Da come suonano sembrano incazzati neri, ma hanno anche uno spiccato senso dell’umorismo. Sono strani e a loro modo pop. Urlano che in Italia il fascismo non se n’è mai andato e lanciano invettive elettriche contro il dominio dei numeri sulle nostre vite. Alternano muri di chitarre e declamazioni teatrali volutamente buffonesche. Hanno messo in piedi il gruppo non per realizzare un progetto ambizioso, ma perché amano stare assieme e stare bene. Senza la musica chissà dove sarebbero. Di certo la fanno prendendosi la libertà di essere sé stessi, senza seguire alcun trend.
Si chiamano Si! Boom! Voilà! e sono N.A.I.P., il Michelangelo Mercuri che qualcuno ricorderà come concorrente di X Factor 2020, Giulio Ragno Favero (chitarrista e produttore del Teatro degli Orrori, e si sente), Davide Lasala (chitarrista, produttore e fondatore dell’Edac Studio), Roberta Sammarelli (ex bassista dei Verdena), Julie Ant (Giulia Formica, batterista in molti progetti tra cui i Baustelle). Hanno cinque profili e personalità diverse che emergono dal disco e quando succede è sempre positivo: un cantante pop che dice cose serissime sorridendo e citando Lucio Dalla e Paul Klee, un chitarrista orgogliosamente sfasciaorecchie, un altro chitarrista che vive in uno studio di registrazione, una bassista col demonio dentro, una batterista che suona di tutto in modo fighissimo. Metterli assieme è stata un’idea da matti, intervistarli è uno spasso.
Sono un supergruppo che non vuol essere super. In quanto a essere un gruppo ci stanno lavorando, in fondo si sono messi assieme da poco e devono ancora fare il primo concerto. Accadrà il 16 gennaio, il giorno in cui daranno il via al tour (le date sono in fondo all’articolo) e pubblicheranno l’omonimo album d’esordio, un piccolo atto di ribellione creativa a un mondo allo sfascio. Dopo il primo singolo Pinocchio, venerdì 19 dicembre uscirà Voilà, la loro canzone più esplicitamente politica, quella in cui N.A.I.P. urla che “sono tornati i fascisti, anzi non sono mai andati via!”.
Li incontro prima delle prove del tour, Roberta e Michelangelo in presenza, gli altri tre collegati in video. È la prima intervista che concedono ed è anche la prima volta che la bassista parla della separazione dai Verdena. Non li ha lasciati per entrare nei Si! Boom! Voilà! e non se n’è andata solo a causa dei ben noti litigi interni alla band. È più complicato di così.
Chi mi racconta com’è nato il gruppo?
Roberta Sammarelli: Dalle call che io, Davide e Giulio facevamo nel 2020 in pieno lockdown. A un certo punto non so a chi è venuta l’idea di scambiarci delle tracce ed è così che è nata la canzone che canto io, Da zero. È un pezzo di vita, è il primo brano che ho cantato e scritto da sola, poi Davide mi ha aiutato a finire il testo e Giulio ci ha messo degli archi pazzeschi. Lo abbiamo tenuto per ricordare l’inizio del progetto. A quel punto ci siamo detti: ok, abbiamo un brano, proviamo a costruire qualcosa. Prima di arrivare a Michelangelo e a Giulia ci sono state un paio di formazioni di passaggio.
Chi cantava?
Roberta: Posso solo dirti che pochi cantanti in Italia non ci hanno provato (risate). C’era chi mollava, chi non riusciva, chi non piaceva a noi. Chi aggiungeva una bella parte vocale, ma con un testo che non ci convinceva o viceversa. Un paio d’anni fa la parte musicale era sostanzialmente chiusa, ma stavamo mollando, eravamo convinti che non avremmo mai trovato il cantante giusto.
Michelangelo Mercuri: E poi, mossi da disperazione…
Davide Lasala: Abbiamo preso il meno peggio (risate).
Roberta: Ne parlavo una sera a cena con Motta, nel periodo in cui facevo la turnista con lui, e lui mi fa: «Ma N.A.I.P.?». Lo guardo e dico: «Ma sei un genio!». Lo scrivo in chat e Giulio impazzisce: «Non è possibile! Era la mia prima scelta, ma non ho avuto il coraggio di chiedervelo».
