Miles Mosley, una rivolta che parte dal basso | Rolling Stone Italia
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Miles Mosley, una rivolta che parte dal basso

Insieme a Kamasi Washington ha fondato i West Coast Get Down, suona per Kendrick Lamar e ha pronto "Uprising", il suo nuovo lavoro solista. «Spero che il mio sia un contributo musicale in grado di rafforzare e migliorare la storia di oggi»

Miles Mosley deve il suo nome a Miles Davis. Foto: Aaron Woolf Haxton

Miles Mosley deve il suo nome a Miles Davis. Foto: Aaron Woolf Haxton

Miles Mosley deve il suo nome a Miles Davis. È uno dei nuovi nomi del jazz americano. Foto: Aaron Woolf Haxton

«Voglio che questo mondo torni unito e che la gente si ritrovi nella grande divinità di cui fa parte. Per questo ho scelto la musica, perché è l’ascia che riesce a spaccare il ghiaccio dentro di noi». Con queste parole Miles Mosley definisce il suo secondo lavoro, Uprising (rivolta, ndr) che uscirà il prossimo 27 gennaio per le indipendenti Alpha Pub Records e World Galaxy. Il ghiaccio si può ovviamente sciogliere con il calore del funk o frantumarsi con l’ascia dell’hard rock, questo è altrettanto ovvio. L’interazione di queste due componenti genera il sound travolgente del nuovo disco del contrabassista, cantante e compositore di Los Angeles che, insieme a Kamasi Washington e al collettivo West Coast Get Down, sta riportando il modern jazz all’attenzione mondiale dovuta. Jazz, R&B, soul, funk e rock sono i cinque elementi che governano lo spirito e il corpo di Miles. Il jazz gli consente di avere un approccio molto aperto alle contaminazioni, l’R&B gli ricorda le radici, il soul lascia che il cuore predomini sulla mente, il funk libera il suo strumento dal canonico approccio archetto-pizzicato e il rock fa sì che questo si mantenga forte e stabile. I cinque elementi si incontrano e stravolgono a vicenda nelle undici tracce di Uprising registrate insieme al WCGD tra lo studio del batterista del collettivo, Tony Austin, e il KSL, lo storico studio di Los Angeles dove registrarono anche Alice Cooper, Lenny Kravitz e i Bad Religion.

Come i suoi colleghi del WCGD, Mosley ha condiviso palchi e inciso dischi con alcuni dei migliori artisti degli ultimi due secoli: Lauryn Hill, Mos Def, Common, Criss Cornell dei Soundgarden, Jonathan Davis dei Korn, Jeff Beck, Gnarls Barkley e Nas. Tutti musicisti di grande rilievo ma con background diversi che rispecchiano il sound di Miles Mosley. Un mood che ha coinvolto anche Kendrick Lamar, che l’ha voluto nel suo pluripremiato To Pimp a Butterfly, l’attore afroamericano Terrence Howard, che l’ha scelto per il suo album di debutto e, ovviamente, Kamasi Washington, con cui ha registrato il triplo Lp The Epic che nel 2015 ha ridestato gli amanti del jazz con sonorità spiritual jazz, ghospel e lunghi tempi d’improvvisazione.

Miles Mosley sarà in tour in Italia ad aprile: il 10 al Serraglio di Milano, l’11 al Locomotiv Club di Bologna e il 12 al Monk di Roma.

Com’è nato il West Coast Get Down? Chi di voi ha un approccio più jazz, o rock, o funk?
WCGD è il nome che ho dato a un gruppo di musicisti che sono cresciuti tutti insieme a Los Angeles. Io ero l’organizzatore, Tony Austin il guru tecnico, Kamasi Washington il guardiano, Ryan Porter il cuore e Barbara Sealy la rete di protezione che ci garantiva uno spazio sicuro e creativo dove interagire. Facciamo musica da ben 25 anni e insieme abbiamo raffinato l’abilità di esprimere le nostre idee in diversi generi. Individualmente, esploriamo stili musicali diversi con cui ci confrontiamo. Kamasi Washington (sassofono) esplora il jazz, Brandon Coleman (keyboards) il funk, Cameron Graves (piano) il progressive rock e l’hip hop, Ryan Porter (trombone) l’R&B, Tony Austin (batteria) l’engineering e la produzione, e io esploro il soul, il R&B e generi di diversi cantautori. Ci sosteniamo a vicenda e siamo fan dei nostri stessi talenti. La nostra è una connessione musicale unica e mi sento estremamente fortunato nell’essere cresciuto con alcuni dei più talentuosi musicisti di questo pianeta.

