubblicità che ho, mio malgrado, memorizzato. Ecco, ora che sono “libero”, quelle musiche non potrei sentirle senza avere un piccolo brivido nella schiena.

È stato intubato? Qual è l’ultima cosa che si ricorda prima di andare in ospedale e la prima appena è tornato a casa?
Non sono stato mai intubato, no. Ricordo le persone a me care che mi salutavano con la mano, mentre stavo entrando nel tunnel dell’isolamento. Quando poi mi hanno riportato a casa, avevo maschera, guanti e tuta di gomma: la mia gatta, che mi aspettava, non mi ha riconosciuto. Mi ha soffiato contro, e io ci sono rimasto male. Ci son volute delle ore perché si convincesse che ero proprio io, e tornasse a farmi le fusa.

Ha paura ora?
Ora vivo come prima, al netto degli impedimenti che vengono dalle sacrosante regole anti Covid che io cerco di rispettare in modo quasi maniacale. Appena possibile, tornerò a chiacchierare in strada con gli amici. Di tornare a vivere come prima e a fare musica dal vivo come prima non vedo l’ora. Lo faremo tutti con entusiasmo e con un po’ di esperienza in più.

Foto: Fondazione Musica per Roma/Musacchio-Ianniello-Pasqualini

La missione di Tornatore e sua è convincere persone che credono che sia tutto finto: che cosa può dire a queste persone per convincerle che il vaccino è l’unica salvezza?
Non sono competente di virologia ed epidemiologia, ma mi fido degli scienziati. Ho molta fede nella scienza che ci ha spesso salvato nel passato e sta continuando a farlo oggi. La diffidenza che può avere verso la scienza un cittadino in buona fede si può superare con l’informazione. Quelli invece che si sentono furbi, quelli che “io non ci casco”, quelli che cercano visibilità: beh, quelli credo che siano irrecuperabili.

Non pensa che, a causa del Covid, l’uomo abbia iniziato a vedere il prossimo, anche un parente vicino, come una minaccia? Quanto abbiamo perso durante questa pandemia, secondo lei, se pensa anche all’odio che si è fatto ancora più esplosivo sui social.
I social sono amplificatori di ciò che esiste, delle virtù e dei vizi. Sarebbe bello però se la stampa smettesse di fare a sua volta l’amplificatore degli amplificatori del peggio. Lo so che il vizio fa notizia e la virtù no. Ma la stampa e l’informazione radio televisiva dovrebbero avere un ruolo più ricco, una dimensione etica. Sennò rischiano di diventare i maggiordomi dei social.

Perché le persone dovrebbero fidarsi dei governanti che abbiamo e quindi di uno spot voluto dal governo?
E di chi ci dovremmo fidare? Delle forze antigovernative che proprio in questi giorni stanno dando il peggio di sé? Non mi sembra il momento di cavillare sui limiti e gli errori di questo governo (l’intervista è stata fatta prima della crisi del governo Conte, ndr). Non è con lo sfascio che si affronta una pandemia e una crisi economica di proporzioni gigantesche. Chi vuole sfasciare ora lo fa per il proprio tornaconto, magari per narcisismo, con un cinismo che in questo momento è scelleratezza.

L’arte viene utilizzata per convincere i cittadini a vaccinarsi, ma durante la pandemia è stata abbandonata e derubata della propria dignità – pensi ad esempio al pianista jazz reinventatosi rider e morto di infarto spingendo l’auto sotto la neve. Come fa un cittadino a fidarsi?
Credo che, nella disperazione e nel disagio in cui ci troviamo, l’istinto a trovare un capro espiatorio ci porti a praticare una rassicurazione effimera. Si cerca di imputare a qualcuno – un politico, un governo, a Soros, a sòreta – una colpa che è del virus. Non a caso i tanti e diversi governi europei – e del pianeta – non hanno risolto le sciagure provocate da questa micidiale pestilenza. Qualcuno ha azzeccato una mossa, qualcuno un’altra. Ma questa è una catastrofe da più di 2 milioni di morti. Nessun governo è in grado di proteggere tutti i cittadini. Spesso penso ai tanti musicisti, di quelli non protetti, quelli che non hanno un posto fisso in un’orchestra statale, quelli che si guadagnano da vivere suonando nei locali, nei matrimoni, accompagnando nei concerti i cantanti pop… Ne conosco più d’uno distrutto da questa pestilenza.

