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Mondo Marcio: «Ora che fare dischi è facile, sono diventati tutti rapper»

Anche i rapper soffrono per amore. Lo dimostra ‘My Beautiful Body Break Up’, il nuovo concept di Marcio. Qui racconta la storia del progetto, il rapporto con la nuova scena, gli esordi, l’hip hop sul palco dell’Ariston

Mondo Marcio ha il cuore spezzato. Di per sé non sarebbe una grande notizia, capita a tutti, con la differenza che Marcio ci ha fatto un disco. Anzi, un EP, che si chiama My Beautiful Bloody Break Up e che esce il 15 febbraio. Non il 14, sarebbe stato too much. Un pugno di tracce che arrivano a un anno dal singolo Adderall e a due anni da Uomo!, il suo ottavo disco in studio. Un concept EP in cui il rapper racconta tutte le fasi della fine della sua storia. Niente fiction, è tutto vero: «L’ho scritto perché non potevo parlare con la persona a cui è dedicato». Anche i rapper soffrono per amore? Sì.

Com’è far uscire un nuovo lavoro quest’anno, sapendo poi che la promo è su Zoom, non ci sono live, meet & greet e cose così?
Limitante. I live sono la prova del nove, il finale di ogni pubblicazione. Mi spiace più che altro non incontrare i fan. Anche se con questo EP è un po’ diverso.

Perché?
Non è nato come un progetto, lo è diventato. È nato come una scialuppa di salvataggio nel mare in cui mi trovavo. Non vedo l’ora di suonarlo dal vivo, chiaro, ma allo stesso tempo è stato realizzato perché lo ascoltasse una persona. È nato così, come una lunga dedica per una ragazza con la quale non potevo parlare. È un progetto molto intimo. Quindi sì, il fatto che non ci siano live mi taglia le gambe, ma allo stesso è un album che puoi ascoltarti a casa, da solo, e vivertelo così.

Sembra tutto un po’ scritto di getto, tipo le ultime whatsappate che si mandano quando finisce una storia.
Sono le tante sfumature di una rottura. In Goodbye Kiss c’è la rabbia, Il posto più freddo parla della depressione, che ho affrontato. Poi si parla della malinconia, della consapevolezza, in Replay ci sono i ricordi che vorresti rivivere all’infinito. Un po’ come nell’eterno ritorno di Nietzche. Si parla di break up, sì, ma alla fine si parla di amore. Rimane una celebrazione dell’amore, anche se la storia è finita. L’amore vince, perché c’era. Nell’ultima traccia c’è una dedica, in francese, che è la morale dei disco.

E sarebbe?
Che nel dolore deve vincere l’amore.

Forse proprio dopo quest’anno funesto doveva uscire una roba così?
Sì, anche perché penso sia una cosa che può toccare molti. Io ho perso una persona importantissima, che ancora amo, ma altri possono aver perso il lavoro, gli amici, alcune sicurezze psicologiche. Abbiamo tutti perso qualcosa, nel 2020. E pure quest’anno dovremo rinunciare a qualcosa. È un disco che ti dice come affrontare la perdita.

In effetti sembrano un po’ gli step dell’elaborazione di un lutto.
Precisamente.

Come si scelgono i feat di un progetto così?
Con Rose Villain ci conosciamo da un po’ di tempo. Ci siamo conosciuti a NY, siamo rimasti in contatto negli anni ma non avevamo mai avuto modo di collaborare. Mi sembrava la persona perfetta per quel pezzo, è riuscita a rendere cool pure un cuore spezzato. Con Nyv ci siamo conosciuti proprio per questo pezzo. L’ultimo, che come ti dicevo prima è la morale del disco, aveva bisogno di una voce come la sua, soulful.

