Neon Indian prima fa i tour, poi i dischi | Rolling Stone Italia
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Neon Indian prima fa i tour, poi i dischi

L'ultimo tour del cantante americano non ha avuto date italiane. Proprio ora che Alan Palomo finalmente torna in Italia, a Ortigia, pare abbastanza sensato che non esista un disco

Neon Indian prima fa i tour, poi i dischi

Quando l’Ortigia Sound System di Siracusa ha annunciato il nome di Neon Indian, il mio cervello è andato in due diverse direzioni. Da una parte c’era l’entusiasmo, l’euforia che deriva dall’annuncio di un live (che non ho mai visto) di un musicista spaventoso, specie quando si parla di songwriting, specie dell’ultimo album VEGA INTL. Night School del 2015. Dall’altra parte però le mie congiunzioni sinaptiche hanno iniziato a unire i neuroni da 1 a 46 fino a disegnare un punto interrogativo grosso come il Castello Maniace, che è anche il posto dove suonerà Neon Indian il 26 luglio.

Torniamo un pochino indietro. Alan Palomo è il nome dietro a Neon Indian, così come Kevin Parker si firma Tame Impala, e da dieci anni esatti il musicista mezzo texano e mezzo messicano firma dischi bellissimi, a metà fra cartoni psichedelici e citazioni di vecchi inni italo disco dei tempi in cui Pertini sciabolava sull’aereo presidenziale e i Buoni Ordinari del Tesoro avevano un tasso di rendimento del 17%. Finora, dopo ogni disco di Neon Indian c’è stato un tour (niente di nuovo, fanno tutti così). L’ultimo tour non ha avuto date italiane, ma ora che Alan finalmente torna in Italia, pare abbastanza sensato che non esista un disco.

Ora, l’entusiasmo di vederlo suonare dal vivo rimane, ma con esso anche il grande punto interrogativo.

Sei in tour ma non c’è un nuovo album: che succede?
Di solito sono sempre andato in tour subito dopo l’uscita di un album. Storicamente, penso ci sia sempre stata un’insicurezza recondita sul proporre nuova musica ai fan prima di suonarlo su un palco. Comunque stavolta sono in dirittura d’arrivo per finire nuovo materiale, e mi è sembrava divertente andare in giro per il mondo e suonarlo molto prima che ci fossero piani concreti su quando farlo uscire. Questo disco vedrà un cambio di direzione molto interessante, quindi sono davvero curioso di vedere la reazione della gente. E poi, sono almeno tre anni che non andiamo in tour: mica possiamo privare i fan per così tanto!

Beh, in Italia sono almeno sette anni che non venite. Cosa ricordi di quella data?
Era ben più di una data, abbiamo fatto un’intera settimana di tour in Italia nel 2012. Più di ogni altra cosa, ricordo i lunghi, bellissimi viaggi in macchina. Forse i più belli che abbia mai fatto. Mi ricordo di un concerto a Roma che abbiamo fatto con Grimes e di Doldrums che si è mangiata tutta la pizza di uno della mia band mentre noi stavamo sul palco a suonare. Ricordo un club a Modena in cui abbiamo suonato e ricordo di aver fantasticato su come dovesse essere quel posto ai tempi d’oro della disco.

Si vede lontano un miglio che sei un cultore dell’italo disco.
Lo sono, senza speranza. Colleziono dischi italo da quando sono adolescente. Ora che ci penso, una delle cose che mi è rimasta nel cuore dall’ultimo tour in Italia è il disco di Vado al massimo di Vasco Rossi che ho trovato per caso in un mercatino. Splendida Giornata per me è stata più che una rivelazione.

Alla fine di Slumlord c’è un outro in italiano, da dove viene?
Quella è la voce del compianto Marzio Dance, che solo di recente un negozio di dischi di Firenze, il Move On, mi ha detto di provenire da uno dei suoi set alla Xenon Disco, un loceale storico della nightlife fiorentina ormai chiuso da molti anni.

Ho visto il tuo nuovo cortometraggio 86’d, sembra che ora sei più focalizzato sulla regia che sulla musica. Vuoi diventare un regista a tempo pieno?
Beh, fare il regista è sempre stato nel retro del mio cervello. Ho studiato cinema ed ero ancora a scuola quando ho registrato Psychic Chasms [primo album del 2009, ndr]. È stato allora che ho deciso di mollare la scuola, andare in tour e sostanzialmente non tornare mai più a studiare. Nonostante l’ultimo decennio sia stato incredibilmente soddisfacente per me a livello musicale, è come se spesso ci sia qualcosa di discontinuo nel lavoro che faccio a nome Neon Indian. Qualche aiuto visivo può sempre aiutare la musica. VEGA INTL. Night School era un tentativo per rimediare proprio a questo. Ho diretto i video dell’album e lavorato a stretto contatto con Robert Beatty e Luke Lanter per rendere la copertina e il packaging un’estensione dell’universo musicale dentro il disco. Un film è più o meno il luogo in cui tutte queste cose si uniscono per raccontare una storia, e a me piacerebbe avere l’opportunità di raccontarne. È qualcosa che senza dubbio mi attira.