Lei è notoriamente di sinistra, non so se devo accostarla al PD, certo è che il ministro Franceschini viene da quella storia politica: secondo lei ha fatto abbastanza? Perché un centro commerciale rimane aperto e i teatri e i cinema chiusi?
Le mie idee sono inossidabilmente di sinistra, cioè progressiste. Il ministro Franceschini poteva fare di più? Sicuramente sì, come tutti noi. Ma questo ministero un’attenzione mirata alla cultura l’ha data. Certo, i teatri sono chiusi e i centri commerciali aperti, perché? Probabilmente perché la lobby del commercio si sa imporre, mentre la lobby della cultura non esiste. E anche questo, secondo me, è un conflitto fra visione di destra e visione di sinistra. Il Dio del creato viene prima del Dio del fatturato. Ha detto un noto industriale, più o meno: apriamo, apriamo, per salvare l’economia, l’economia va salvata, se poi ci sarà qualche morto in più, pazienza. E non era una gaffe, era un momento di sincerità, esprimeva il sentimento suo e di altri colleghi imprenditori conservatori. Ma per fortuna non tutta la classe imprenditoriale è così retriva.

Una delle sue tante colonne sonore è stata per un film di Monicelli che si chiamava Il male oscuro. Qual è secondo lei il male oscuro venuto fuori durante la pandemia?
La lagna. Dalle nostre parti si è diffusa un’abitudine alla lagna, a lagnarsi perché le cose non vanno bene, per le libertà che il virus ci ha rubato. Ma in tempi di tragedia, in tempi in cui bisogna lottare per farcela, la lagna non aiuta, dà solo voce all’impotenza. Ho sentito giovani che si lagnano per aver perso il diritto all’happy hour, altri non più giovani che si lagnano per non poter andare a sciare. E pensare che solo in Italia siamo a una media sopra ai 500 morti al giorno.

Per un musicista il concetto di tempo è molto importante: come era prima la sua visione del tempo ed è cambiata dopo che ha avuto il virus?
Beh, le lunghe ore, le lunghe giornate passate nel silenzio dell’isolamento mi hanno dato una percezione della scansione del tempo più lucida, vorrei dire più solenne, preziosa. E questo è un indotto positivo della mia brutta avventura.

Ascolta la musica che va oggi o come tanti non ne capisce il senso?
È un argomento complesso. Cerco di ascoltare tutti i tipi di musica, dai rapper ai neo jazzisti, dai nuovi gruppi di musica barocca ai dischi da classifica, da Brad Mehldau a Achille Lauro. Il senso di molta musica di successo è per me difficile da afferrare, perché non è determinato da valori strettamente musicali; la musica spesso sembra un accessorio. Il successo è legato al personaggio, al nome fantasioso, alla foggia del vestito, al contenuto ideologico, allo stile di vita. Non è importante se le musiche si somigliano quasi tutte. Ho detto quasi, non me lo cancelli. Il trionfo del rap e del trap ha spostato l’attenzione dalla musica – per lo più ripetitiva, ritmicamente monotona e ipnotica – ai versi in rima, spesso moralisti, accettati o rifiutati come un manifesto etico. Ma, naturalmente, la moda è moda. Per quanto riguarda i miei personali gusti, non le faccio nomi, ma le posso dire che, per la musica pop, sono un fan di Rufus Wainwright.

