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Nia Archives: «La jungle è il punk della musica elettronica»

È la stella del revival della jungle, ha aperto per Beyoncé e ora con il suo primo disco ‘Silence Is Loud’ vuole portare Beatles, Blur e Motown all’interno del suo mondo

Nia Archives: «La jungle è il punk della musica elettronica»

Nia

Foto: Lola Banet

Cosa significa essere sulla bocca di un’intera scena musicale? Come si vive nell’hype e come se ne esce vivi senza schiantarsi contro il muro delle aspettative? Nia Archives a 24 anni è la nuova stella del revival jungle. Di origine giamaicana, ma cresciuta in Inghilterra tra Bradford e Leeds, la producer e songwriter incarna alla perfezione la storia delle radici del genere, un mix tra le ritmiche da club inglesi e i vocal che prendono dalla dub, dal reggae e della dancehall dell’isola caraibica. In pochissimo tempo si è già tolta parecchi sfizi: da impiegata di KFC è arrivata ad aprire per Beyoncé a Londra («ne sono grata, sono una fan, chissà se risuoneremo mai in uno stadio»), remixare Little Things di Jorja Smith («un onore, la conosco da una vita») ed essere candidata a un Brit Award. Ma per la jungle Nia Archives è comunque un oggetto particolare visto la sua predilezione per testi piuttosto profondi ed emotivi che si scontrano con la carica aggressiva tipica del genere.

«Ho iniziato facendo boom bap, hip hop e già scrivevo questo genere di canzoni», ci racconta Nia in una videocall da Bow, quartiere di Londra, «quei beat erano troppo depressivi uniti a quei testi. E io ho sempre voluto che la gente potesse ballare la mia musica. Così quando mi sono innamorata della jungle ho scoperto che potevo “nascondere” i miei sentimenti sotto quei pattern pazzi di batteria».

Partenze, abbandoni, solitudini, sono queste alcune delle tematiche che ritornano nei testi della musicista nel suo primo album Silence Is Loud, un disco (uscito oggi) che arriva dopo il grande successo di critica e pubblica dei suoi primi tre EP – Headz Gone West (2021), Forbidden Feelingz (2022), Sunrise Bang Ur Head Against Tha Wall (2023) – conditi da una serie di singoli di successo come Baianá e Forbidden Feelingz che solo su su Spotify superano i 60 milioni di ascolti: non male per due brani di estrazione jungle.

Jorja Smith x Nia Archives - 'Little Things' Remix

Rispetto a questi due singoli, che rispettivamente campionano Baianá dei Barbatuques e un dialogo della serie tv Colombo, l’album quasi abbandona questa ricerca d’archivio sonora («sono una geek, sono cresciuta comprando album») per trovare nuove vie più strumentali e organiche: «Ho co-prodotto l’album con il mio amico Ethan P. Flynn (già al lavoro con David Byrne, Fka Twigs, Jockstrap, ndr), un multistrumentista di grande talento. Collaborare con lui ha reso la mia musica più interessante. Io ho creato i brani, i beat, lo scheletro del pezzo, Ethan ha avuto la capacità di portarli su più alti livelli. Musicalmente volevo esplorare un po’ di cose come il Brit pop, l’indie, la Motown, spogliare un po’ le tracce dagli elementi più club comunque filtrandole attraverso la lente della jungle». E aggiunge un po’ di reference che ben si allontanano dalla realtà del genere: «Ho studiato molto i Beatles, i Blur, Amy Winehouse, volevo migliorare il mio songwriting». Un effetto che – seppur in un contesto differente – ricorda il primo Fatboy Slim, quello del big beat in cui breakbeat, rock e hip hop convivevano all’interno delle produzioni: «Sai che? Me la prendo volentieri questa analogia».

