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Mogol-Lavezzi, i ‘Capolavori nascosti’ e lo scontro con Meta: «Miliardari che fanno i miserabili»

E poi: la «mancanza di competenza» di chi seleziona le canzoni a Sanremo, il fenomeno dei pezzi scritti da dieci autori, i Måneskin «seguiti da giovanissimi che non sanno neanche chi sono i Led Zeppelin»

Foto press

Quanto è importante il repertorio? Sempre più musicisti, negli ultimi anni, si stanno accorgendo che è fondamentale, anche senza essere Bob Dylan o Bruce Springsteen che vendono i diritti dei propri brani per centinaia di milioni di euro. In Italia lo sanno bene Mogol e Mario Lavezzi che hanno scritto canzoni da milioni di copie vendute e che in Capolavori nascosti recuperano 13 brani – più l’inedito Una storia infinita – scritti a quattro mani e condivisi con alcuni dei più noti artisti italiani, tra i quali Riccardo Cocciante, Raf, Lucio Dalla, Fiorella Mannoia, Mango, Luca Carboni, Gianni Morandi, Biagio Antonacci e Ornella Vanoni.

«Mi sembrano scritti da un altro», dice Mogol nel dialogo a due che ci ha concesso con Lavezzi per presentare il progetto. È stata l’occasione per raccontarci a che punto si trova la trattativa tra Siae-Meta («sono miliardari che vogliono fare i miserabili con noi»), come mai secondo loro sono stati scartati da Sanremo («il problema è la competenza di chi sceglie») e perché, paradossalmente, hanno trovato maggiore attenzione da parte della tv privata rispetto a quella pubblica.

Come mai le canzoni di Capolavori nascosti non hanno avuto maggiore fortuna quando sono uscite?
Mogol: Il problema non è la qualità dei brani, ma la competenza di chi li ascolta e li giudica. Qui c’è una canzone che è stata bocciata a Sanremo, l’inedito Una storia infinita. Perché con il basso livello che c’è in giro hanno escluso un pezzo così? Manca la competenza! Volevano i social, le visualizzazioni, gli streaming. Non basta la canzone bella, ci vuole la competenza per poi promuoverla.
Mario Lavezzi: Amadeus ha scelto gli artisti in base alle visualizzazioni, agli streaming e i follower. Così si va al di là della musica. Ha fatto uno show televisivo trasversale, dove ha messo dentro un po’ di passato e un po’ di presente e ha ottenuto un ottimo risultato di ascolti. Solo che quella rassegna non si chiama Sanremo, ma Festival della canzone italiana. E, come il festival del cinema, dovrebbe rappresentare il meglio della musica in circolazione.
Mogol: L’eccellenza dov’era? Non c’era!
Lavezzi: Si sono allontanati da quello che era il Festival della canzone italiana. In passato era impostato dagli editori che lavoravano un anno per portare là i migliori brani.
Mogol: Però c’era anche gente competente che poi selezionava le più belle. Poi è andato tutto un po’ a puttane, diciamoci la verità.

Tanto per usare un eufemismo…
Mogol: Ma scusa, secondo te, se uno va sul palco e fa i suoi bisogni vuoi che non porti un boom di ascolti?
Lavezzi: Viviamo un’epoca dove la musica è prodotta a centinaia di migliaia di brani al giorno in tutto il mondo e si consuma con una velocità tale che i giovani hanno poche possibilità di portare a casa qualcosa che gli consenta di vivere del proprio mestiere.

E qui arriviamo al braccio di ferro tra Siae e Meta sull’equo compenso per utilizzare la musica sulle piattaforme digitali. A che punto siamo?
Mogol: Che Meta non vuole più mettere le canzoni sulle sue piattaforme perché dice di non accettare le nostre condizioni. La verità è che loro non presentano i guadagni che fanno dall’utilizzo dei brani. Invece con YouTube abbiamo trovato subito un accordo.

Che differenza c’è stata nella trattativa?
Mogol: È venuto a trovarmi direttamente il boss di YouTube. È arrivato qui in elicottero e non abbiamo neanche parlato di soldi. È un uomo straordinario, sono rimasto molto colpito. Non mi ha chiesto di diminuire i compensi e abbiamo discusso di arte, vita e morte. Alla fine mi ha persino abbracciato. Poi si è incontrato con i tecnici Siae e ha accettato l’accordo senza condizioni. Quelli di Meta, invece, sono dei miliardari che vogliono fare i miserabili con noi, capito la differenza?