Michelangelo: C’è una chat che lo dimostra, l’ho pubblicata su Instagram.
Giulio Ragno Favero: Io fan della prima ora.
Roberta: Gli mandiamo i brani e lui dopo dieci giorni ci rimanda cinque canzoni con cinque testi con cinque sfumature diverse.
Davide: E quei cinque pezzi, che poi sono finiti nel disco, erano uno meglio dell’altro.
E in tutto ciò Giulia?
Davide: Ce l’ha proposta Michelangelo.
Giulia Formica: Io e lui abbiamo un progetto che si chiama Go!Ya!. In auto per andare a una data mi ha fatto ascoltare degli strumentali dicendomi: «Io non ti ho fatto sentire niente, eh». E intanto io pensavo: «Che figata, che culo che ha».
Roberta: E poi ti ho chiamata io.
Prima di fare il disco avevate un’idea di come doveva suonare?
Giulio: Il gruppo nasce dalla voglia di suonare assieme. Nessuno si è posto un obiettivo. Le basi del disco sono nate in pochissime ore in studio senza il pensiero di creare un progetto specifico, di andare in una direzione, essere o non essere al passo coi tempi. Una volta quando si formavano i gruppi cosa facevano? Niente, si chiudevano una stanza, jammavano, tiravano fuori i pezzi. È quello che abbiamo fatto anche noi. La gente si aspetta salti mortali da un gruppo del genere, noi invece saremo fermi, immobili. È tutto nato in poche ore, Pinocchio credo in 40 minuti.
Michelangelo: Ci mancava un pezzo in cui eravamo tutti nella stessa stanza anche con Giulia.
Davide: Nessuno sta indirizzando l’altro, c’è tanta libertà di espressione. È bello anche lasciare spazio agli altri.
Foto: Matteo Bosonetto
Mi pare che nell’album raccontiate questo mondo allo sfascio, ma con un tratto di umorismo interessante. Siete incazzati, ma ridete.
Michelangelo: Forse è significativa una frase di Pinocchio, che poi è presa da una poesia di Paul Klee: “Solo ridendo mi sto elevando al di là della bestia”. Ridere come anticorpo a una società che ti opprime, contro la pesantezza del vivere.
C’è un pezzo intitolato Santi numeri che affronta, di nuovo con senso dell’umorismo, l’ossessione per i numeri che c’è nella musica italiana oggi.
Roberta: È il brano che mi ha fatto dire: è N.A.I.P. il nostro uomo.
“Stanno arrivando, li senti anche tu, sono tantissimi, un esercito di sold… out!”.
Roberta: Geniale. Oggi sembra che ci sia molta libertà, che invece non c’è. È dura fare il musicista in questo momento storico, devi assecondare gli algoritmi, il sistema ti dà l’illusione che tu sia libero, ma non è vero. Il suo testo è un urlo liberatorio.
Michelangelo: È un esorcismo.
E insomma va bene anche se suoni davanti a 100 persone.
Roberta: E ’sti cazzi, sì!
Michelangelo: Che devo fare, mi devo sparare?
Giulio: I numeri prendono il sopravvento nella giornata di tutti quanti attraverso i social. E spesso questo bastimento di numeri non si traduce in nessun modo in biglietti/vendite di dischi. Sono solo numeri su una pagina di un’azienda americana e non hanno niente a che vedere con la realtà. Tra l’altro i numeri nella storia tornano anche in situazioni abbastanza agghiaccianti, se pensi a quando venivano impressi sulle braccia delle persone. Allontanarsi dai numeri è una grande idea.
Nel disco senti i musicisti dietro gli strumenti e forse è una cosa che oggi un po’ manca nel mainstream.
Giulio: Credo che negli ultimi due o tre anni la cosa stia cambiando in modo radicale, pensa all’affermazione di un certo tipo di musica, dai Turnstile agli Idles. Come sempre in Italia siamo in ritardo di vari anni. E in ogni caso, al di là dell’intelligenza artificiale, oggi quasi tutti i concerti sono suonati, solo che magari i musicisti sono nascosti.
Questo però è significativo, no?