Il suonatore Jones

In passato lei ha collaborato con Fabrizio De André: cosa le manca di lui?
Di Fabrizio De André mi manca la passione per la ricerca nell’ambito della canzone. Era un artista che non si ripeteva, che non camminava sul già fatto. Se avesse seguito una logica di mercato, come tanti colleghi, avrebbe passato la vita a scrivere delle fotocopie di Marinella. E invece, fateci caso, ogni nuovo disco era una tappa stilistica nuova, più o meno riuscita che fosse.

Tornando alla collaborazione con De André, una delle canzoni di assoluta bellezza è Il suonatore Jones. Com’è stata composta e a che cosa pensava quando ha scritto quella musica?
Provo a dirgliela in breve. Avevamo finito di scrivere quasi tutto l’album Non al denaro, non all’amore né al cielo. Il finale, nel progetto iniziale, prevedeva per Il suonatore Jones una musica tipo ballad, alla Woody Guthrie, con chitarra e armonica alla Dylan. Ma i tentativi che avevamo fatto ci davano risultati poco convincenti. Con la piega musicale che l’album aveva preso fin lì, quella conclusione intonata a uno stile folk, allora molto di moda, sembrava rimpicciolire, banalizzare tutto il discorso dell’album. Dopo molte sofferenze, mi venne in mente di proporre a Fabrizio una soluzione di stile opposto: un tempo di siciliana, in sei ottavi, un canto vicino alle nostre radici e non alle radici nordamericane. Lui, che era sempre pronto agli esperimenti, mi chiese di provare. Di lì, tutto avvenne in brevissimo tempo: dopo 48 ore portai in studio la nuova melodia, che in parte corrispondeva alla metrica del testo. In mezza giornata De André e Bentivoglio adattarono i versi alla nuova musica, io mi tuffai a scrivere l’arrangiamento e due giorni dopo registrammo il brano, con gran soddisfazione di tutti.

Lei ha scritto e composte musiche per grandi registi, come mai non si è affacciato al cinema americano ad esempio, calcolando che ha vinto un premio Oscar? E con quale regista le sarebbe piaciuto lavorare?
Vittorio De Sica. Per quanto riguarda il cinema di Hollywood, sarei tentato di dirle che non è adatto a me, ma le dirò invece che io non sono adatto a Hollywood, forse perché sono un provinciale.

Qual è stato l’ultimo concerto al quale ha assistito e a quale concerto andrà appena tutto questo sarà finito?
L’ultimo concerto come spettatore, in una sala affollata, l’ho visto a Vienna, a gennaio: un indimenticabile Requiem di Verdi diretto da Riccardo Muti. Il primo che vorrò vedere, finita la pandemia? Un concerto qualunque, purché affollato, pieno di gente che non ha paura di tossire, che siede stretta gomito a gomito… con i cantanti che sparano droplet in platea, con una platea che si abbraccia.

Lei è stato giurato a Sanremo: crede sia necessario che il festival vada avanti nonostante la pandemia?
Mi dicono che il Festival di Sanremo è un affare che frutta una ventina di milioni di guadagno più indotto. Questo spiega tante cose.

Che cosa sta facendo in questo momento, oltre agli spot insieme a Tornatore?
In questo preciso momento sto scrivendo la musica per un film francese di Charline Bourgeois-Tacquet. A seguire mi dedicherò alla musica per il nuovo film di Sergio Rubini. Ma ho in progetto anche di scrivere una canzone, un regalo che ho promesso a un’amica cantante che mi confortava al telefono quando ero in ospedale. Per me è molto difficile scrivere una canzone, ma devo farlo, per rispettare un fioretto…

“Voglio proporle un abbraccio, uno forte, duraturo, fino a che tutto ci faccia male. Alla fine sarà meglio che mi dolga il corpo per volerla, e non che mi faccia male l’anima per la sua mancanza”. Che cosa vuole aggiungere in caso a questa frase di Julio Cortázar?
Se vogliamo tornare ad abbracciarci, corriamo a vaccinarci.

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