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Mistico, ballabile, pauroso Ketama126

Il rapper e produttore non appartiene ad alcun genere come dimostrano la colonna sonora «de paura» di ‘Resvrgis’, il pezzo «da ballà» ‘Cane’, la passione per il misticismo e il folk che emergeranno dal prossimo album. «Prima ancora di fare rap, voglio fare musica»

Foto: Fabrizio Martelli

Sui Monti Simbruini, al confine tra Lazio e Abruzzo, e in particolare nelle selve di Manziana e di Foglino, cinque ragazzi vagano nei boschi armati di fucile per una battuta di caccia al cinghiale. Presto intorno a loro ci saranno solo oscurità, nebbia e qualcosa di spaventoso che non vi posso raccontare. Non posso farlo perché questa è la trama di Resvrgis, folk horror girato da Francesco Canesecchi, che al momento non è ancora disponibile nelle sale o in streaming perché sta facendo un denso percorso festivaliero tra Europa e Sud America, dopo essere stato presentato alla Festa del cinema di Roma.

Quello che posso dire è che a rendere più inquietante l’atmosfera della pellicola con protagonista Ludovica Martino ci pensa una colonna sonora che ora accarezza sinistramente le spalle del povero spettatore, ora gli serra la gola con una mano gelida come la morte. L’autore di questa soundtrack dark che più dark non si può è Ketama126, qui in versione puro producer, «cosa che alla fine» mi dice al telefono da Roma «sono, prima di essere un rapper».

Il Ketama di Resvrgis non ha praticamente nulla in comune con il Ketama di Cane: il primo ha tessuto una tela sottile ma tagliente fatta di sonorità ambient, il secondo rappa su un pezzo «da ballà», come lo definisce lui, dancehall con qualche tocco drill. Di là Kety tira fuori il suono stesso della nostra paura, di qua canta “non mi so comportare, sono un animale (nah) / In particolare, sono un cane (nah, nah, nah) / Ba, bau, bau-bau, ba-bau, ba, bau-bau”. Ma ascoltandolo, questo caos apparente alla fine fa un po’ di giri ma poi chiude il cerchio. Perché ora che sta lavorando al suo nuovo disco, dopo l’Armageddon di giugno 2022, Piero Baldini, 31 anni, vuole farci sapere che non appartiene a nessun genere, ma solo ad un’intenzione: continuare a mischiare sacro e profano, parlando nella stessa strofa di droga e di Dio, e a saltare tra i generi, ispirandosi a quelli che hanno congenita una bella dose di misticismo che, tra tutte le cose che lo interessano, «è quella che mi intrippa di più».

Partiamo dal Ketama producer. Hai firmato la tua prima colonna sonora per Resvrgis: questo era uno dei tuoi sogni di musicista?
Sono fan di tutti i film con grandi colonne sonore. E amo da sempre il mondo del cinema, ci ho anche lavorato prima di dedicarmi completamente alla musica, ma non in veste di compositore. Facevo il manovale, stavo sul set a sbrigare quello che c’era da sbrigare, cose pratiche, concrete, de fatica insomma. Oggi sono passato dall’altra parte, quella creativa, con questa colonna sonora che per me ha un significato grande, e cioè che prima ancora di fare il rap io voglio fare musica. Anzi: fare cose diverse dal rap è importantissimo. Questa in particolare l’ho vissuta sia con grande senso di responsabilità, perché le musiche in una pellicola sono fondamentali, ma anche con la goduria della libertà artistica totale. Non hai la gabbia della struttura della canzone strofa-ritornello-strofa-ritornello, anzi, il fatto che qui abbia deciso di non mettere la voce, ma di comporre dell’elettronica ambient, cupa, da film horror m’ha fatto sentire libero dagli schemi.

Hai mai pensato di fare un disco solo di musica elettronica visto che nasci da quel mondo lì?
Arriverà il momento in cui lo farò. Ma non sarà ambient. Come dici, prima di essere un rapper sono un produttore, quindi l’idea mi piace moltissimo. Abbiamo anche in progetto di far uscire cose totalmente diverse dal rap, abbiamo un progetto sul lungo termine che ha che fare proprio con altri generi, altre cose, ma qui mi fermo che ancora non posso dire troppo.

Qualcosa che abbia l’ambizione di piacere fuori dall’Italia?
Sì, anche. Già comunque con le produzioni nuove, per esempio quelle di Cane e di Piano piano, mi sono parecchio allontanato dalla trap per fare altro.

Mi sono divertita ad ascoltare Cane, tu ti sei divertito a farla?
Mi sono divertito una cifra e si sente, ed è un pezzo fatto per questo, per divertirsi. Pensato per ballà.

