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Nic Collins racconta l’ultimo tour dei Genesis

La decisione di ripartire, i pezzi provati e mai suonati, l’ultima data, le parole di Peter Gabriel, il futuro del padre: il batterista e figlio di Phil Collins ci guida dietro le quinte dei concerti dell’addio

Foto: Scott Legato/Getty Images

Nic Collins non sa di preciso dove si trova, da qualche parte tra Miami e St. Petersburg, in Florida. Sei giorni prima di questa intervista ha suonato la batteria per l’ultimo concerto dei Genesis alla O2 Arena di Londra e ora è diretto a un club chiamato Factory per suonare col suo gruppo, i Better Strangers. Si esibirà di fronte a una minima parte del pubblico che si è abituato a vedere negli ultimi cinque anni durante i quali si è esibito col padre Phil Collins e coi Genesis. A Nic, che ha 20 anni, va bene così. «È stato bello suonare con papà e coi Genesis, ma è ora che riprenda la mia strada».

La prima mossa è la pubblicazione del singolo But I Don’t Know Your Name dei Better Strangers in cui suona con gli amici Yang Waingarten e Joey Rodriguez e col cantante deCasa. «È il momento di darci dentro e farsi le ossa».

Il batterista ci ha parlato del tour dei Genesis, del ritiro del padre, del suo primo incontro con Peter Gabriel e dell’idea di suonare un giorno con lui in una nuova versione dei Genesis d’inizio anni ’70.

Com’è tornare a suonare nei club dopo tanti concerti nei palasport?
È in un club che senti la vera energia di una band. E noi siamo anzitutto una live band. Non potremmo chiedere di meglio che suonare nei club, è lì che si vede la vera reazione alla musica. Niente luci, solo energia e canzoni. E poi copro ruoli differenti quando suono coi Better Strangers e coi Genesis. Quando sto con mio padre o coi Genesis sono il batterista e basta. I Better Strangers sono la nostra band, sono maggiormente coinvolto su tutti i fronti.

Dev’essere meno stressante che suonare in un’arena…
Dipende. Al primo di una nuova serie di concerti dei Genesis sono nervoso e in ansia, ma lo sono ancor di più con la mia band perché siamo giovani e dobbiamo provare quanto valiamo. I Genesis invece hanno un catalogo di oltre 50 anni di canzoni su cui fare affidamento, sai che la gente adorerà quei pezzi.

Immagino che ti prema provare quel che vali indipendentemente da tuo padre.
Chiaro. Non ci siamo mai approfittati del mio cognome. So che chiamarsi Collins aiuta ad aprire le porte, ma non vogliamo enfatizzarlo, non vogliamo che non diventi il motivo che spinge la gente a venire a vederci suonare. Conta la band, non chi è il batterista.

L’ultima volta che ci siamo parlati hai detto che le chance di una reunion dei Genesis erano scarse. Cos’è cambiato?
Andare in giro con mio padre nel tour chiamato Not Dead Yet ha dimostrato che, nonostante i problemi di salute, poteva cantare alla grande e che si poteva fare un bello show per tutti, per chi era cresciuto con quelle canzoni e chi invece non le aveva mai sentite live perché troppo giovane.

Vederlo ha dato coraggio a Tony [Banks] e Mike [Rutherford]. E poi mi hanno visto suonare con papà. Un fattore decisivo nella decisione di rimettere assieme i Genesis era in principio la possibilità che mio padre fosse in grado di suonare. Non era in grado di farlo, però c’ero io e questa cosa ha cambiato un po’ la prospettiva. Ma so che a mio padre manca suonare la batteria e che ai fan piacerebbe vederlo. Quanto lo vorrei anch’io.

Tutto ciò si è riflesso nel set che facevamo. Siccome mio padre non poteva suonare, non potevamo fare troppa musica strumentale. Una volta Mike, che ha aperto una parte del tour europeo con Mike and the Mechanics, è salito sul palco con noi per Follow You, Follow Me e questa cosa ha alimentato le chiacchiere. Alla fine del tour c’è stata una riunione e hanno deciso di provarci.

