Rolling Stone Italia

Neima Ezza è il piccolo principe di San Siro

Il rapper arriva al secondo album, titolato come la celebre opera di Antoine de Saint-Exupéry, con un messaggio chiaro: «Ero povero in una zona e in un contesto di mer*a, ma con un obiettivo si può arrivare ovunque»

Foto press

Cosa spinge un artista di poco più di vent’anni a fare un disco sull’infanzia? È quello che mi sono chiesto ascoltando Piccolo principe, nuovo album di Neima Ezza, rapper del 2011 from Milano San Siro. Forse la strada, dove è ambientato il racconto di Neima, ti fa crescere più in fretta, ma è un luogo comune troppo semplice. O forse c’è una necessità, sociale e in qualche modo politica, di firmare le proprie biografie, una sorta di tag sui muri messa in rima, prima che siano gli altri a scrivere di te, con i loro pregiudizi e la loro lontananza, non solo fisica, dal contesto. Più semplicemente c’è – e in Neima Ezza è evidente – un desiderio di affermazione che diventa storytelling e poetica. La sensibilità emo, a partire dal titolo del disco che omaggia il racconto di Antoine de Saint-Exupéry, è la cifra più forte sia della sua scrittura che della sua musica.

Non mi ha stupito, durante l’intervista, quando tra i suoi ascolti ha citato Ludovico Einaudi. Né mi ha sorpreso la quasi totale assenza di rime violente: niente risse, rapine, pistole, vestiti firmati, donne oggetto o altri tòpoi della trap. Già, perché il Piccolo principe delle popolari è un maranza intimista, una crasi tra l’attitudine a non fare la vittima, a credersi dalla parte del giusto e a imporre il proprio racconto di strada come metafora del mondo tipica di certa trap, e la malinconia e lo spleen di un ragazzo che guarda alle emozioni senza paura di esporsi.

Così il disco, pieno di buoni featuring tra cui Baby Gang, Emis Killa e Guè, suona come la ricerca di una terza via, non solo sonora, tra pop e trap, che ha come principale obiettivo la sincerità: verso il Neima bambino che c’è sulla cover, il Neima di oggi che risponde alle domande di questa intervista, e verso tutti quelli che lo ascoltano. Visti i tempi, un ottimo obiettivo.

Perché hai scelto di chiamare l’album Piccolo principe? Cosa avete in comune tu e il personaggio del racconto di Antoine de Saint-Exupéry?
Quando l’ho letto da piccolo mi aveva affascinato il fatto che l’autore avesse pensato a questa storia quando era in Marocco. E ho sempre creduto che quel racconto avesse un significato speciale: il fatto che il protagonista non avesse genitori e vivesse in un mondo tutto suo, da scoprire attraverso una serie di incontri, dalla volpe alla rosa, mi faceva pensare a me bambino che mi rifugiavo in un mondo tutto mio, astratto. Non so se il senso del libro fosse che ogni bambino doveva avere la sua visione, ma io l’ho sempre interpretato così: mi ha trasmesso quel senso di abbandono, di crescere solo e vivere solo. Nella copertina del disco ci sono io da piccolo, con tutti i dettagli del racconto, come una piccola volpe in mezzo ai palazzi…

Chi è la volpe del piccolo principe Neima?
Sono tutti quelli che sono partiti con me nel viaggio che sto facendo: chi lavora in studio alla mia musica, mia madre, mia sorella, tante persone.

Dedichi anche un pezzo alla Rosa…
È l’idea di come vorrei che fosse la mia Rosa. Come la potrei e trovare in un futuro prossimo.

In questo disco, insieme al racconto di strada, c’è un’atmosfera intima, romantica, molto poco trap.
Fa parte della mia poetica, è dal 2019 che scrivo pezzo così, penso a Routine o Notre Dame. È conscious pop. Musicalmente ci sono molte influenze diverse: rap, Chopin, Ludovico Einaudi o Waka Waka di Shakira.

Hai detto che è il tuo album di rivalsa. In che senso?
La mia rivalsa è poter dire che sto realizzando il mio sogno. Per questo il disco è dedicato a me da piccolo: Amine il bambino di via Zamagna 4 a San Siro non crederebbe che oggi Neima Ezza ha fatto tutto questo, eppure sono la stessa persona.

Nel disco racconti anche che, una volta raggiunto il sogno, qualcosa cambia. Cosa è cambiato da Amine a Neima? C’è ancora quella diffidenza verso i ragazzi di seconda generazione, quella discriminazione che hai vissuto prima di essere famoso?
Se consideriamo l’ambiente discografico direi di no, se entro in un negozio o in un locale sì, c’è ancora.

Con la musica puoi arrivare fine a Sanremo?
La mia mente non si pone limiti. Vedremo col tempo cosa succede.

In Bella canti di donne, dalla parte delle donne, una cosa abbastanza rara nel contesto rap spesso, a torto o ragione, accusato di machismo.
È un pezzo scritto non per una persona in particolare. Non sono una di quelli che dice certe cose, sono figlio di mia madre, e mia madre è una donna. Il maschilismo tipo “sono un uomo, sono un duro” non fa parte del mio mondo.

Ci vorrebbero più rapper e canzoni contro questo tipo di maschilismo?
Non c’è bisogno che tutti si esprimano su ogni argomento. Anche a me succede di pensare delle cose e di non riuscire a metterle in un pezzo. Ci vuole tempo, la mia generazione di cantanti è giovane, dai 20 ai 23 anni, ha tempo di sbagliare, di provare, di aspettare a parlare di certe cose.

Nel disco parli molto della tua infanzia e, soprattutto nell’outro Nati Senza, è come se volessi esorcizzare i tuoi traumi e lutti. Ci se riuscito?
Non sarei quello che sono oggi se non avessi avuto quell’infanzia, il passato mi ha formato e ne sono grato, ma ci sono delle mancanze che non potrò mai colmare. Oggi però, in mezzo alle persone a cui tengo, voglio vivermela come il bambino che non sono mai stato.

Tra i featuring ci sono due tuoi colleghi di cui si parla molto, non solo per la musica: Baby Gang e Simba La Rue. Se ne parla forse troppo?
Ci sono cose più importanti che alzare polveroni su queste cose. Le persone dovrebbero pensare ai veri problemi, aprire gli occhi, e non giudicare la gente da articoli fatti solo per vendere.

Piccolo principe, forse perché centrato sulla tua infanzia, è pieno di canzoni che possono arrivare anche a ragazzi molto giovani, ai bambini. Cosa vorresti che assorbissero dall’ascolto del disco?
Sì, è un disco che può arrivare a tutti. Ai ragazzi vorrei che arrivasse questo messaggio: guardate, sulla copertina ci sono io da piccolo, ero povero come la merda, vivevo in una zona di merda, sono cresciuto in un contesto di merda – certo, c’è sempre chi sta peggio – ma tutto questo non è il motivo giusto per buttarsi nel degrado, nella violenza, nel casino. Basta darsi un obiettivo, credere che da lì puoi arrivare a dove sono io oggi.

Come?
La costanza. È come andare in palestra: se ci vai 7 su 7, ti alleni e mangi bene è naturale che diventi “piazzato”. Se hai la costanza di andare in studio, di lavorare, di applicarsi, vieni premiato.

Tua madre cosa ti ha detto del disco? Lo ha ascoltato?
Le è piaciuto molto, soprattutto l’outro, è rimasta spiazzata. Ha sentito che quelle cose che canto le ho vissute e le sono scese le lacrime.

Iscriviti