Musicians on Musicians: Phoebe Bridgers & Lars Ulrich | Rolling Stone Italia
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Musicians on Musicians: Phoebe Bridgers & Lars Ulrich

Secondo la cantautrice, anche i Metallica dovrebbero avere i loro balletti su TikTok. Il batterista, invece, vorrebbe aiutarla con la sua etichetta. Qui parlano di social e musica, streaming, scrittura e dell’amore per Lemmy e i Motörhead

Foto: Yana Yatsuk per Rolling Stone US

Phoebe Bridgers frequentava il liceo di Pasadena, California, quando ha sentito la musica dei Metallica in un videogame per la PlayStation 2, Test Drive: Off-Road Wide Open. «Ero una ragazzina degli anni Zero, e il fatto che la band che avevo appena scoperto avesse già un intero catalogo era un regalo», dice la cantautrice, 26 anni. «Puoi prenderti il tuo tempo e ascoltare tutto».

Nonostante Bridgers abbia indicato tra le influenze del suo folk brillante, profondo ed emozionante artisti come Elliott Smith e Tom Waits, non ha mai raccontato apertamente della sua passione per i Metallica. In realtà, è quel tipo di fan capace di fare un’arringa per difendere St. Anger. «Io li considero una band pop», dice. «Un sacco di gruppi suonano metal solo per il gusto di farlo. I Metallica invece scrivono vere canzoni».

Il batterista della band Lars Ulrich, 56 anni, è stato felice di scoprire che Bridgers voleva parlare con lui. Si è immerso nel suo catalogo, persino nelle sue vecchie band come gli Einstein’s Dirty Secret e gli Sloppy Jane. La conversazione è andata avanti così tranquillamente che, quando Ulrich ha finalmente guardato l’orologio, erano già passate due ore. «Potrei stare qui seduto a parlarti per tutto il giorno», dice. «Sono super a mio agio».

Bridgers: Hai un sacco di fan, ma alcuni sono convinti di possedervi e di sapere quali sono i veri dischi dei Metallica. Come gestisci la cosa?

Ulrich: La differenza rispetto al passato è che ora tutti hanno un’opinione. Alla fine degli anni ’90 la scaletta di un nostro concerto finiva on line dopo quattro giorni. Tutto il caos di Napster è esploso 20 anni fa, ci siamo svegliati nel bel mezzo di una shitstorm e per la prima volta non eravamo universalmente considerati come i buoni. È in quel momento che ho deciso di smettere di dare attenzione ai commenti in rete.

Bridgers: La cosa di Napster è super interessante per me, perché siamo nel 2020 e qualcuno che non ha mai fatto musica guadagna un sacco di soldi con lo streaming. Adesso rubare i dischi è legale.

Ulrich: È stata un’estate maledettamente strana. Io ero in prima linea e ne sono uscito scioccato. Sembrava una rissa da strada. È andata così: una nostra canzone era finita in rotazione su alcune radio del Midwest, e non l’avevamo ancora pubblicata. Abbiamo seguito le tracce e siamo arrivati a Napster. Nell’ambiente in cui siamo cresciuti, quando qualcuno cerca di fotterti devi andare a prenderlo. Poi si sono accese le luci e tutto il mondo stava a guardare. 

Mi ha lasciato un saporaccio in bocca, perché tutti sembravano dalla nostra parte. Dicevano che stavamo facendo un gran lavoro, che ci supportavano, che volevano aiutarci. Poi, quando la battaglia è iniziata, mi sono guardato alle spalle e non c’era più nessuno. Ovviamente avevo il supporto della band, ma è stato davvero strano. Tu come vedi i social media? Come li sfrutti per far girare la tua musica e comunicare con i fan?

Bridgers: Finisco sempre per fare l’avvocato del diavolo dei social media. Forse è perché ho tanti amici più grandi che li considerano stupidi. Io finisco sempre per dirgli: guarda, un ragazzino si è inventato una coreografia per il mio pezzo… i Metallica hanno i loro balletti su TikTok?

Ulrich: Qualcuno ci sarà sicuramente.

Bridgers: Per me è fantastico… Avete quei superfan che vengono a tutti i concerti e ora li conoscete per nome?