Giulio: Pensaci però, il musicista lo nascondi e sul palco fai i balletti, ma non riesci a offrire una forma di intrattenimento efficace senza passare attraverso la vita umana, cioè gente che suona al posto delle basi. L’energia che si esprime in un concerto, anche suonando sopra le sequenze, sarà sempre maggiore rispetto a quella di una performance in cui ci sono solo le basi. Un karaoke, tra virgolette, funziona meno di un karaoke suonato.
Nelle vostre canzoni ci sono vari cambi, sono molto mosse, c’è una bella varietà…
Roberta: Giulio ha fatto un po’ da direttore d’orchestra: «Tutti su di mezzo tono e poi torniamo giù di uno e poi su di mezzo». Il disco è pieno di questi cambi che sembrano semplici, ma dobbiamo anche ricordaceli. È stato divertente, un gioco. In quanto a Giulia, è stata bravissima e coraggiosa. Il giorno in cui è arrivata in studio è quello in cui abbiamo registrato il disco.
Davide: La prima volta che abbiamo suonato tutti assieme è stato quando abbiamo registrato. È arrivata e dopo un’ora eravamo in rec.
Giulia: Forse rappresento la parte emo di questo progetto. È una questione di linguaggio, è una cosa che senti a pelle anche se non hai mai suonato assieme a qualcuno. Lo senti quando c’è un linguaggio comune. Il resto viene naturale, quando hai la libertà di farlo.
Davide, Giulio, come riconosciamo le vostre due chitarre nel disco?
Davide: Io sto a destra e lui a sinistra.
Giulio: Facile!
Roberta: Io li riconosco perché c’è una chitarra da disturbatore e una più melodica, la prima è di Giulio Favero, l’altra è di Davide.
Giulio: Mi disegnano così.
Roberta: Se le due chitarre avessero fatto la stessa cosa, seguendo accordi, melodia, armonia, le canzoni non sarebbero state interessanti. E invece ci sono due identità molto diverse, una che surfa sulla musica e l’altra che entra a gamba tesa. Il bello che non è facile all’ascolto, ma non è noise.
Giulio: Uno di quelli che hanno provato prima di Michelangelo ha detto che i nostri brani sono delle trappole per far fallire i cantanti. Perché ci sono molte dissonanze…
Roberta: Colpa tua.
Giulio: Sono cresciuto con un certo tipo di musica e mi piace dissonante e a un certo punto ero affranto dal fatto che tutti quelli che hanno provato a mettere la voce avessero dei problemi a scrivere melodie su armonie diciamo così complicate.
Davide: È perché sentivano solo la cuffia di destra (risate).
Giulio: Un certo appiattimento ha invaso anche mondi in cui c’era libertà espressiva armonica. Quindi siamo tutti contenti del modo in cui Michelangelo ha affrontato questa cosa.
Michelangelo: Io gioco, faccio tutto in estrema leggerezza, poi se va bene, bene.
Giulio: Ho letto un po’ commenti a Pinocchio di chi si aspettava che da questo gruppo inventasse chissà che musica. Ma, regà, non siamo degli inventori. Probabilmente il prossimo sarà ancora più crudo di così, questo è addirittura troppo lavorato. Cioè, abbiamo lavorato molto poco alla stesura dei brani e questo mantiene una scintilla importante, e poi abbiamo lavorato molto perché avere quattro teste da produttori dentro lo stesso gruppo è tosta. L’unica che si salva poverina è Giulia, che però subisce gli altri quattro.
Giulia: Aspetto il prossimo, ci dovevamo conoscere.
Giulio: Non è neanche detto che il prossimo sia un disco, magari sarà un balletto.
Michelangelo: Questo è il nostro primo appuntamento.
C’è quindi l’idea di continuare col progetto nel medio-luglio periodo?
Roberta: Dipende molto da come andrà il tour.
Giulio: Be’, se a vederci non viene nessuno… (risate).
Roberta: No no, non parlo dell’affluenza, ma di noi, se non ci scanniamo, se alla fine del tour avremo ancora voglia di andare in studio, ben venga.
Foto: Matteo Bosonetto
Ho letto anch’io sui social qualche commento a Pinocchio. Qualcuno dice che somiglia troppo al Teatro degli Orrori.
Giulio: Eh beh, vedi un po’, cosa dovrebbe ricordare?
