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Mecna e Sick Luke, il conscious rap incontra la trap (e lo spirito di Kanye West)

Uno è adorato dai fan dell’indie e ha un pubblico di universitari consapevoli. L’altro è famoso per il sodalizio con la Dark Polo Gang e ha un impressionante seguito di ragazzini. Qui raccontano che diavolo ci fanno assieme e com’è nato il loro album ‘Neverland’

Foto: Mattia Guolo

L’album di Mecna e Sick Luke avrebbe potuto benissimo intitolarsi La strana coppia, anziché Neverland. Sulla carta, sono un team quantomeno improbabile. Il primo è l’idolo della scena conscious rap (ovvero quel sottogenere di rap in cui si presuppone che le canzoni abbiano dei contenuti e una profondità), è adorato dai fan dell’indie e, a giudicare dai frequentatori dei suoi concerti, ha un pubblico di universitari colti e consapevoli. Il secondo è il guru della trap, è diventato famoso per il sodalizio con la Dark Polo Gang (ovvero quel collettivo romano che, tra ignoranza fieramente sbandierata, materialismo spinto e tecnica pari a zero rappresenta il lato più controverso del rap di oggi), ha un impressionante seguito di ragazzini sui social e le sue produzioni visionarie e geniali sono così all’avanguardia che l’Italia comincia a stargli stretta.

Mecna è posato, taciturno e perfezionista; Sick Luke è casinista, istintivo e verace. E insieme, per la legge degli opposti che si attraggono, hanno realizzato uno degli album più belli dell’autunno 2019: Neverland, un gioiellino da appena dieci tracce che racchiude in sé più generi e sottogeneri di quanti se ne trovano in un’intera collezione di dischi. Se il loro ultimo lavoro è una goduria da ascoltare, però, è ancora più divertente osservare come interagiscono tra di loro, perché è evidente che si è creato un rapporto che va ben oltre la musica. Nonostante la tensione pre-debutto si faccia sentire – anche perché questo progetto è un bel cambiamento, per i fan dell’uno e dell’altro, e come verrà recepito è ancora un mistero – Mecna e Sick Luke non smettono un attimo di scherzare e prendersi bonariamente in giro. 

Una collaborazione tra voi due se l’aspettavano in pochi, figuriamoci un disco intero…

Mecna: È vero, noi per primi non ce l’aspettavamo. Tutto è cominciato attorno a novembre dell’anno scorso, quando mi è venuta l’idea di proporgli di fare un pezzo insieme. Non ci conoscevamo neanche di persona, quindi non pensavo che avrebbe accettato e invece l’ha fatto.

Sick Luke: In effetti all’inizio non ero sicurissimo di farlo, ma poi mi sono detto “Perché no?”.

M: A quel punto è nato Akureyri, il nostro primo singolo, che abbiamo registrato e poi promosso a distanza, senza mai incontrarci dal vivo. Il risultato finale ci piaceva molto, così Luke mi ha proposto di andare a trovarlo a Roma per conoscerci, finalmente, e chiuderci un paio di giorni in studio e provare a realizzare qualche altra traccia. Io mi sono portato dietro Alessandro Cianci, il chitarrista con cui da anni lavoro a tutti i miei progetti, e Luke ha tirato in mezzo Valerio Bulla, che è un musicista romano della scena indie.

E cosa è successo, quando finalmente vi siete chiusi in studio?

M: Che alla fine quel paio di giorni si è trasformato in un paio di settimane, e in un vero e proprio album. È partita una fase piena di idee e stimoli, anche abbastanza disordinata e creativa: ogni volta ci mettevamo a lavorare a due o tre pezzi insieme, poi io tornavo a Milano, meditavamo un po’ a distanza e la volta dopo finivamo quello che avevamo cominciato.

S.L.: Quando lavoro con la Dark Polo Gang, di solito, se iniziamo un pezzo più o meno so già dove andrà a parare. Con Mecna, invece, mi sono ritrovato a rimetterci mano mille volte: sistema la strofa, cambia il ritornello, aggiungi o togli qualcosa…

M: Anche il contributo di Alessandro e Valerio è stato fondamentale, i loro consigli sono stati preziosissimi. Non abbiamo fatto rap, abbiamo fatto musica, nel senso più ampio del termine.

S.L.: E io, forse per la prima volta in vita mia, mi sono lasciato andare e mi sono lasciato comandare a bacchetta da questi tre! (Ride) Il tempo è volato, non mi sono quasi accorto di aver finito un disco intero.