Nel cortometraggio reciti pure la parte di Chuckie, un tizio baffuto. Hai studiato recitazione?
Non ho studiato ma ho recitato molto sin da bambino. Mia mamma lavorava in un’emittente radio, all’epoca chiedeva a me e mio fratello di recitare nelle brevi pubblicità per lei. Abbiamo iniziato a farlo così spesso che poi siamo entrati in un’agenzia per talenti. Ho avuto pure un breve momento di celebrità in una commedia dei fratelli Farrelly intitolata The Ringer
[film del 2005 con protagonista Johnny Knoxville, ndr]. Crescendo però, il mio interesse si è spostato dalla parte che sta dietro la videocamera.

Sono veri i baffi di Chuckie?
No, sono decisamente finti. Sono dilaniato da una pessima asimmetria dei peli facciali.

Neon Indian - Annie (Official Music Video)


Com’è stata la tua infanzia? Ti manca mai il Messico?
Il primo ricordo che ho dell’infanzia è letteralmente un sogno che ho avuto. Nel sogno, una specie di asteroide-cartone animato sfreccia verso la Terra. Ricordo che quando mi sono svegliato non ricordavo nulla del giorno prima. Sono sceso di sotto e mangiando i cereali ho spiegato ai miei che sembrava come se fosse il primo giorno della mia vita. Nonostante sapessi che eravamo andati a Disneyland sei mesi prima, non riuscivo a ricordarmi niente di quel giorno. Avevo un’immaginazione iperattiva. Una volta pensavo di aver visto un alieno nel mio armadio, un alieno con le sembianze di Raymond Burr, il presentatore di Unsolved Mysteries. Ho dei ricordi dolcissimi di Monterrey e del Messico di allora. Mio fratello che compra un CD dei Mana [rock band messicana, ndr], grandi barbecue a casa di mia nonna, giocare ai videogame del SEGA Genesis coi miei cugini. Mi manca vivere lì.

E da adolescente che tipo eri?
Ero una specie di incapace. Un inetto, hai presente Max Fischer del film Rushmore di Wes Anderson? Ero nel corso di oratoria e dibattito, nel dipartimento video della scuola, ero redattore del magazine letterario, responsabile dell’entertainment sul giornalino della scuola, fondatore del club del cinema. E proprio come nel film, i miei voti facevano schifo perché ero impegnato in troppe attività extra-scolastiche. La spinta che avevo allora era abbastanza imbarazzante. Penso che sia stato allora che ho deciso di dedicare il mio tempo alle cose che mi interessano. E penso che questa cosa sia rimasta invariata da allora.

È vero che tuo padre è stato un cantante famoso in Messico? Ti ha insegnato qualcosa?
Ha avuto una breve carriera da artista fra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. Ha insegnato a mio fratello a insegnare la chitarra e a entrambi a cantare. Sulle prime non ho dimostrato grande interesse nella musica, ma ho decisamente assorbito tanto anche solo guardandoli suonare. Nel momento in cui ho cominciato ad armeggiare musica al college con uno dei miei primi progetti, Ghosthustler, mi sono reso conto che nonostante sapessi suonare a malapena i miei strumenti avevo una qualche affinità con il processo di scrittura musicale. Ironia della sorte, mio fratello ora suona nella mia band, quindi il cerchio si chiude.

Perché hai messo da parte il tuo moniker VEGA?
Nel 2012 ero fortemente determinato a fare un album di VEGA. Mi ricordo di aver persino proposto ai Chromeo di produrlo. Ma più materiale scrivevo e più stavo cercando il pelo nell’uovo su ciò che costituiva VEGA e cosa Neon Indian. Mi sono reso conto che differenziare i due moniker stava diventando controproduttivo. Ero pure tornato a fare il DJ, cosa che ho fatto discontinuamente dai tempi del college. Questo ritorno alla dance mi ha catapultato dentro tre anni di fervore, in cui sostanzialmente collezionavo dischi italo disco, synth pop giapponese, house balearica e delle origini. Questa influenza ha cominciato a farsi sentire sulla mia scrittura brani. Non volevo più differenziare canzoni e idee, così ho deciso di cannibalizzare VEGA e integrarlo a Neon Indian. L’ultimo disco è una celebrazione di tutto ciò.

E il prossimo disco?
Non posso ancora dire molto, ma lo sto finendo. Spero potrà uscire entro l’anno prossimo. C’è molto spagnolo dentro.

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