Giulia: E il Teatro degli Orrori cosa ricordava, eh? (Risate)
Giulio: In realtà è il Teatro degli Orrori che faceva cover dei Si! Boom Voilà! (Altre risate). Senti, questa cosa la trovo super interessante perché descrive un piccolo problema non solo del momento che viviamo, ma anche del Paese in cui viviamo. Faccio un esempio. Quando sono venuti fuori Bad Religion, NoFx, Pennywise c’erano migliaia di gruppi che facevano lo stesso genere e le stesse canzoni magari cantate nello stesso modo, eppure non era un problema per nessuno. Oggi invece vogliamo avere uno di tutto e quell’uno è sufficiente, quindi una volta che c’è stato Il Teatro degli Orrori non si può fare un altro gruppo con uno del Teatro degli Orrori e che assomiglia al Teatro degli Orrori. È considerato un reato artistico. Negli anni ’90 la gente non andava dai gruppi a dire: «Oh, ma siete troppo uguali a quelli là». A me quello che fa veramente impazzire è che la gente si sveglia la mattina e ti rincorre nelle varie pagine delle webzine e dei social per dirti che fai cagare. Quando uscì Il mondo nuovo ci massacrarono, però oggi rido. Anzi, sono un po’ deluso, perché mi aspettavo qualcosa di più, invece vedo che son tutti lì che si trattengono…
Roberta: No, Giulio, a me va bene così.
Michelangelo: A Giulio piacciono le sfide (alza la voce): «E allora, è solo questo quello che sai fare!?».
Giulio: La cosa su cui queste persone dovrebbero riflettere è che creare engagement porta soldi a un’altra parte del mondo. Siamo tutti operai di queste aziende. Credi di disfare la voglia di un gruppo di continuare, ma stai solo arricchendo qualcun altro che manco sa che esiste quel gruppo. È una roba ridicola.
Come siete rimasti col Teatro degli Orrori?
Giulio: Siamo chiaramente in pausa perché ci sarà questa cosa qua e Pierpaolo farà uscire il disco nuovo coi Cattivi maestri e credo abbia altre cose in ballo per il cinema. Ci rivedremo penso indicativamente o comunque mi piacerebbe che ci rivedessimo nel 2027 per fare qualcosa di nuovo.
Un disco?
Giulio: Un disco… Ma basta dischi, ci sono troppi dischi secondo me.
Roberta: Ma un altro coi Si! Boom! Voilà! lo vuoi fare?
Giulio: Secondo me i Si! Boom! Voilà! dovrebbero fare un disco ogni sei mesi.
Michelangelo: Ogni quattro!
Giulio: Come i Beach Boys, sono che i nostri sono brutti.
Roberta: Ti ricordo che tengo famiglia.
Michelangelo, a proposito di social, Gogna ragazzo gogna è una canzone frutto della tua storia personale a X Factor?
Michelangelo: C’è una frase nello special che dice che se ti becchi i complimenti, ti becchi anche i vaffanculo. Se spalanchi le porte della tua emotività a ogni apprezzamento, nel momento in cui i commenti diventano cattivi per te si mette male. Chi oggi ti dice «figata!» ci mette un attimo a diventare un nemico. Sono cose che possono distruggere la vita delle persone, non tutti sono pronti ad affrontare le cattiverie e magari riderci su.
Ti è successo qualcosa del genere?
Michelangelo: In realtà no, gran parte di questi testi sono scritti dal punto di vista di uno che osserva le cose che accadono, le dinamiche sociali. La difficoltà che ho avuto dopo X Factor è stata semmai non poter osservare liberamente le persone in piazza perché mi chiedevano una foto.
Questo è anche un disco politico.
Michelangelo: Inevitabilmente. La musica è reazione a ciò che accade.
In Voilà! canti che sono tornati i fascisti. Anzi, che non sono mai andati via.
Michelangelo: Mi piace paragonarlo a un gioco di prestigio, non penso siano mai scomparsi.
Mancano dischi italiani che raccontino l’aria che tira?
Michelangelo: È scomparso il concetto di collettività e di conseguenza quello è un mercato sul quale non molti autori investono. Forse sono ottimista, ma credo che l’individualismo stia scomparendo. Per anni ci siamo raccontati le nostre identità individuali, che hanno preso il posto del quartiere, della collettività. Perciò quando canto di cose del genere mi sembra di essere un idraulico del Liechtenstein che fa parte della nazionale di calcio, ma solo perché nel Liechtenstein ci sono pochi calciatori.
