Rolling Stone Italia

Marianne Faithfull ha molto vissuto



La battaglia con il Covid, le poesie di ‘She Walks in Beauty’, l’evoluzione di ‘As Tears Go By’, il rapporto con Jagger, il lato oscuro del successo e un messaggio: «Non giudicatevi troppo duramente»

Illustrazione di Mark Summers per Rolling Stone US

Marianne Faithfull non ha vissuto una sola vita. Nel 1964, quando aveva appena 17 anni, nel giro di una notte As Tears Go By l’ha trasformata in una star. Ne aveva una ventina quando la relazione con Mick Jagger l’ha trasformata nell’ossessione dei tabloid. Dopo la fine di quella storia, è sprofondata nella droga, ha vissuto per strada per poi tornare in grande stile nel 1979 con Broken English, un disco di musica influenzata dalla new wave perfetta per la sua voce, che nel frattempo era diventata più profonda e scura. Ha recitato a teatro e al cinema, si è reinventata come cantante jazz e dream pop, tutto prima di pubblicare nel 1994 la straordinaria biografia Faithfull. Da allora sono passati quasi trent’anni: nel frattempo ha collaborato con autori come PJ Harvey, Nick Cave e Mark Lanegan per dischi che hanno reso il terzo atto della sua carriera davvero ineccepibile.

Considerando tutte le volte in cui si è reinventata, non è una sorpresa vederla entrare in una nuova fase col suo ultimo album. In She Walks in Beauty, prodotto in collaborazione con il violinista e autore Warren Ellis, Faithfull recita poesie dei grandi romantici inglesi: Lord Byron, John Keats, Percy Bysshe Shelley e William Wordsworth. La sua voce, ancora calda e ricca, aggiunge una profondità rara a quei versi, e le musiche ambient suonate da Ellis, Nick Cave, Brian Eno, il violoncellista Vincent Ségal e il produttore e fonico Head, non fanno altro che portarla su vette ancora più alte. Che racconti la bellezza di un monumento egiziano, come succede in Ozymandias di Shelley, o di un uccello, come in Ode a un usignolo di Keats, Faithfull è in grado di infondere in ogni parola le sue esperienze.

È una forza che emersa anche durante la nostra intervista telefonica. Nonostante stia ancora rimettendo da una brutta forma di Covid-19, parla con passione della sua filosofia e delle sue esperienze, e delle lezioni che ha imparato nel corso degli anni.

L’anno scorso sei sopravvissuta al Covid. Come stai adesso?
È terribile. È lunga, è una di quelle forme in cui vai migliorando eppure hai ancora i sintomi. Ora dicono che si guarisca anche da questi, che non duri per sempre. È una buona notizia.

Nell’album reciti Keats, Shelley, Wordsworth e altri. Cosa rende bella una poesia? 

Ci sono alcuni aspetti tecnici che mi appassionano, come rime e allitterazioni. Come la musica, una buona poesia deve avere ritmo. La scelta delle parole è importante. Una grande poesia è una cosa grossa.

Keats ha scritto: «Bellezza è verità, verità è bellezza. Questo è tutto ciò che al mondo sapete, e tutto ciò che occorre che sappiate». Cosa significa per te?
È una frase che tengo sempre bene a mente, da una vita. Verità e bellezza sono due cose difficili da raggiungere, ma si può fare. Vale comunque la pena tentare.

Con Warren Ellis. Foto: Rosie Matheson

Sei diventata famosa da giovanissima. Qual è la parte migliore del successo? E la peggiore? 

La parte migliore è che la gente apprezza quel che fai. La parte peggiore del successo è il successo, no? La notorietà è una tale bruttura. Le persone davvero famose, quelle molto amate dalla gente, alla fine muoiono, prendi la principessa Diana. È un esempio molto estremo di cosa può farti il successo. Lo vediamo ancora oggi con le cose orrende che stanno capitando alla povera, piccola Britney Spears. Cristo. Per fortuna, non sono mai stata così famosa, di certo non così ricca. E in ogni caso lo sono stata per pochissimo tempo. Il resto è stato duro lavoro.

Nella tua biografia scrivi che il pop ha una legge: per ottenere qualcosa devi dare tutto te stesso. Qualcuno è mai riuscito a sfuggire a questa regola? 

Ci sono solo un paio di esempi di gente che ha fatto così tanti soldi senza fregature. I Beatles, gli Stones… ma c’è stato qualcuno che ha cercato di fregare anche loro. Ma non pensiamo a queste cose, per l’amor di Dio.

Chi sono i tuoi eroi e perché?
Beh, il più grande è Shakespeare. Credo che sia lo scrittore più grandioso di tutti i tempi. Poi Oscar Wilde. I grandi socialisti del mondo, come Beatrice Webb. Ce ne sono anche di americani, come Edgar Allan Poe. Poi Lord Byron e Percy Bysshe Shelley. Anche Napoleone è un po’ un eroe, per me.

