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Nello Taver e la raffinata arte del cazzeggio

È un rapper con il mito di Carmelo Bene e un attore/regista che si ispira a Harmony Korine. Solo non chiamatelo influencer («poi la gente pensa "questo è un coglione"»). Venerdì è uscito il suo primo album, 'Fallimento'. Ne abbiamo parlato con il diretto interessato

Foto: Filippo Florindo

Il rap si prende molto sul serio, sempre di più da quando è diventato la rampa di lancio preferita per la fame di successo di molti ragazzi. È per questo che oggi l’uscita di Fallimento di Nello Taver va festeggiata e presa sul serio, nonostante l’ironia e le rime dissacranti del rapper – ma anche content creator, attore e regista di origini campane e residente da poco a Milano – ci portino apparentemente in un’altra direzione. Fallimento è uno manifesto anti sistema (del rap), un inno al cazzeggio consapevole, una parodia diretta e semplice come l’idea di fare un pezzo in cui dissa se stesso (SelfDissing con Inoki).

Tutto questo ce lo porta un ragazzo cresciuto tra la pizzeria di famiglia e i corsi di teatro per superare timidezza e insicurezze. Un guaglione che – come racconta nel brano autofiction che chiude l’album, Nelluccio Story – è stato bullizzato dai coetanei («mi chiamavano cicciobastardo») e menato dalle suore, poi è cresciuto con la fissa con l’hip hop e col dono dell’intelligenza, quindi dell’ironia. Cita Carmelo Bene e Massimo Troisi e ama «sparare cazzate su Instagram», rappresentando al meglio tutte le contraddizioni della sua generazione. E facendoci fare un sorriso, fanculo al disagio. Del resto “la vita è una sola / dimmi perché devo lavorare”, il cazzeggio è un’arte raffinata per pochi e Nello Taver, oggi più sicuro di sé che mai, ma si definisce sempre «un cucciolone». Altro che coolness.

Dopo aver letto questa chiacchierata con noi di Rolling Stone recuperate anche il film (sì, un vero e proprio film) che accompagna l’uscita del disco e ne porta non solo il titolo ma anche lo stesso graffiante humor, solo così capirete meglio il potenziale di questo rapper ventiquattrenne che si ispira a Totò e Harmony Korine. Perché il rap ha molto più bisogno di Nello Taver di quanto Nello Taver abbia bisogno del rap.

Il rap è uno degli universi meno auto ironici del mondo. È stata difficile farne la parodia nel suo tuo film e in alcuni pezzi del disco?
Un mio punto di forza è non prendermi troppo sul serio, ma questo può far sì che anche gli altri non mi prendano sul serio. Questa è la sfida più difficile che ho dovuto affrontare ma sono certo di averla vinta con questo album. Prima mi dava fastidio che qualcuno pensasse che dicevo solo cazzate e quelle che per me erano punch line per loro fossero battute. Ora riesco sempre a non prendermi sul serio ma a essere me stesso in quello che dico, col mio modo dissacrante e tagliente.

C’è una tradizione di rap ironico e dissacrante napoletano, penso a La Famiglia e ai 13 Bastardi.
Ho 24 anni e quando ho iniziato ad ascoltare hip hop c’erano i Funky Pushertz e da loro ho preso molta ironia: dicevano cose dissacranti, incredibili. Poi sono stati importanti anche il primo Fabri Fibra e Clementino.

Con Clementino hai in comune anche una passione teatrale. Lui seguiva i genitori che recitavano le commedie di De Filippo mentre tu hai studiato sei anni recitazione. Cosa hai portato di quell’esperienza nel tuo fare rap?
Prima del teatro ero timidissimo, non riuscivo a fare un discorso senza bloccarmi, parlavo a bassa voce, ero insicuro. Sono stato sui palchi dei teatri delle chiese, ho affrontato il peggior pubblico – quello dei genitori della classe di teatro – e questo mi ha aiutato per i miei live, mi ha dato sicurezza.

Credo che il titolo del tuo album, Fallimento, rappresenti oggi il vero tabù del rap game. Tutti dicono di volere il successo ma nessuno parla della paura di fallire.
Non vale solo per il rap, ma per tutto. Oggi devi per forza fare successo, non è contemplato il fallimento. Se fallisci si ‘na merd, la tua vita è finita. Invece le persone devono aver il diritto di poter fallire e di poter imparare dai propri fallimenti, senza cercare il successo a tutti i costi. Ma il mio vero fallimento è che mi sono impegnato a fare questo disco, quindi il successo lo rincorro come tutti gli altri. Oggi tutti vanno a vedere quanti stream hai fatto, o se hai featuring importanti; quando ero ragazzino non mi chiedevo quante copie avessero venduto i Fibra o i Dogo, li ascoltavo a prescindere.

Nel disco rivendichi il diritto alla pigrizia, a “non fare un cazzo”, ed è un tema molto serio e attuale, dalla “fine del lavoro” alla “grande dismissione”.
Vengo da una famiglia di lavoratori e quando ho iniziato a fare le prime cose sui social – ma anche quando ho fatto il mio primo tour – mio nonno e mia madre mi dicevano di scendere in pizzeria a lavorare (la sua famiglia ha una pizzeria a Calsalnuovo di Napoli, ndr) altrimenti si nu scemo, non fai niente. Apprezzo che i giovani d’oggi stiano capendo quanto sia importante il loro tempo, molti Stati hanno introdotto la settimana lavorativa corta, stiamo andando nella giusta direzione anche se ancora i miei amici che lavorano o non hanno contratti o ce li hanno per metà delle ore che in realtà fanno, e il resto in nero.

Non definisci mai te stesso o il tuo genere musicale, che è molto peculiare, soprattutto in Italia. Ti stanno strette le definizioni?
Quando mi chiedono che fai non so mai come rispondere. Definirmi un rapper è riduttivo, un attore è esagerato, un influencer non mi piace perché la gente pensa “questo è un coglione”. Io faccio rap, e sono Nello Taver. Ma detto così sembra che me la tiro.

“Io non sono una rockstar, sono Carmelo Bene” rappi in Carmelo Freestyle. Spiegami, in che senso?
Che vorrei essere Carmelo Bene, lui era davvero una rockstar. Nel 1963 ha subito un processo perché aveva pisciato sul palco, andava contro tutte le istituzioni, faceva le conferenze stampa e diceva «se ci sono i giornalisti non parlo». Brother, è una conferenza stampa! Stava in giro tre giorni senza mai andare a dormire. Non è una rockstar questa?

Il film dove sei regista e attore sembra ispirarsi a molta commedia italiana, da Totò al Pozzetto de Il ragazzo di campagna.
Con il mio socio Dave diciamo sempre di essere come Totò e Peppino, mentre cinematograficamente ci siamo ispirati a Seth Rogen, James Franco o a Spring Breakers di Harmony Korine.

Nel film prendi in giro la famosa street credibility del rap.
La realness e la credibilità di strada esistono ma non hanno niente a che fare col fare a mazzate in mezzo alla strada o tarantelle varie. Quando rappi si sente la credibilità di quello che dici, basta quello.

Nella cartella stampa del tuo disco si usa l’espressione “politicamente scorretto”. Lo sei?
Se affermi di dire cose politicamente scorrette sembri un coglione che vuole solo provocare. Sono gli altri che lo devono dire di te.

Come sarà il tuo live?
Sarà live, zero playback, che oggi non è scontato! Tutto intervallato da sketch, battute, monologhi, cose che divertono il pubblico, e anche me. Sarà un vero show, con una scenografia all’altezza.

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