La copertina di ‘Si! Boom! Voilà!’
Bello il passaggio di Mentre succhiamo: “Uno dei dei momenti in cui mi sembra che non butto niente è quando grido davanti a un microfono”. Lo chiedo a tutti, vi ci riconoscete?
Giulio: Se non avessi iniziato a suonare probabilmente non sarei qua. Non è solo una questione di libertà, è una questione esistenziale. Grazie alla musica ho trovato un motivo e un modo di stare al mondo. Ho spesso detto che se Il Teatro degli Orrori non si fosse formato ci sarebbero stati come minimo due al cimitero, uno in galera e uno ricoverato.
Michelangelo: Io benzinaio.
Giulio: Ci ha salvato la vita quel gruppo là. Mi chiedo: oggi quante volte accade rispetto a quanto accadeva in passato? Uno strumento musicale per quanto mi riguarda non è la salvezza, ma una libertà.
Roberta: Io per rispondere devo fare un pippone di almeno un quarto d’ora.
Sono qui anche per questo, così mi dici anche dei Verdena.
Roberta: È difficile perché è molto complicato… Io sul palco mi sono sempre sentita nuda, ma nel posto giusto, con una libertà totale. A un certo punto del mio percorso, su quel palco ho smesso di provare questo tipo di emozione. Ho iniziato a non sentirmi più nel posto giusto e nemmeno nuda. Cominciavo a sentire sempre meno.
Per quale motivo?
Roberta: Non li indagherei qui i motivi, li ho analizzati in terapia con uno psicologo, sono cose molto personali. Nel 2015 la mia vita era dedicata ai Verdena. Durante il tour di Endkadenz qualcosa ha iniziato a non andare dentro di me nei confronti del pubblico. Per la prima volta in quasi 25 anni avevo la sensazione che se suonavo bene oppure così così oppure male non faceva alcuna differenza…
Non faceva differenza per il pubblico?
Roberta: Mi tornava indietro una sensazione di appiattimento generale e questa cosa ha iniziato a lavorare dentro di me. E non mi andava più bene perché ho sempre pensato al palco come a un luogo di grande liberazione. Ho tenuto botta fino al tour successivo. Per tutta la mia vita ogni volta che tornavo a casa dopo i concerti piangevo, in quel tour piangevo prima di andare a suonare. Lì ho capito che qualcosa non andava e ho iniziato un percorso di consapevolezza. Se sono qui oggi con questa band lo devo tantissimo a Francesco Motta. È stato lui a farmi venire di nuovo la voglia di tornare sul palco. Fino a diciamo tre anni fa ero convinta non solo che avrei finito il mio percorso coi Verdena, ma che avrei smesso di suonare. Pensavo di non avere più niente da dare, qualcosa da mettere in gioco.
L’ultimo tour è stato quello di Volevo magia.
Roberta: Quello è stato duro. Ho dovuto mettere impegno per portarlo a termine, è stato faticoso, sentivo che tutta quella fatica emotiva non valeva più. Sai, sono una persona sensibile, ho una mia storia, emotivamente non sono molto stabile. A volte cerco di darmi degli scossoni per dimostrare a me stessa che non sono così fragile anche perché gli altri hanno di me un’immagine che è l’esatto opposto di quella che ho io. Ecco perché sono e sarò per sempre in analisi. C’è un trauma in partenza che non c’entra coi Verdena, viene da un tempo molto più antico, che però mi influenza.