È una figura abbastanza controversa…

Sì, ma credo sia stato eroico, così come il Duca di Wellington (l’uomo che l’ha sconfitto, nda). Sono due figure eroiche. Potrei dire lo stesso di Churchill. Quando c’era bisogno, lui c’era, sempre.

Qual era il tuo libro preferito da ragazza? E cosa dice di te? 

Non so cosa dicano di me, ma amavo tutti i libri di Narnia. Sono splendidi. Io sono per metà austriaca, quindi sono cresciuta con cose come Der Struwwelpeter. Poi c’è Hilaire Belloc, che ha scritto le splendide poesie di Cautionary Tales. Vuoi sentirne una? “C’era un ragazzo. Il suo nome era Jim. I suoi amici erano davvero buoni con lui. Gli davano tè e torte e marmellata e fette di prosciutto delizioso e lo portavano anche allo zoo, dove il destino terribile lo colpì”.

E oggi qual è il tuo libro preferito?
Ne sto leggendo uno fantastico, l’autobiografia di Miles Davis (Davis). È geniale, divertente, perché in un certo senso è disonesta. Il modo in cui parla dei problemi di eroina degli altri, paragonati ai suoi, è esilarante. A leggerlo sembra che lui fosse fantastico, senza un problema, mentre gli altri erano terribili (ride).

Tu hai sconfitto l’eroina decenni fa. Cosa hai imparato da quel periodo? 

Vorrei non aver mai toccato quella roba, neanche le sigarette e l’alcol. Tutto. Starei molto meglio.

Hai registrato la tua prima hit, As Tears Go By, tre volte nella tua carriera: a 17 anni, a 40 e a 71. Qual è l’età migliore per cantare quel pezzo? 

Mi piace l’ultima versione, quella del 2018 per Negative Capability. Ci è voluto tanto tempo per capire quel pezzo. Pensavo che la prima versione fosse troppo luminosa e pop, la seconda troppo triste, mentre la terza è più bilanciata.

È interessante, una canzone che cantavi da teenager ha cambiato significato col tempo. 

Quando cresci succede, è ovvio. Farmi cantare quel pezzo a 17 anni è stata una scelta davvero strana. Sia Mick (Jagger) che Keith (Richards) avevano solo 21 o 22 anni quando l’hanno scritta, ma erano comunque geniali.

In che modo uscire con Mick ti ha resa più forte? 

Non so se sia andata così. Mi ha praticamente distrutta. Nonostante fosse meraviglioso, è durato solo quattro anni. È stato un bel periodo, lui era fantastico, ma non c’entravo niente con quella vita e non ero quello che lui voleva da una donna. Tutto qui.

Cosa hai imparato dal manager degli Stones, Andrew Oldham? 

Oh, Dio, non molto. Ovviamente mi ha lasciato qualcosa, credo. È tramite lui che ho conosciuto Mick e Keith.

Hai scritto che ti ha presentato come una persona che non eri, una ragazzina ricca e aristocratica…

Oh, certo. Ero “l’angelo con le tette grosse”. Grazie tante.

Hai collaborato con tante persone splendide nel corso degli anni: Hal Willner, Warren Ellis, Nick Cave… 

Prendiamoci un momento per parlare di Hal Willner. Come si fa a vivere in un pianeta senza di lui? Come fanno tutti? Vorrei che fosse ancora qui. Vorrei che ascoltasse il bel disco che ho registrato. Non sarei riuscita a farcela senza gli anni di amicizia e amore con Hal. In realtà mio nipote – Oscar, il mio Oscar – sta girando un piccolo film su di lui. Credo che sarà fantastico.

Come deve essere un bravo collaboratore, per te? 

Non saprei, davvero. Dev’essere una persona capace di dare e ricevere. Warren Ellis è un genio, così come Nick. Quello che ha fatto Warren con il disco è fantastico. La musica, il pianoforte suonato da Nick, il lavoro di Brian Eno e il violoncello di Vincent Ségal… è tutto bellissimo.

Hai vissuto a Londra, Parigi, New York, in Irlanda. Cos’è che ti fa sentire a casa? 

Io mi sento a casa su questo pianeta. Almeno, così mi sono sentita fino ad adesso. Amavo Parigi, devo dire anche questo. Ma mio figlio voleva che tornassi a Londra. Credo che lo meritasse. Tra tutte le persone che ho amato nella mia vita, e amo tanto Nicholas, credo che abbia avuto meno di tutti. Aveva tutto il diritto di chiedere di più e voglio accontentarlo. Stiamo recuperando il tempo perduto. È un lavoro difficile ma ci vogliamo bene. Le relazioni umane sono difficili, non credi?



Cosa possono imparare le nuove generazioni dalla tua? 

Direi, idealmente, di essere gentili e compassionevoli con loro stessi e con gli altri. Non giudicatevi troppo duramente. Se potete, concentratevi sul presente. È quel che ho fatto io. Invecchiando è sempre più difficile, ma ci provo.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US

Iscriviti