Avete mai pensato di registrare un album unicamente sotto il nome WCGD? Come volete che evolva il vostro collettivo?
Abbiamo già tanto materiale. Quando abbiamo registrato il mio album, in un mese abbiamo composto più di 170 pezzi per i vari progetti personali di ognuno. L’obiettivo primo è quello di pubblicare questi album, per vedere poi cosa fare. Abbiamo molte nuove opportunità, se rimarremo concentrati credo che potremo pubblicare molta musica davvero straordinaria per i prossimi anni.



Il tuo secondo album, Uprising, ha un range sonoro molto ampio.
Volevo che Uprising fosse potente ma riconoscibile, un po’ come un gigante buono che diventa il tuo migliore amico. Volevo fosse onesto sia nelle musiche che nelle liriche, non ho quindi usato effetti né doppie tracce per evitare di sporcare e di falsificare la sua grandezza. Volevo produrre un album che rappresentasse le scelte prese con il contrabasso, che è l’unico elemento effettato. Con i miei co-produttori, Tony Austin e Barbara Sealy, abbiamo deciso di rendere ogni suono intimo e più vicino possibile alla realtà per rendere più comprensibile ogni messaggio dei testi. Per questo puoi sentire il legno degli strumenti a corda, l’ottone dei fiati e il respiro della voce. Il basso rimane invece sopra ogni cosa come elemento unico e speciale. Quest’album contiene elementi di jazz, di R&B, di soul e funk, questo è chiaro. Credo sia un ottimo esempio di album crossover.

Quali sono i tuoi eroi musicali?
Per quanto riguarda il canto, i miei eroi sono Ray Charles, Otis Redding, Marvin Gaye, Nat King Cole e David Ruffins (The Temptations). Il loro modo rilassato e naturale di pronunciare le liriche è quello che ammiro di più, anche se la mia voce è diversa dalla loro. Sono tutti cantanti straordinariamente abili nel cantare come se ti stessero tranquillamente parlando, come se stessero parlando con te. Hanno tutti delle voci confortevoli e dal suono facilmente riconoscibile. Da allievo, questi sono tutti i maestri che seguo ma che non provo a emulare. Dalla mia bocca la voce si propaga onestamente.
Ray Brown, Charles Mingus e John Clayton sono, invece, i miei pilastri per quanto riguarda il contrabasso. Ho iniziato con loro ma ho capito presto che dovevo uscire dal loop dei bassisti e ho cominciato ad ascoltare anche chitarristi come Charlie Christian, Paco De Lucia e trombettisti come Clifford Brown e Snookie Young. È stata una bella sfida suonare sul basso partiture da chitarra o tromba. Dopo aver iniziato a usare gli effetti e i synth, che vengono dal mio amore per la musica grounge degli anni ’90, sono arrivato a quel sound che nessuno aveva sentito prima.

Abraham è tuo secondo singolo uscito. A chi ti rivolgi con questa canzone?
Il mio nome completo è Abraham Miles Mosley. Ho scritto questo pezzo pensando al momento in cui ho capito veramente il potere del mio nome, la forza che può darmi e le responsabilità che ho verso i miei antenati di essere diligente e rispettabile nelle azioni che parleranno per me nel futuro.