E quindi finito quel tour…
Roberta: Nella mia testa avrei smesso di suonare, ecco perché non voglio assolutamente, in nessun modo che si pensi che ho mollato i Verdena per i Si! Boom! Voilà!. Questo gruppo è un regalo che mi è arrivato negli ultimi due anni, dopo che suonare con Motta mi ha fatto pensare che forse c’era ancora qualcosa da dire. A dicembre 2023 sono andata a fare due pezzi nel suo concerto e lui è rimasto folgorato perché quando salgo sul palco con la mia determinazione, tipo che ho dentro il demonio, do tutto. A fine concerto mi ha guardata e mi ha detto: «Non può finire così, no, tu adesso devi venire in tour con me per sempre». «Francesco, no per carità…». Mi ha tartassato per mesi: «Dai vieni, cosa te ne frega». Mi sono rimessa in gioco. Mi sono detta: facciamo anche questa, proviamo a testare i miei limiti, andiamo a fare la turnista per Motta. L’ho preso come un lavoro. Venivo da 25 anni di una cosa molto precisa, non riuscivo a guardare oltre quella bolla. Motta mi ha tirata fuori e mi ha fatto vedere la sua bolla, che non è più bella o più brutta, è differente. Avevo solo bisogno di vedere che potevo salire sul palco in maniera diversa. Mi ha dato lo stimolo per pensare: forse cambiando ho ancora qualcosa da dire. I Si! Boom! Voilà! sono nati durante il periodo in cui facevo i concerti con Motta e mi dicevo «ce la posso ancora fare». Quello che voglio far capire è che mi sono trovata a fare una scelta: per rispetto mio, degli altri e soprattutto del pubblico non avrei potuto continuare coi Verdena perché non avevo altro da dare. L’alternativa era stare a casa a fare la madre e la casalinga. Avrei potuto farlo, ma… alla fine andare in tour mi piace (ride).
Quanto la tua decisione è basata su questo tuo malessere e quanto invece hanno contato i rapporti con Alberto e Luca? Le due cose sono connesse?
Roberta: Chi ci conosce sa che non siamo mai andati d’accordo e questo fin dal 1999. Chiunque conosca i Verdena li ha sempre visti litigare, li ha sempre visti urlarsi dietro, ha visto le grandi incazzature e i grandi bronci. Quindi la risposta è né sì, né no. Quel che posso dire è che abbiamo iniziato che avevamo 16 anni. Oggi ne ho 46 e ho fatto un percorso che è stato molto diverso da quello che hanno fatto Alberto e Luca. Anche loro sono cambiati, ma in un altro modo. Diventare madre ha sradicato profondamente tutte le mie convinzioni. Ho scoperto da un lato di essere fortissima, dall’altro sono uscite tutte le mie debolezze, tutte. E sono stata costretta ad affrontarle proprio perché madre. Come faccio a educare tre figlie femmine a essere donne forti e a uscire da situazioni difficili se io per prima non ho il coraggio di farlo? Sono loro che mi hanno dato la forza di farlo. Non ho fatto una scelta facile. Avrei potuto ingoiare le mie sensazioni, stare al mio posto e avere il mio guadagno sicuro per il resto della vita, ma non potevo andare avanti così, no, non sono quel tipo di persona, chi mi conosce sa che sono trasparente.
Davide: Sei bellissima! Sei stupenda!
Roberta: Grazie grazie… E quindi a un certo punto devi affrontare fragilità e problemi, non puoi tenerli sempre dentro le tasche, perché a un certo punto le tasche si bucano ed esce tutto.
Quando lo hai comunicato agli altri due?
Roberta: Quando abbiamo finito il tour di Volevo magia, due anni fa.
Se l’aspettavano? Come l’hanno presa?
Roberta: Non so dire se lo aspettavano, dovresti chiederlo a loro. Ho spiegato le miei ragioni e mi è stato detto «ok».
È stata questa la loro reazione? «Ok»?
Roberta: Sì.
Giulia: Visto da qui sembra un interrogatorio in carcere (risate).
Foto: Matteo Bosonetto
Fai la spiritosa, Giulia, ma adesso tocca a te raccontarti.
Giulia: Ah, il momento dell’analisi… Io questa cosa della musica la chiamo la dolce condanna. È l’unico mezzo che ho trovato nella mia vita per esprimermi in maniera naturale. Probabilmente con le parole sono meno brava. La musica è il linguaggio più semplice che conosco per comunicare con gli altri e con me stessa. E mi piace molto farlo con altre persone, con teste diverse, forse è un’esigenza. Ho sempre suonato in qualche band fin da quando ero piccolina, avevo 10 anni e suonavo con mio fratello. E poi in maniera naturale è diventato negli ultimi anni un lavoro ed è molto difficile soprattutto emotivamente parlando.
Perché?
