Musicians on Musicians: Lil Wayne & Lil Baby | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Musicians on Musicians: Lil Wayne & Lil Baby

Quando Baby era un ragazzino, Wayne cambiava il rap game con hit multiplatino ed esperimenti bizzarri. Dagli esordi all’influenza di Atlanta e New Orleans, fino al look e alla scelta dei beat, faccia a faccia tra due generazioni di rapper

È venerdì notte, Lil Wayne si accende una canna nel suo studio di Miami e accede a Zoom con il nick Mr. Carter. «Come va, Baby?», dice. «Come sta la fam?». «Bene», risponde Lil Baby, sorridendo da Los Angeles. «Ecco come va», dice Wayne.

Wayne non ascolta molta nuova musica – «preferisco me stesso» – ma adora Lil Baby, il rapper 25enne di Atlanta che, in pochi anni, è passato dalla prigione a diventare una delle voci più urgenti del rap. Wayne ne apprezza particolarmente i testi che combinano affermazioni politiche con divertenti giochi di parole, consegnati al pubblico con uno dei flow più fluidi in circolazione. «Rispetto molto la sua roba», dice Wayne della canzone di protesta The Bigger Picture. (Questa intervista si è tenuta prima della controversa fotografia di Wayne con Trump, scattata a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, ndr).

Baby era adolescente quando Wayne ha cambiato volto al rap con i suoi mixtape No Ceilings e il disco multiplatino The Carter III. Apprezza come bilanciava le hit radiofoniche con assurde scelte creative (compreso il disco rock del 2010 The Rebirth). «Faceva quel che gli andava», dice Baby. «E ci è riuscito perché aveva i numeri. Io cerco di seguirlo: faccio quello che voglio e porto a casa i numeri».

Baby: Ti ho scoperto quand’ero piccolo. Non riesco neanche a ricordarlo, forse erano le elementari. Non riesco a ricordare la prima volta in cui ho ascoltato un pezzo di Lil Wayne, ma so che le sapevo tutte, parola per parola.

Wayne: Grazie. Io ti ho scoperto con il video di Drip Too Hard. All’epoca, ovviamente, faceva parte di un’ondata di musica che suonava tutta nello stesso modo. Io non sapevo chi fossi, ma Reginae (sua figlia, ndr), mi ha detto: «Ecco, è di lui che sto parlando». Quando la cosa si è fatta più seria, sono diventato un fan a vita.

Wayne, tu vieni da New Orleans, mentre Baby è di Atlanta. In che modo queste città vi hanno influenzati?

Baby: A me ha influenzato parecchio, mi ha dato lo swag, lo stile, il flow. Ha cambiato il mio modo di parlare e di camminare, tutto. Il posto da cui vieni è il 90% di quel che sei.

Wayne: New Orleans è la ragione per cui faccio rap, amico, tutto qui. Il mio figlio maggiore sta facendo un compito per la scuola, e mi ha chiesto: «Papà, devo scrivere qualcosa su di te. Posso farti qualche domanda? Quali rapper ti hanno influenzato?». Io ho risposto: «No, non posso. I tuoi insegnanti e i tuoi amici non li conoscono». 

Quando ero piccolo c’erano spesso feste di quartiere. Erano quasi come dei concerti, solo che il microfono era aperto a tutti. C’erano dei tizi che facevano casino a tutte le feste, erano delle superstar. Insomma, non avevano macchine o gioielli, niente. Ma salivano sul palco e spaccavano. Il dj saltava, io ero lì che li guardavo e volevo la stessa cosa. Così un giorno – avevo 11 anni ed ero eccitato per aver bevuto troppa Mountain Dew – sono salito sul palco, mi sono avvicinato al dj ed era fatta: «Dammi quel microfono».

Quando sono entrato nella scena il Sud non era considerato granché. Pensavano che facessimo musica solo per far muovere il culo. Ma no, noi dicevamo delle cose! Più avanti ho sentito un pezzo alla radio, e ho chiesto a Mack (Maine) chi fossero. Non riuscivo a credere che venissero da New York, [ci assomigliavano]. Ero lusingato.

Qual è il primo album che vi ha colpito? 



Wayne: Life and Times of Shawn Carter di Jay-Z. Semplice. È il primo disco che parlava di una macchina che avevo anche io. Era il mio disco. E Jay faceva rime folli. In quel disco sembrava impazzito. Ho i testi tatuati, roba del genere. Ho scritto canzoni che sono remake o spin-off di quelle del disco, capisci cosa voglio dire?

Baby: Non riesco a ricordare. Ho sempre rappato, fatto remix, cambiato i testi. Quando entro nel vocal booth non penso, ci vado giù duro e basta. Cerco solo di essere il più forte possibile.