Ulrich: Oh, sì. È per questo che abbiamo inventato il Black Ticket: compri un biglietto per tutto il tour, puoi vedere tutti gli show.

Bridgers: È epico.

Ulrich: È una cosa che capisco. In passato, quando mi sono trasferito in California, seguivo i Motörhead dappertutto. Ho visto 68 concerti dei Motörhead. Sono anche convinto che tu abbia citato Lemmy in una delle tue canzoni (Smoke Signals). Ho sentito bene? “Ho cantato Ace of Spades quando Lemmy è morto”.

Bridgers: È una storia vera. Ero in viaggio col mio batterista, sentivamo la radio. Parlavano della scomparsa di Lemmy. Abbiamo passato tuto il viaggio gridando insieme e facendo playlist. Io sento spesso i Motörhead, i Metallica. Ho anche esplorato il mondo degli Slayer. Poi, stranamente tardi per i miei gusti, mi sono fissata con i Nine Inch Nails.

Ulrich: Il talento di Trent è innegabile. È assurdo.

Bridgers: È una delle influenze meno ovvie della mia musica, ma spero che diventerà più evidente con il mio prossimo disco. Io ho una voce poco vivace, se urlassi sembrerebbe quasi teatro musicale.

Ulrich: Considerala una cosa positiva. Parliamo di scrittura. Ovviamente, al mio orecchio ci sono tre elementi diversi: il testo, la melodia e l’arrangiamento. Da dove inizi di solito?

Bridgers: Mi siedo con la chitarra, sperimento un po’ e cerco una melodia. La trovo sempre in maniera strana. Credo di scrivere con molta cautela. Non c’è niente che odi di più di quando, due giorni dopo aver scritto un pezzo, lo riascolto e mi sembra una merda. Cerco di evitarlo, scrivo quasi in ordine. Una delle cose più assurde che ho visto è proprio nel documentario sui Metallica (Some Kind of Monster), quando il tuo psicologo (Phile Towle) ti suggerisce i versi di un testo. Ero sconvolta. Una volta ho sentito anche io dei mix con lo psicologo, perché lei voleva capire cos’era che mi rendesse così ansiosa.

Ulrich: Era un periodo di transizione, molto sperimentale. Eravamo una band da 20 anni e ci siamo resi conto che non avevamo mai parlato dei nostri sentimenti, di cosa significava essere nei Metallica. Era una cazzo di macchina. Poi James ha dovuto lasciare per gestire i suoi problemi [con l’abuso di sostanze], e si è aperto un mondo. Era un periodo difficile anche con Phil. So che è facile prenderlo di mira, ma tutte le volte che mi chiedono di lui finisco per difenderlo. Ha salvato la band, cazzo.

Bridgers: E poi, St. Anger è un gran disco. Credo sia il primo disco dei Metallica che ho ascoltato.

Ulrich: Quel disco è nato in maniera molto diversa. In quel periodo girava tutto intorno all’idea di essere aperti l’uno con l’altro, non c’erano regole, sono felice che l’abbiamo fatto…

Da tre o quattro settimane stiamo scrivendo molto seriamente. E con tutta questa merda – le pandemie, gli incendi, la politica, i problemi con il razzismo, lo stato pietoso in cui è il mondo – è facile cadere in depressione. Ma scrivere mi rende sempre entusiasta verso il futuro. Mi sembra sempre che ci sia l’opportunità per registrare il disco migliore di sempre, per fare la differenza. Per scrivere qualcosa che magari non piacerà agli altri, ma che funziona per me. L’altro giorno ho letto che hai fondato un’etichetta, Saddest Factory (nella galassia di Secretly Group, che dà casa a Secretly Canadian). È così?

Bridgers: Sì.

Ulrich: Sono molto felice che tu l’abbia fatto. Spero che vada meglio che a me. Alla fine degli anni ’90 avevo una mia etichetta dentro Elektra Records. Ho pubblicato uno dei dischi meno venduti in assoluto, in quel periodo.

Bridgers: Sì, ho già avuto vari attacchi di panico notturni, ho paura che sia troppo da gestire. Ma sarà divertente.

Ulrich: Se sento qualcosa di interessante, farò in modo di fartelo sapere.

Bridgers: Sì, fallo! Proverò a battere il tuo record per il disco meno venduto nella storia di Secretly Canadian.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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