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“Mick Jagger a chi?” Intervista agli Yak

Il cantante assomiglia in modo impressionante al frontman dei Rolling Stones da ragazzo. Ma il trio inglese non ha bisogno di troppi paragoni

“Mick Jagger a chi?” Intervista agli Yak

The Yak. Foto: Facebook

Se c’è una cosa che Oli Burslem, il cantante dei tostissimi Yak, non farà mai è cercare di assomigliare a un’altra band. «Dai, non c’è niente di più penoso che sforzarsi di essere qualcosa di diverso, anche se quel qualcosa sono i Rolling Stones», sbotta, quando parla di altri gruppi rock inglesi suoi connazionali di cui non fa il nome. Peccato che lui sembri il fratello gemello di un giovane Mick Jagger, mentre il suo compagno di band Andy Jones sembri il fratellino minore di Jack White. Ma ovvio, queste sono somiglianze solo estetiche. Il rock degli Yak può anche ricordare tante altre band famose (specie del periodo Seventies), ma il trio ha quel tiro e quella grinta in più che in tanti non hanno. Per loro la stampa inglese ha speso parole come: “Ascoltateveli, se non volete perdere speranza nelle guitar band” e loro, soprattutto dal vivo, rendono onore a questa presentazione. Perché si divertono, e pure parecchio. Anche sulla questione dei paragoni fisici. Oli racconta: «Me l’hanno fatto notare per la prima volta quando avevo 14 anni, mentre stavo giocando a calcio. Un tipo mi ha urlato: “Hey, Mick Jagger!”. Sono andato a dirlo a mia mamma e siamo scoppiati a ridere. Poi è vero, pure Andy, il nostro bassista assomiglia a Jack White. Ma del resto a me hanno detto che sono “identico” anche a Harry Styles (One Direction, ndr), quindi, pazienza!».

L’importanza del gioco e dello scherzo, Oli la ribadisce anche in Harbour The Feeling, uno dei singoli tratto dal loro debut album, Alas Salvation, dove canta “It’s a joke, it’s a joke”. «È chiaramente un meccanismo di difesa, per non rimanerci male nel caso le cose non andassero come vorremmo.Ma non pensiamoci: adesso ci interessa solo poter regalare uno show diverso ogni volta, cercando di improvvisare e di non dire le stesse cose nell’intervallo tra una canzone e l’altra». Non sembra così scontato cambiare sempre per due compagni di band (Oli e Andy, mentre il batterista neozelandese Elliot Rawson si è unito neanche 2 anni fa) che si conoscono da quando avevano 5 anni, suonano insieme dai 12, e ora ne hanno un po’ più di 20. «Da adolescenti suonavamo nella nostra zona, la black country, nel bel mezzo del nulla», prosegue Oli, «poi ci siamo trasferiti nei sobborghi di Londra e ho iniziato a fare svariati lavoretti pur di stare sempre in giro. Lavoravo anche in un negozio assurdo di arredamento, con bamboline e animali imbalsamati e lì ho conosciuto un sacco di gente». Leggenda narra anche Thurston Moore: «Sì, un mio mito. E quando è entrato in negozio non sono riuscito a dirgli niente di che. Comunque lui ci stava veramente dentro come persona!». Oli non può non aver notato la storia di questo hype intorno al loro nome, che fa ancora più impressione dato che gli Yak non propongono certo un tipo di rock innovativo: «Io credo che la nostra band abbia suscitato interesse perché ultimamente c’era un buco nell’offerta di guitar music inglese, genere dove siamo sempre stati maestri in passato ma dove siamo stati sorpassati ultimamente per le proposte più fresche dall’Australia e dalla Nuova Zelanda». Intanto è arrivata l’ora di pranzo, Oli deve correre a mangiare prima di partire per andare a suonare e si mangerà il pesto preparato dalla sua fidanzata: tentativo di riproporre la nostra ricetta ligure? «No, ti giuro lo fa benissimo. Comunque ci aggiunge qualcosa di suo… non è solo un’imitazione scarsa». Ride.

L’intervista è stata pubblicata in versione integrale su Rolling Stone di giugno.
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