Tu hai questa predisposizione a saltare tra i generi, senza legarti troppo a nessuno, ma come la prendono i fan che invece ti vorrebbero sempre fedele ad uno solo?
Per me funziona così: quando sento di aver raggiunto il massimo in un determinato genere, lascio e vado avanti. Sicuramente molte persone dopo Rehab mi hanno inquadrato come artista, diciamo, emo-trap, anche se io non sono mai stato un ascoltatore dell’emo, ma mi era semplicemente piaciuta l’idea di unire il rock alla trap. Poi in quel momento andava moto quella roba, tipo Lil Peep, e siccome in Italia l’ascoltatore ti deve sempre identificare con qualcosa che arriva dall’America, sono stato assimilato a quella corrente. A me in realtà importava solo che in quel momento la trap le chitarre non ce le aveva, nessuno la faceva la trap con le chitarre elettriche. Ora la fanno tutti, e sinceramente mettermi a fare una cosa che fanno tutti non mi piace e non mi interessa. Allora faccio altro, perché fossilizzarsi è la morte. E se proprio mi devo associare a un genere largo, quello che più mi rappresenta è l’urban.

Hai la sensazione che il pubblico italiano sia sempre un po’ nostalgico di qualcosa che è successo prima?
Sì, ma che senso ha? Quando è esplosa la trap nel 2016 la figata era che suonava futuristica, totalmente diversa da quello che c’era in giro, per quello facevo quella roba. Se oggi dovessi mettermi a fare i revival allora mi metterei a fare i Pink Floyd o B.B. King, che è la roba che mi piace davvero.

E la dancehall di Cane ti è sempre piaciuta?
Sì, avoja. Anzi, prima di ascoltare il rap io ascoltavo dancehall, ci sono cresciuto, anche perché quando avevo 15 anni io, 15 anni fa, la dancehall andava forte, e alla fine sono stato a molti più concerti dancehall che rap. Anche perché lì ci stavano le pischelle, nel mondo rap quasi zero, solo cazzi.

Però prima di questi nuovi singoli con la Lovegang avete fatto un disco super old school che è Cristi e diavoli. C’era, a proposito di eterna nostalgia, attesa per questo vostro ritorno?
Sì, grazie al cielo la gente ce lo chiedeva, e lo abbiamo fatto come facciamo sempre le cose, con amore, senza ansie o chissà che aspettative. Quando fai le cose così ottieni i dischi migliori, e quello è un grande disco. Noi non siamo semplicemente una crew, siamo amici da quando eravamo piccoli, e questo ci fa sempre tornare ogni tot a voler fare musica assieme. Ma è anche giusto e bello vedere quanto ognuno di noi si sbatta per il proprio progetto personale, diversissimo l’uno dall’altro.

Oltre che su sonorità diverse, tu viaggi anche su registri molto diversi anche per quanto riguarda i temi, i testi, che sono prima esistenziali, poi leggeri, provocatori, profondi. Sempre in Cane passi da Dio alla droga, e per te è normalissimo così. Ma qual è la tua grande fonte di ispirazione, in questa torre di Babele?
La religiosità e il misticismo mi hanno sempre ispirato una cifra. Fin dai tempi di Oh Madonna che, appunto, già dal titolo tirava in mezzo la Madonna. Anche per questo la musica afro o giamaicana da cui deriva la dancehall mi fomenta così, perché sono generi pregni di significati mistici, con riferimenti alla magia voodoo africana o a Dio, e a me queste cose gasano. A me della musica mi ha sempre affascinato l’aspetto sacro, di trance, tribale, spirituale. Il rap di rado abbraccia così tanti argomenti, è più schiavo di alcuni cliché, mentre in questi generi trovo una ricchezza molto maggiore.

Hai delle persone con cui riesci a condividere questa passione o te la coltivi da solo?
Nella mia crew ci sono alcuni che hanno interesse per queste tematiche, ma il mio è un approccio particolare, abbastanza intenso, quasi ossessivo ecco. Però specialmente su questo disco nuovo a cui sto lavorando, che sarà bello intriso di questi temi, ho messo su un gruppo di musicisti che si sta appassionando ai miei viaggi mentali, che li capisce molto bene e mi sa aiutare a rendere tutto questo musica.

Tu hai collaborato con Mace, che è un altro che ama addentarsi in territori spirituali…
Questo discorso lo hanno fatto in tanti, tra quelli che fanno musica elettronica. Molti produttori hanno cercato di attualizzare questa roba, di portarla nella nostra cultura, ed è più semplice, perché è di per sé un genere da “viaggio”, no? Rimanda in modo più immediato allo scopo originario della musica, che era appunto creare situazioni di trance, di ipnosi collettiva, legati ad un momento sacro, sciamanico, eccetera. A me piacerebbe riuscire a farlo anche nella musica cantata.

Quindi è questo il cuore del nuovo disco?
In questo disco mi piacerebbe riunire la musica popolare, folk, di un tempo alla musica urban, cosa che è da sempre una mia ambizione, ma rendere tutto contestualizzato all’Italia, senza risultare ridicolo, senza copiare dall’estero ma prendendo ispirazioni e capire se si può traslare quel suono da lì a qui.

E a che punto sei?
Ho trovato la via da seguire, anche se non so ancora bene dove mi porterà. Di sicuro dovete aspettarvi qualcosa di diverso.

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