Abbiamo fatto le prime prove nel gennaio 2020. Io le ho vissute come un provino per entrare nella band. Per gli altri era qualcosa di più: volevano vedere che cosa sarebbe accaduto, se avrebbe funzionato. Non suonavano assieme da 13 anni. In quel momento si è deciso che l’avremmo fatto e si è capito che sarebbe andata bene. Una o due settimane dopo l’annuncio del tour c’è stato il Covid e ha scombussolato i piani. Ha anche influito sulla lunghezza del tour e sul numero di date. È andata così, ma gli show che abbiamo fatto in Europa e in America sono stati speciali.

I fan vogliono sapere quali canzoni avete provato e poi non avete suonato. Si parla ad esempio della sezione di Apocalypse in 9/8 all’interno di Supper’s Ready.
All’inizio effettivamente la lista di pezzi che volevano fare era bella lunga. Loro tre avevano tre diverse idee su quali pezzi suonare. Si è parlato effettivamente di Apocalypse in 9/8 e perciò ho imparato a suonarla. Ci sono voluti mesi e un sacco di bacchette spezzate per la frustrazione, ma l’ho imparata. Ironia della sorte, alla fine non l’abbiamo nemmeno provata.

Di una band che è in giro da mezzo secolo ci sono tante epoche e versioni. L’era prog di Peter Gabriel, l’era prog di Phil Collins, l’era rock e quella più pop. La scaletta non può che essere un compromesso, non se ne parla di fare tutti i pezzi che vorresti fare.

Ho anche imparato a suonare Los Endos, ma alla fine nemmeno questa è stata portata alle prove. Il fatto che mio padre non avrebbe suonato ha avuto un peso nella definizione della set list. I concerti dei Genesis erano belli lunghi per via delle sezioni strumentali che permettevano al cantante di prendere una pausa. Non siamo stati in grado di farne tante, viste le circostanze.

Avete provato Jesus He Knows Me?
Sì. Jesus He Knows Me e Hold On My Heart sono arrivate fino alle prove finali ed erano state incluse nel set. Curiosamente, hanno chiesto a me di scrivere a mano la set list da riprodurre sul merchandise e perciò c’è del merchandise con indicate quelle due canzoni. Quando si è trattato di suonare per davvero ogni sera, i ragazzi hanno detto: «Ora lo show dura due ore e tre quarti, forse tre ore. Forse quelle canzoni non sono poi necessarie».

La decisione ha a che fare anche con la produzione. Ogni canzone inclusa nel set è diversa della altre dal punto di vista della produzione o della musica. Si è trattato di togliere le cose in eccesso e tenere solo quelle più significative, in relazione al set.

Avete suonato Misunderstanding nei due show di Chicago per poi sostiturla con Duchess, che facevate in precedenza.
Questo è interessante. Mike e Tony sapevano che Misunderstanding era stata una hit negli Stati Uniti e quindi l’hanno voluta includere. Non la suonavano dal 1984 o giù di lì. Dopo un paio di volte hanno deciso che era sufficiente. Credo preferissero Duchess sia musicalmente. A loro piaceva di più ed era meglio anche meglio dal turno di vista dello spettacolo.

L’ultimo concerto alla O2 Arena è stato emozionante?
Che giornata strana. Mi sono svegliato la mattina e ho saputo che il mio amico Taylor Hawkins dei Foo Fighters era morto. Uno shock che ha reso ancor più strano quel giorno. Non tutte le band possono dire di aver chiuso così, col botto. Di solito è una lento declino. Band che suonavano 30, 40 o 50 anni fa sono ancora in giro, ma suonano nei centri congressi. Riuscire a chiudere in bellezza e per di più nella loro città è stato speciale, per loro e per tutti noi. Ed è stato un sollievo essere in grado di fare gli show previsti in ottobre e poi rimandati.

Quando mio padre si è rivolto al pubblico la prima volta è stata una grande emozione. Ma il resto della serata l’ho vissuta come una festa, non come un evento triste. È stata una celebrazione delle canzoni e dei ricordi. Al di là del fatto di averlo condiviso con mio padre, che è già di per sé una cosa speciale, essendo fan della band non poteva esserci niente di meglio che prendere parte dello loro ultimo show.