A un primo ascolto, la sensazione è che lo spirito del vecchio Kanye West, e un po’ anche del nuovo, si sia impossessato di voi. È effettivamente così?

S.L.: In effetti per me Kanye è stato un riferimento, ma finora non l’ho mai detto, perché non voglio che si facciano troppi paragoni. Lo adoro, comunque: per me spacca tutto, perché ogni tot mesi cambia fase, stagione, sound. E sono un super fan della scuola G.O.O.D. Music. Sicuramente Neverland ha qualcosa dei suoi primissimi album, come The College Dropout o Late Registration.

M: E anche qualche momento di Yeezus, forse.

S.L.: Magari la gente pensa che mi ascolti solo la trap, Chief Keef e Gucci Mane, soprattutto i piccoletti che mi scrivono su Instagram. Il mio pubblico di sempre in me vede solo quello, e infatti appena mi allontano un po’ dal solito recinto mi fa storie. A quel punto io faccio un po’ da genitore: inforco gli occhiali, mi metto in cattedra e dico “No, non avete capito”. Mi chiedono di tornare quello di Crack musica, ma in realtà non sono mai cambiato. Ho sempre avuto due anime, una che si sposa bene con la Dark Polo Gang e una che vuole fare altre cose.

M: Per fortuna, però, sia tra i suoi fan che tra i miei credo che il sentimento prevalente sia la curiosità, prima ancora del pregiudizio. Si faranno un’idea dopo avere ascoltato l’album.

Foto: Mattia Guolo

A livello di sonorità, Neverland è estremamente complesso, ricco, debordante. In pratica, il contrario del minimalismo e della semplicità che vanno di moda adesso nella musica urban italiana. Perché questa scelta controcorrente?

S.L.: Io avevo voglia di sperimentare, e lui anche. Mecna non è un artista canonico, non puoi dire che fa indie pop, hip hop o trap. Perché aspettarsi da lui cose canoniche? Abbiamo deciso di non pensare troppo e di divertirci, e alla fine è andata proprio così. Abbiamo fatto un disco in cui ogni traccia è diversa dall’altra e speciale a modo suo, e ti fa entrare in un mondo parallelo. In un pezzo, Canzone in lacrime, abbiamo chiamato perfino un vero coro gospel. Chi altro può dire di averlo fatto, in Italia?

M: Il nostro era un vero coro gospel, oltretutto, di neri di origine americana: abbiamo portato il nostro gusto personale, fatto di tantissimi ascolti internazionali. Neverland è quasi un concept album, per certi versi, anche se il concept non l’avevamo elaborato prima, è venuto da sé.

Neverland, la traccia che dà il titolo all’album, è molto particolare: assomiglia a una posse track, ovvero a quei brani hip hop in cui ci sono una mezza dozzina di rapper che si alternano nelle strofe, ma al posto dei rapper ci sono alcuni dei nomi più caldi del momento della scena indie e urban italiana: Marïna, gli Psicologi, Voodoo Kid e Ainé. Da dove arriva questa scelta?

M: L’idea è venuta a Sick Luke e ho capito subito che era ottima. Riempire un disco di featuring importanti avere più visibilità è fin troppo facile: quello che volevamo fare noi era creare un mondo a parte.

S.L.: Sarebbe stato troppo banale chiamare persone del mio solito giro, o del suo solito giro: in fondo quest’album è già un incontro tra mondi diversi, in teoria non avrebbe neanche avuto bisogno di altri featuring. Abbiamo preferito scegliere dei giovani talenti, tutti diversi tra di loro, per fare qualcosa di davvero nuovo. Tra l’altro, prima di decidere di trasformarla in una posse track, siccome non eravamo molto convinti del sound, abbiamo provato a cambiarla un sacco di volte: abbiamo fatto una versione drum & bass, una versione two-step, una dubstep… In un certo senso è un peccato essere andati in un’altra direzione, perché un pezzo del genere ci mancava. Abbiamo l’hip hop, la trap, il post rock, il gospel, l’elettronica, ma la drum & bass no. E dire che sono pure inglese!

A proposito di novità, gli amanti del malinconico Mecna noteranno senz’altro che, rispetto ai tuoi lavori precedenti, ci sono diversi brani decisamente più allegri, come Si baciano tutti, Perdo la testa o Pazzo di te.