Giulia: Perché la band è un porto sicuro e quando diventa un lavoro e lo faccio per altri non riesco a non metterci il 100%, mi lego molto ai progetti anche se non sono miei. Quando questi progetti finiscono, com’è normale che sia, soffro come se fosse un divorzio, come un fidanzato che mi lascia e mi tradisce, è lo stesso dolore. Quindi più volte ho pensato: basta, non mi innamorerò mai più. Però c’è qualcosa dentro, è un’esigenza suonare.
Davide, manchi tu.
Davide: Negli ultimi anni per me suonare e fare musica è diventata una terapia. Essendo produttore ho passato anni a fare dischi per gli altri, a rassicurare chi viene in studio con gli occhi sgranati e ha paura di affrontare un disco. Ritrovarmi adesso a fare un disco con loro e andare in tour è un modo per stare bene. Devo affrontare delle cose che ho nel passato e che sono rimaste lì ferme da risolvere. Con questo gruppo a prescindere da tutto, anche dalla musica, io voglio stare bene.
Cos’altro vorreste far sapere di questa band?
Davide: Che ci vogliamo benissimo!
Giulio: A me viene da sottolineare questo: ho l’impressione che oggi nella musica ci sia il vizio di seguire una qualche forma di appartenenza. Trovo sempre poca libertà in quel che sento. La cosa che ci piacerebbe far passare è che un disco si può scrivere in due giorni e può essere abbastanza coinvolgente, abbastanza efficace senza pensare di dover correre dietro a chissà cosa. Sembra sia l’unica cosa che dobbiamo fare oggi sia correre dietro ai trend del momento.
Davide: Tutto quello che ascoltate e vedete è buona-la-prima e questa cosa secondo me è pazzesca se pensi alle band che fanno i progetti, ci pensano, disfano, soffrono male. Questa invece è una gabbia di matti.
Giulio: Prima ho detto che mi piacerebbe se facessimo un disco nuovo, ma potrebbe anche essere un’agenzia immobiliare.
Davide: La Si! Boom! Voilà! Srl.
Il disco dura 38 minuti e non credo che farete concerti da 38 minuti…
Michelangelo: No, perché alcuni pezzi del disco non li facciamo, quindi dureranno 26 minuti (risate).
Giulio: Magari ci sciogliamo.
Giulia: Può essere.
Giulio: I video promozionali che abbiamo inventato sul momento facendo i cazzoni sono stati apprezzati e allora ho detto a Michelangelo: «Ma perché non continuiamo così, facciamo solo video promozionali e il disco neanche lo pubblichiamo».
Ma cosa suonerete dal vivo? Canzoni del vostro passato?
Michelangelo: Noooo.
Roberta: No.
Giulio: Basta col passato.
Michelangelo: Dunque, facciamo due canzoni dei Verdena… (risate).
Roberta: L’idea, e vedremo se fattibile visto che viviamo in città diverse e facciamo vite piene di impegni, è presentarci alle prove ognuno con un pezzo nuovo.
Giulio: Ognuno deve scrivere la sua parte di un brano dall’inizio alla fine, come se fosse lo stem del suo strumento. Poi purtroppo io e Davide non riusciamo a trattenerci e ne abbiamo già scritti tipo quattro. Per come conosco il quintetto, secondo me quando ci troveremo ci verranno idee alternative a come creare uno spettacolo, che non vuole dire fare del cabaret.
Michelangelo: Posso dirlo? Peccato… (Risate)
Giulio: Ci stavo arrivando facendo un giro largo per sviare… Credo sia interessante avere un’interazione col pubblico che vada oltre l’esibizione sul palco, cercare insomma di portare al centro chi viene a vederci.
Roberto: E direi che Michelangelo è la persona giusta per farlo.
Giulio: Portate una vanga.
Una vanga?
Giulio: Metti che poi facciamo lezioni di giardinaggio…
Giulia: Posso dare un consiglio a chi verrà a vederci? Restate in fondo alla sala se non volete essere coinvolti.
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Club.Tour.2026
16 gennaio Livorno (The Cage)
23 gennaio Bergamo (Druso)
24 gennaio Pordenone (Capitol)
29 gennaio Torino (Hiroshima Mon Amour)
30 gennaio Nonantola – MO (Vox)
5 febbraio Milano (Santeria Toscana 31)
18 febbraio Roma (Largo Venue)
20 febbraio Perugia (Urban)
21 febbraio Ravenna (Bronson)