Che aria tirava nel backstage dopo il concerto?
È stato strano. Pensavo sarei stato triste e invece ero felice. È stato un gran concerto, un bel modo di finire. Ci siamo cambiati e siamo andati tutti quanti a cena. Anche Peter Gabriel è venuto all’ultimo concerto. C’era una bella atmosfera, siamo stati assieme e siccome era la fine del tour non abbiamo dovuto prendere speciali precauzioni contro il Covid. Finalmente la gente poteva venire a trovarci nel backstage e passare del tempo assieme, una cosa impossibile nel resto del tour. È stato bello vederli tutti assieme parlare dei vecchi tempi.

Hai parlato con Peter?
Sì, un po’. Stranamente, non l’avevo mai incontrato prima. È stato grandioso poter finalmente parlare con una persona che ha avuto un tale impatto nella vita mio padre e nella mia, visto che parte del set viene dalla sua epoca.

Che cosa ti ha detto?
Che è stato un gran bel concerto. Che era contento d’esserci, che era importante anche per lui. Se n’è andato nel 1975 e non si è mai voltato indietro, non si è più dedicato al repertorio dei Genesis e ha avuto una carriera solista di enorme successo. Eppure anche per lui era importante esserci. Ha detto: «È la fine di una cosa di cui ho fatto parte anch’io». Abbiamo scambiato due parole. Poi lui e papà hanno parlato a lungo rievocando i vecchi tempi. Uno spettacolo da vedere.

Il sogno dei fan è un tour o almeno un concerto con te, Peter, Mike, Tony e Steve Hackett. È anche solo vagamente pensabile che accada?
Non credo. Dal mio punto di vista, non penso che accadrà, né se ne è mai parlato. Sapevo che i fan l’avrebbero tirato fuori, specie all’inizio della reunion. Ma ora tutti hanno preso la loro strada, non credo che ci sia questa possibilità.

Molti fan in Italia, Australia e Giappone sono abbacchiati perché il tour da loro non è arrivato.
È il Covid che ha cambiato i piani. Se non ci fosse stato, forse il tour sarebbe continuato. Sarebbe stato simile al tour di papà, che è andato avanti per un pezzo. All’inizio Tony voleva fare il Sud America, dove hanno suonato come Genesis per l’ultima volta nel 1977, ma il Covid ha cambiato i piani. Onestamente, siamo stati fortunati ad essere riusciti a fare l’America e l’ultima parte europea del tour. Mi spiace per i fan sudamericani e australiani, ma questa cosa ha cambiato i piani di tutti, in tutto il mondo.

C’è un’altra cosa che va detta. Non ce l’ho con nessuno, ma non mi piace quando un artista va avanti una vita con l’ultimo tour. Noi abbiamo fatto una cinquantina di concerti, è stata un’esperienza relativamente esclusiva, il che è figo. Non abbiamo esagerato, non l’abbiamo tirata troppo per le lunghe.

Pensi che tuo padre possa fare un altro tour solista o si è definitivamente ritirato?
Al momento, credo si sia ritirato. Penso che quello di Londra sia stato il suo ultimo concerto. Ma è anche vero che l’ha detto nel 2004 e nel 2018 ha fatto un tour. Sono certo che mio padre sia eccitato di scoprire cosa gli riserverà il futuro. La musica gli ha dato tanto, ma gli ha anche tolto tanto. La carriera ha determinato la sua vita privata negli ultimi 50 anni. Ora può fare un passo indietro e svincolarsi da quel tipo di pressione. Deve essere bello. Penso che sia finita, ma chi può dirlo?

E se nel giro di un anno o due Peter Gabriel volesse fare qualche concerto con te, Mike, Tony e Steve? Ok, è improbabile, ma ti piacerebbe?
Dipende dalla situazione e da quanti concerti. Per come la vedo io, sarebbe una celebrazione di un’era particolare dei Genesis. Ma per me i Genesis sono una cosa ancora più grossa. Lo si dovrebbe fare con gusto e tutti dovrebbero essere coinvolti. Più facile a dirsi che a farsi.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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