M: Sì, diciamo che in quest’ultimo periodo ho cercato di lasciare un po’ da parte quell’aspetto. E poi, con Sick Luke di fianco, era facile abbracciare un mood più giocoso e leggero. Collaborare con qualcun altro è bello anche per quello: Luke, a differenza mia, è molto istintivo, e lavorando al suo fianco comincio a capire che non c’è sempre bisogno di prendersi due anni di riflessione per fare un album.

La canzone più epica di tutto l’album, quella del coro gospel che citavate prima, è Canzone in lacrime. Prima che qualcuno gridi al plagio: ovviamente è un omaggio a Song Cry di Jay-Z, giusto?

M: Ovviamente. In realtà l’idea di fare un tributo a Song Cry è arrivata tardi, nel senso che quando mi è venuto in mente avevo già scritto buona parte delle strofe.

S.L.: Quando me l’hai detto, però, ho pensato subito che fosse un’ottima idea, perché il mood del beat era commovente, e quindi piangere era la cosa giusta in quella situazione.

M: È una cosa che la gente mi dice spesso: “Non vedo l’ora di ascoltare i tuoi pezzi per piangere”. Da un lato fa strano, ma ora che mi ci sono abituato capisco cosa intendono. Io per primo, quando ascolto un album di Frank Ocean, aspetto con ansia quelle due o tre canzoni intense e piene di pathos. È il motivo per cui mi sono affezionato a lui, e i pezzi tristi sono il motivo per cui molti si sono affezionati a me. Quindi, se volete piangere, vi faccio piangere!

S.L.: Li capisco. Ieri ho sentito per la prima volta la tua 31/07 ed è tipo straziante. (Scoppiano a ridere entrambi)

L’ultima traccia dell’album si chiama semplicemente :(. Innanzitutto: come si legge?

M: “Emoji triste” o “Smile triste”, come preferite.

Include delle note vocali di Sick Luke: hanno un significato particolare per voi?

S.L.: Sono state fatte apposta per la canzone, in realtà.

M: Luke è una persona molto positiva, nelle stories ci tiene a mandare messaggi di incoraggiamento ai suoi follower. È una cosa che mi piace molto, anche perché io non sono fatto così, non mi verrebbe mai in mente di esternare quel tipo di concetto sui social.

S.L.: Perché il messaggio che mandi tu è “Deprimetevi”! (Scoppiano a ridere di nuovo)

M: Scherzi a parte, nonostante il titolo credo che sia un brano rilassato e positivo, quindi avevo pensato che sarebbe stato carino inserire anche Luke in questa sua modalità di motivatore. Anche perché la sua voce non si era mai sentita, nelle canzoni che produce per altri.

Un album così complesso e stratificato, secondo voi, può essere fatto anche da chi non ha alle spalle i budget, le strutture e l’esperienza di una major (in questo caso la Virgin Records), o comunque di una realtà molto solida?

M: Mi fa piacere se sembra una produzione faraonica, perché vuol dire che siamo riusciti a tirare fuori il meglio dai mezzi che avevamo, ma da un certo punto di vista è un album che potrebbe essere fatto anche in cameretta. L’approccio è quello di due persone che si sono chiuse in un piccolo studio con un computer, una chitarra e una tastiera e hanno tirato fuori un sacco di idee.

S.L.: Ed è esattamente quello che dico in :(. Se ci metti la testa e ascolti tantissima musica, puoi arrivarci anche tu. Ma per essere del tutto sinceri, se non ci fossero stati due musicisti come Valerio Bulla e Alessandro Cianci, non so se saremmo riusciti ad arrivare a questi risultati. Forse un ragazzino che viene dal rap e registra in cameretta avrebbe bisogno di un musicista a dargli una mano. E di una mentalità un po’ zingara per non fargli fare le cose troppo pettinate. (Ride)

Ora che l’uscita di Neverland è alle porte, qual è il futuro del vostro team?

M: Chi lo sa! Intanto abbiamo sicuramente tre appuntamenti live (il 7 novembre al Fabrique di Milano, il 9 alla Casa della Musica di Napoli, data già sold out, e il 10 alle Industrie Musicali di Lecce), in cui suoneremo il disco con la formazione originale.

S.L.: Anche io suonerò qualche riff e farò anche qualche passo di ballo, volendo.

M: Bro, guarda che se dici queste cose a una giornalista, poi le scrive… (Ride)

S.L.: Quando leggo le interviste della gente che si prende troppo sul serio mi annoio. Preferisco quelle di Kanye, che le spara grossissime. Anche io ogni tanto vorrei dire che sono più grande di Walt Disney.

Beh, diciamolo adesso, allora.

M: Confermo: Luke è più grande di Walt Disney.

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