Uprising parla di una società mediocre che continua a sbagliare. Theodor W. Adorno credeva che la musica dovesse essere militante e criticare la società. La pensi anche tu così? Credi che la tua musica possa sensibilizzare le coscienze delle persone?
La musica, così come tutte le grandi forme d’arte, risponde a obiettivi multipli delle nostre vite. Che sia suonata in un club o a un rave, a un funerale o per una protesta, mantiene comunque la sua potenza determinando una certa atmosfera. La musica nasce dalla necessità di ricordarci le nostre storie: è molto più facile memorizzare una melodia con delle parole sopra piuttosto che un testo di una poesia. Quello che voglio è raccontare storie in cui le persone si riconoscano, dargli una spalla su cui consolarsi sapendo che c’è qualcun altro che si sente esattamente come loro.
Uno dei compiti della musica è rappresentare la società e il tempo in cui vive. Molta della musica che ascoltiamo ancora oggi nasceva come un riflesso dei periodi turbolenti e tumultuosi in cui sentivamo la necessità di trovare una spiegazione a tutti gli errori commessi. Molta altra musica rappresentava invece idee sbagliate e complicate. Eppure, la musica è ancora viva. I suoi obbiettivi sono vasti. Questo concetto è alla base dell’Etnomusicologia, in cui mi sono laureato alla UCLA. La tua è una buona domanda ma anche un’inchiesta molto ampia e sfaccettata. Puoi credere che la teoria di Adorno sull’industria culturale sia vera e che la musica debba essere usata quindi come una protesta contro la passività dell’individuo, oppure puoi seguire l’idea che tutta la musica sia creata equamente per ogni singolo scopo e non abbia un unico compito ma responsabilità multiple. Adorno è uno dei più prolifici saggisti al mondo, le sue idee sulle belle arti e il loro posto nella stabilità della società sono affascinanti. Spero che la mia musica sia utile a diffondere positività nella nostra cultura, dandoci la forza, il coraggio e la speranza necessari ad affrontare ciò che ci aspetta fuori dalla porta. Non credo che le belle arti debbano tenersi su un piedistallo. Credo che l’arte appartenga alla “gente” e che debba quindi essere concepita con strumenti che comunichino con l’onestà dell’osservazione artistica.

Lo scorso anno Beyoncè si è esibita al Super Bowl vestita da Black Panther. Credi che la musica stia diventando più militante sia nell’underground che nel mainstream?
La moda è sempre andata a braccetto con l’industria musicale. L’elemento visivo permette all’artista di evocare immediatamente uno stato d’animo che verrà poi interpretato musicalmente dall’elemento sonoro. Quello che un artista indossa è spesso parte del suo messaggio sociale, che siano le giacche e cravatte dei Green Day e del loro punk rock, o Johnny Cash vestito tutto di nero che canta quello che chiama “godless country music”. L’America sta tornando ad analizzare molti dei problemi che hanno plagiato a lungo la storia di questo grande paese. Credo che ogni volta che un artista di questo calibro, con un richiamo di massa, faccia qualcosa che stimoli il dibattito intelligente sia comunque un’azione positiva.



Ora una curiosità: c’è qualche relazione tra il basco che porti spesso e le Black Panthers?
Il basco ha sempre avuto un certo fascino nella storia della moda. L’hanno indossato in epoche diverse poeti, pittori, rivoluzionari e soldati. Io cerco la poesia nei miei testi, e voglio rivoluzionare il mio strumento. Sono sempre in guerra per trovare la verità in entrambi e, in questo senso, il basco rappresenta una completa espressione delle mie azioni.