Un flirt con il rock e con l’indie rock che Nia si porta dietro da Off Wiv Ya Headz, il singolo in cui ha campionato Heads Will Roll, l’anthem degli Yeah Yeah Yeahs (che hanno dato la propria benedizione per la traccia), e che ritorna anche nel comunicato stampa dell’album dove si parla dell’amore della producer per Aha Shake Heartbreak: «Sono cresciuta con l’indie e il rock. I Kings of Leon, come i Radiohead, sono parte del mio background. Mi sarebbe piaciuto far quei generi, ma la voglia di fare roba da ballare era troppo forte. E in fondo la jungle è il punk della musica elettronica: è caotica, e quelli che l’hanno inventata erano dei veri ribelli. Quindi anche guardando agli anni ’90 in cui è nata ci vedo un legame tra il rock e la jungle». E sul revival della jungle ha le idee chiare: «È sempre stata enorme in UK ma penso che le nuove generazioni abbiano avuto il merito di continuare a spingerla, imparando dalle origini, dalle leggende, dagli originator, ma portandola in avanti. Si sono informati, hanno fatto le loro ricerche e adesso ci sono molti nuovi dj. E questo ha portato nuove persone a ballarla».

Foto: Lola Banet

Attorno a lei negli ultimi anni c’è stato parecchio hype e Nia si è ritrovata a far tour in tutto il mondo, dagli States all’Asia: «Non sento la pressione esterna mi basta la mia. Sono del segno della Vergine, sono una perfezionista, ci metto davvero poco a mettermi sotto pressione». E come ci si combatte? «Ho imparato a prendermi cura di me, sia mentalmente che fisicamente, che di per sé è una cosa enorme che ho imparato nell’ultimo anno. A volte, però, la assecondo: dalla pressione nascono diamanti e alcune delle cose migliori le ho fatte quando ero sotto stress».

Quindi niente più feste matte, per lei che è conosciuta come una party sister (a Londra ha un proprio party chiamato Up Your Archives)? «Mi piace uscire, ho vent’anni. Ma non esco più ogni sera, vado solo nelle serate in cui so che posso divertirmi o a sentire i dj che mi piacciono». E sui cambiamenti avvenuti sul dancefloor scatenati da #metoo e pandemia: «Qualcosa è cambiato in bene, qualcosa in male. Prima di tutto molti locali hanno chiuso, e questo è triste. Ma allo stesso tempo ho visto i dancefloor diventare sempre più misti. Io organizzo una serata a Londra e lì il 60% del pubblico è donna e la pista è molto varia: uomini, donne, gay, etero. È uno spazio aperto per tutti e penso che questo sia l’unica cosa che conta alla fine. Creare il giusto e sicuro ambiente per le persone che vogliono andare a divertirsi. La mia idea era creare una festa che la me più giovane avrebbe voluto vivere».

Le feste, la vita da dj, i tour. Ma a sentire Crowded Room, uno dei singoli di lancio di Silence Is Loud, è la solitudine ad avere un ruolo principale nella vita di Nia: «La solitudine è qualcosa che provano in molti, ma non sono molte le persone che ne parlano perché ne sono schiacciati. Stare in tour è un’esperienza molto solitaria e il mio ultimo periodo è stato un tour dietro l’altro con un’agenda pazza e l’idea di non essere mai davvero con qualcuno o da qualche parte». E nemmeno casa aiuta? «A Londra sei sempre in mezzo alla gente ma allo stesso tempo puoi davvero sentirti sola».

Nia Archives - Crowded Roomz

Nonostante Silence Is Loud unisca in maniera decisa chitarre e jungle, ma nel tour che seguirà l’uscita Nia continuerà a esibirsi solamente come dj, un po’ anche per venire incontro al suo pubblico: «Per ora farò solo dj set, mischiando brani di altri ai miei e cantandoci sopra. Ma è un po’ presto per tirar su una band, penso che il mio pubblico sia troppo giovane e avrebbe difficoltà a seguirmi. Non sono ancora pronta a passare dai club ai teatri. Per ora restiamo sui rave». E sul futuro, un augurio: «Il mio sogno è essere candidata a un Mercury Prize. Sarebbe il primo disco jungle da New Forms di Roni Size (uscito nel 1997). Ma quest’anno è pieno di bei dischi, sarà dura. Però sperare non costa nulla».

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