Ridendo e scherzando son 18 anni che pubblichi dischi. E ne sono passati 15 da Solo un uomo, quello che ti ha cambiato la vita e che ha avuto un suo ruolo nella trasformazione del rap di quegli anni. Ruolo che, tu hai dichiarato, spesso non ti viene riconosciuto. Perché?
Mah, onestamente non saprei. La gente tende a consacrare chi va di moda. Se vai di moda dicono che ci sei sempre stato. Funziona così.

Cioè?
Le medaglie non vengono date a chi se le merita, ma a quelli in voga. Non è una roba che mi fa perdere sonno, conosco il ruolo di quel disco nel panorama. Non sono le certificazioni e neanche le classifiche di Instagram a cambiare le cose. Io ho sempre impostato tutto diversamente, non ho seguito le mode, non ho seguito i trend. Forse ne ho pagato le conseguenze, ma il punto per me non è mai stato quello. Il punto è durare 18 anni.

Che rapporto hai con la nuova generazione?
Ottimo. Mi piace Rose, mi piace Tredicipietro, mi piace Venerus, per dirtene alcuni.

E quando la nuova generazione eri tu? Com’è stato quel successo lì, improvviso? Immagino ci si arrivi impreparati.
Totalmente. Principalmente per due motivi. Ero un pischello, mi godevo le cose ma non ne capivo il valore. E poi perché non era mai successo qualcosa del genere. Sono stato il primo. Prima di Fibra, dei Dogo. Ho fatto di apripista, con i lati positivi e quelli negativi. In tanti mi hanno dato del venduto per poi far la stessa cosa tre, quattro anni dopo. Io ho sempre percepito il successo di quel disco come un successo della scena, e avrei sperato che tanti altri l’avessero vista così.

Sono passati 15 anni ed è cambiato tutto. La discografia, il peso del rap nelle nostre classifiche. Cosa in meglio e cosa in peggio?
Quello che apprezzo dell’era nella quale viviamo è la velocità, come tutto è diventato più snello. Mi ricordo quanto era difficile fare un disco, ora tutto estremamente più semplice. Allo stesso tempo la facilità ha fatto diventare, come dicevamo prima, tutti rapper, tutti giornalisti, tutti registi. Ti muovi in un mare preconfezionato.

Quando hai iniziato Instagram non c’era, appunto. Cosa pensi di questo continuo metter bocca sempre su tutto e tutti, vince chi urla di più?
Sì, è un po’ la guerra degli strilloni. È preoccupante, ma allo stesso tempo ho una certa tranquillità nel dire che negli anni la fuffa si perde via. I commenti non li leggo, oppure mi faccio una risata. Amore e odio sono più vicini di quello che si pensa. Un commento lo può scrivere chiunque e rimane quello che è: un commento. Un disco rimane… E sono fiero di Breakup perché è vero dalla prima all’ultima parola. È una foto della vita di una persona che ha buttato fuori il cuore. Mi auguro che arrivi nella maniera giusta anche a chi è dedicato.

Di te si è sempre parlato associandoti al ‘modello americano’. E infatti, come molti rapper americani, anche tu sei diventato imprenditore: vestiti, erba legale, vino.
Ho fatto Kilo Clothing quando era interessante fare urban clothing, poi erba legale, poi il vino.

Hai avuto esigenza di diversificare?
Lo faccio per dare ulteriore sfogo al mio lato creativo, ho sempre amato avere le mie versioni delle cose che amo. Per me è una forma di arte. Poi c’è anche la parte economica, chiaro, ma arriva dopo.

Ma invece Sanremo? Ci hai mai pensato, mai provato?
Why not. C’è sempre la questione del linguaggio. Tanti rapper che sono andati non sono stati capiti. Ho visto che quest’anno stanno svecchiando. Apprezzo l’intenzione di Amadeus, da lodare, mi chiedo se poi effettivamente le canzoni saranno capite. Ci andrei con veste e canzoni adatte al contesto.

Anche senza pubblico?
Nel 2021 c’è anche di peggio che cantare senza pubblico.

La copertina di ‘My Beautiful Bloody Break Up’, dal 15 febbraio su tutti i digital store:

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