Credi che la musica stia cercando anche oggi di dar voce alle proteste che stanno animando il tuo paese? Credi che possa essere oggi più decisiva rispetto a quella degli anni Sessanta con cui artisti come Nina Simone, o i Last Poets, Gil Scott Heron, Marvin Gaye e James Brown diedero voce alla lotta per l’emancipazione afroamericana?
Non oserei dire che la musica possa avere un impatto più forte rispetto a quella creata negli anni ’60 da leggende come Heron, Gaye, Simone e Brown (che sono alcuni dei miei preferiti in assoluto). Siamo comunque fortunati perché viviamo oggi in un’era in cui la musica è connessa globalmente. Possiamo tutti trovare canzoni che ci fanno sentire meglio, anche se non sono state create da artisti del nostro paese. Ogni società deve oggi confrontarsi con ingiustizie che devono essere superate e analizzate dai cittadini. Artisti provenienti da ogni parte del mondo scrivono canzoni per aiutare i propri fratelli e sorelle nella ricerca della verità e della positività, e noi ora stiamo vivendo in un’epoca in cui possiamo contare su un corpo di lavoro globale che definisca ed erudisca l’America di oggi. Spero che il mio sia un contributo musicale in grado di rafforzare e migliorare la storia di oggi.

Cosa pensi dell’elezione di Trump? Sei andato a votare? Scriverai un pezzo sul vostro nuovo presidente?
Il diritto al voto è un privilegio per cui i miei antenati hanno combattuto duramente. Io voto sempre, per qualsiasi elezione, locale o nazionale. Per me votare è una sorta di cerimonia, ogni volta chiamo mia madre per riempire insieme le nostre schede, analizzando criticamente le possibili scelte e discutendo sui vari problemi. È una tradizione di cui vado molto fiero perché capisco quale fortuna abbiamo oggi nel poter essere parte attiva del meccanismo democratico. Non so se scriverò una canzone sul nostro nuovo presidente. Scrivo musica con il cuore, non con la mente. Farò sempre musica con l’intenzione di unire le persone attraverso emozioni universali, cercando di districare la complicata matassa delle preoccupazioni. Ma credo sia importante fare anche della musica che ci faccia semplicemente sentire bene, che ci ricordi di ballare, di cantare a squarcia gola, di fare l’amore, che ci faccia abbracciare l’un l’altro, per sentirci meglio. Siamo esseri umani e, nonostante i nostri difetti, cercheremo sempre la luce.


In un’intervista Marcus Miller ha dichiarato che “il jazz è la musica più democratica perché incoraggia i musicisti a lavorare insieme nonostante punti di vista diversi e molto forti, dando loro lo spazio necessario a esprimere la loro individualità”.
Credo che Marcus Miller sia un uomo molto intelligente che ha dato un grosso contributo a questa forma artistica e allo sviluppo dello strumento che suona, il basso. Il jazz come democrazia è un concetto interessante e credo sia un modo eloquente di descrivere il tipo di connessione e di negoziazione che avvengono “nel momento unico” che i musicisti vivono sul palco e nello studio. Io credo che tutta l’arte si esplichi nel migliore dei modi quando usiamo il nostro cuore e la nostra anima per confrontarci con la grande energia dell’universo. È dall’indagine emotiva, e non dalla ricerca intellettuale, che vengono le più grandi espressioni artistiche dell’umanità.

Componi anche colonne sonore, sia per film che per videogame. Come si differenziano i due processi compositivi? Credi che le colonne sonore dei video game diventeranno più importanti di quelle del cinema?
Comporre per i film richiede spesso un confronto con l’elemento visivo emozionale, e devi stare attento a non calpestare i dialoghi o a sprofondare nella trama suonando troppo. I video game hanno effetti sonori e visual molto incisivi, e vengono spessi giocati per ore, giorni e settimane. Musicalmente devi quindi creare un tessuto sonoro che sia piacevole da ascoltare per lunghi periodi di tempo. È un approccio più ipnotico per quanto riguarda la composizione. Credo che il nostro modo di relazionarci con il mondo dell’entertainment cambierà drasticamente, soprattutto con la diffusione dei vari supporti per la realtà aumentata. L’entertainment full immersion annienterà le barriere tra cinema, video game e gli altri digital media. Credo che nel prossimo futuro il consumatore farà direttamente parte del film, interagendo e manipolando il mondo creato dal regista. Da quest’estensione, il cinema e i video game diventeranno la stessa cosa. La musica sarà sempre parte integrante di queste esperienze. Sono molto eccitato all’idea di lavorare per questi progetti multimediali innovativi nel futuro.

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