Wayne: Io ho un approccio diverso. Voglio sapere per chi è scritta la canzone e di cosa parla. Poi passo alla modalità di Lil Baby, entro nel booth e spacco. Ho sempre cercato di impressionare gli altri, è la caratteristica che mi ha portato fino a qui. Per questo do il massimo ogni volta che qualcuno mi dà un pezzo. Quando lo mando indietro voglio che quest’altra persona sia colpita, non solo soddisfatta. Il mio obiettivo è piacere, amico.

Avete entrambi un particolare senso della melodia. Quali sono le vostre influenze fuori dal rap? 



Wayne: La prima è Miss Anita Baker, poi Missy Elliott. Miss Erykah Badu. Poi altre cose diverse: Smashing Pumpkins, Nirvana, Nine Inch Nails, 311. Cose del genere. Voglio ascoltare quello che fanno gli altri, devo capire se tutti affrontiamo le stesse battaglie. Ascolto tutto.

Baby: Mi piace tutto quello che ha una certa atmosfera. R&B, soul, roba che ti fa sentire qualcosa.

Wayne: Ti passerò della roba, dei dischi da ascoltare.

Baby: La vera sfida è restare concentrati. Devo farlo adesso che ho tanto da perdere. È una sfida difficile, per me, con tutte le distrazioni che ci sono. Adesso la mia priorità è gestire bene i soldi.

Wayne: La mia sfida, invece, è diventare un padre perfetto – sempre che una cosa del genere esista – per i miei tre ragazzi e la mia splendida bambina. Amo le sfide.

Tutti hanno una storia su di te, Wayne, chiuso in studio a lavorare come un matto. 



Wayne: È una cosa che ho preso da Birdman e Ronald “Slim” Williams (i fondatori di Cash Money). Anche Mannie Fresh. È quello che ci hanno trasmesso. Andavano in studio dal lunedì alla domenica. Mi hanno ficcato in testa che devi lavorare a tutti i costi. Io andavo ancora a scuola. Avevo 13 o 14 anni, e a loro non importava che avessi esami o altri impegni. Dovevo essere in studio, avevano bisogno di quella strofa. Mi è entrato dentro.

Baby: Nel mio caso, viene dalla fatica della strada, punto. Quando sei in strada lavori duramente. In studio è la stessa cosa. Per me conta il risultato. Se facciamo qualcosa nel modo giusto, possiamo guadagnarci, possiamo comprare qualcosa.

I rapper non sono spesso conosciuti come icone di stile, come influenze del mondo della moda. Come avete inventato il vostro look? 



Wayne: Volevo essere diverso. Ho iniziato in un gruppo, gli Hot Boys. Baby ha iniziato con quelle vecchie maglie. Mi ha fatto capire che posso metterci ancora più personalità. Da Cash Money avevamo un’uniforme, io invece volevo prendere una strada diversa e farmi notare. 

Mia mamma era un genitore single. Faceva di tutto per farmi sembrare figo, per assicurarsi che fossi alla moda, ho preso tutto da lei. Anche quando mi chiedeva di andare a comprare una coca al supermercato dovevo vestirmi bene, non potevo certo andare in pigiama. Anche io faccio così con i miei figli.

Baby: Io sapevo già quello che volevo, ma non avevo il conto in banca per permettermelo. L’unica cosa di cui avevo bisogno erano i soldi.

Wayne: Ecco, tutto qui.

La produzione dei vostri dischi è di grande livello. Come scegliete i beat? 



Baby: Scelgo i beat direttamente dai producer, prendiamo quello che ci fa andare fuori di testa.

Wayne: Sono d’accordo, è tutto merito dei produttori, semplice. Se ami quella musica, lasciali fare. Non devi per forza partecipare.

Come scegliete i brani da mettere nel disco? È un processo collettivo? 



Wayne: Lo fa Mack, semplice. Tiro fuori tutti i pezzi e lascio che se ne occupi lui. Una volta aveva bisogno di due pezzi e io gliene ho consegnati 90 (ride). Poi mi fa sapere quello che gli piace. È così perché sono sicuro di ogni cosa che faccio. Sono convinto che tutti i miei pezzi possano arrivare al primo posto in classifica, quindi non mi offendo se ne scarta qualcuno. Anche quelli sono i migliori, per me. Infatti li metto nei mixtape.

Baby: Faccio sentire la musica agli altri e a volte mi chiedono di risentire dei pezzi. È una cosa che senti, in un certo senso.

Wayne: Anch’io facevo così, una volta, ora vado in studio da solo. Non mi piace avere gente. Non ho nessuno che annuisce e mi dice che un pezzo spacca. Faccio da solo. A parte questo è tutta una questione di sensazioni. Invento sempre cose nuove. Posso già dirvi in esclusiva che io e Baby collaboreremo a No Ceilings 3.

Baby, 
credi che Wayne sia abbastanza apprezzato? 



Baby: Quello che ho imparato sul rap game è che nessuno è abbastanza apprezzato. A volte il rispetto arriva dalla gente, ma nella maggior parte dei casi non ti viene mai dato il giusto merito.

Wayne: Non posso fare altro che dire amen. Amen.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US

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