Intanto però i brani musicali non sono ancora disponibili su Facebook e Instagram, per lo sconforto di musicisti e creator. Come si può arrivare a sbloccare la situazione?
Mogol: Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, di cui sono consigliere, ha fatto una proposta molto bella e cioè di invitare al ministero i tecnici della Siae e di Meta per trovare una mediazione. Noi abbiamo bisogno di una pressione generale su questo argomento, stiamo parlando di gente ricchissima che lesina sui centesimi. Un atteggiamento che non fa onore a Mark Zuckerberg.

Che ne pensate del fatto che, rispetto a un tempo, oggi ci sono sempre più canzoni firmate anche da una decina di autori?
Lavezzi: La differenza è che un tempo gli arrangiamenti si facevano con i musicisti in studio, ognuno con la propria competenza. Come Capolavori nascosti. Oggi, siccome si fa tutto sul computer e a distanza, il produttore che si occupa anche dell’arrangiamento pretende di firmare il pezzo. Così come i cantanti, anche se magari cambiano solo una parola.
Mogol: A volte non cambiano un bel niente e vogliono firmare comunque.
Lavezzi: Partendo da questa situazione, il brano si sviluppa più attraverso l’arrangiamento che non rispetto alla qualità complessiva della canzone. E infatti quanti sono i pezzi che diventano degli evergreen? Pochissimi. Se rimangono in radio due mesi è grasso che cola.

Sono ritmi da fast food.
Lavezzi: Proprio così, sono i tempi che stiamo vivendo da fast food.

Ma i giovani autori esistono…
Lavezzi: Io posso assicurare che i giovani autori bravi ci sono, eccome.
Mogol: Torniamo sempre alla questione della competenza di chi sceglie, è tutto lì. Ci sono troppi interessi prima di pensare alla qualità. Per non parlare dei social, dove è meglio se non dico cosa ne penso sennò genero altro odio.

Ce lo faccia capire.
Mogol: Faccio un esempio. Io quando devo farmi operare vado in diversi ospedali e chiedo chi è il migliore. Quando in tre-quattro mi dicono lo stesso nome scelgo di andare da lui. Non mi metto a chiedere sui social, altrimenti sarei già morto.

Che ne pensate dell’esplosione a livello internazionale dei Måneskin?
Mogol: Sono molto contento che sia successo. Io quando guardo le partite di calcio delle squadre italiane nelle coppe tengo sempre per le italiane, al di là del tifo personale. L’attaccamento al proprio paese dei Måneskin dovrebbe portarci a sostenerli. In più sono giovani e bravi, quindi evviva.
Lavezzi: Sono stati bravissimi soprattutto a livello di immagine. Non si era mai vista una vittoria del rock a Sanremo. Sarà che sono seguiti da giovanissimi che non sanno neanche chi sono i Led Zeppelin.

Che consiglio dareste loro?
Mogol: Uno solo: di cantare di più in italiano. È vero che con l’inglese pensano di avere più diffusione, ma non dovrebbero ripudiare la propria lingua. Anche perché non è vero che se canti in italiano non vendi all’estero, io per esempio ho venduto nel mondo 523 milioni di dischi, dati Siae.

Fra i quattordici brani di Capolavori nascosti, quali sono quelli che vi sembrano più attuali nelle tematiche che affrontano?
Mogol: Per me Momento delicato con Fiorella Mannoia, che l’ha cantato benissimo. È un pezzo che parla del disfacimento familiare. Nella musica c’è questo dispiacere diffuso e il testo descrive la famiglia che è ormai è diventata un “magazzino abbandonato”.
Lavezzi: Per me anche Una storia infinita, che parla della vita e della morte e di un amore che può andare oltre all’esistenza terrena.

Ne parlate con un entusiasmo che spesso non si trova neanche in artisti giovanissimi.
Mogol: L’entusiasmo è per questo disco, perché risentendolo mi sembra che l’abbia scritto un altro. È uno stranissimo fenomeno. Infatti mi sto godendo tutti i brani, soprattutto in auto. Adesso riparto per un appuntamento e con l’autista ce lo ascoltiamo per l’undicesima volta.

Mogol, ormai il suo autista può essere considerato uno dei massimi conoscitori dell’album in Italia.
Mogol: Assolutamente, cantiamo insieme. E questo mi dà l’idea di quanto piacciono anche agli altri.

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