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Mangia dormi lavora ascolta i La Crus ripeti

«Oggi fai una vita schifosa e non hai neanche più qualcuno contro cui ribellarti». Intervista alla band che pubblicherà domani il nuovo album ‘Proteggimi da ciò che voglio’, il primo di inediti dal 2005. «È un disco di canzoni polietiche: politiche, poetiche ed etiche»

Foto press

Non susciterà lo stesso clamore di quella dei CCCP, ma la reunion dei La Crus è un piccolo evento per chi li seguiva negli anni ’90. In quel decennio, oggi ricordato a torto o a ragione come epoca irripetibile, furono uno dei gruppi di culto dell’indie italiano, che iniziò a diventare qualcosa di più di un fenomeno di nicchia.

I La Crus nascono a Milano all’inizio del decennio, con un nucleo formato da tre musicisti. Il primo è Mauro Ermanno ‘“Joe” Giovanardi, cantante proveniente dall’esperienza con i Carnival of Fools, che sarebbe diventato una delle voci più intense e riconoscibili del panorama italiano. Accanto a lui Cesare Malfatti, chitarrista poliedrico ed elegante, e Alex Cremonesi, in una posizione più defilata, assente dai live ma fondamentale nel processo di composizione, scrittura dei testi e arrangiamento. Il loro stile combina inizialmente le basi classiche del cantautorato con un sound che sfrutta le tecnologie del campionamento e dell’elettronica, e appare subito una riuscitissima combinazione di tradizione e innovazione; lo faranno evolvere nel corso di sei album in studio di rilievo, fino allo scioglimento dopo 17 anni, alla fine del 2008.

Il ritorno è Proteggimi da ciò che voglio, album disponibile da domani su etichetta Mescal. Dopo esperienze diverse di ciascuno di loro, i tre membri originali sono ancora insieme, e il disco nuovo marca una continuità con la cifra originale del gruppo, anche se il sound mostra una evidente modernizzazione e l’intensità poetica sembra raggiungere un suo apice. Introdotto da due singoli apparsi nei mesi scorsi, che rivisitavano dei classici della band con il featuring di artisti amici (Carmen Consoli nella rilettura di Io confesso, brano presentato a Sanremo nel 2011, e Colapesce Dimartino su Come ogni volta), il disco è molto brillante nell’accostare riflessioni intimiste a temi di portata più universale, come nella splendida apertura di La pioggia, o in modo ancora più marcato su pezzi come Mangia dormi lavora ripeti o La rivoluzione, particolare nell’incrociare le voci di Joe con quelle di Vasco Brondi e del filosofo sloveno Slavoj Žižek (un featuring di cui Alex va molto fiero, detto en passant).

Ci sono canzoni di ispirato classicismo (Shitstorm, la title track) come escursioni più coraggiose in ritmi meno usuali (la già citata Mangia dormi lavora ripeti, con un incipit quasi funk, il beat da easy listening anni ’70 di Discronia), o flirt espliciti con l’elettronica (da Sono stato anch’io una stella a quello che potrebbe essere il capolavoro dell’album, l’enigmatica Io non ho inventato la felicità).

Con i La Crus al gran completo abbiamo fatto una chiacchierata su questo disco e sul loro ritorno in pista.

Questa reunion è dettata più da ragioni di cuore o di convenienza?
Joe: Guarda, se avessimo voluto fare un disco di convenienza, sarebbe uscito tre anni fa. Avevamo iniziato a lavorarci nel 2020, ma proprio perché tutti noi ci tenevamo a fare qualcosa che dal punto di vista artistico avesse valore, ci siamo presi tutto il tempo che serviva.
Alex: Anche perché poi ci potremmo chiedere quale convenienza…
Joe: Ci tenevamo comunque che questo disco avesse un contenuto bello, ispirato, sincero. È anche stato parecchio combattuto. In senso buono: non è stata una cosa fatta senza difficoltà. Ma le abbiamo superate.
Alex: Ci sono delle dinamiche particolari tra di noi, sarebbe difficile perfino mettersi d’accordo su quale sia la convenienza. E non è una battuta!

Immagino. E com’è stato ritrovarsi a suonare insieme, dopo tutti questi anni?
Alex: Un po’ è stato come ritrovare vecchi amici che non vedi da tempo, e scoprire che nulla è veramente cambiato: lavorare di nuovo insieme è stato molto piacevole. D’altra parte, i nostri percorsi in questi anni non sono stati proprio paralleli, per cui è stato necessario anche confrontarsi con l’idea di combinare personalità forti ma diverse nell’ambito di un unico progetto. Ognuno di noi ha dovuto ridimensionare il potere decisionale che ha avuto in questi anni sui propri lavori. Lo sforzo maggiore è stato quello di ridiventare un collettivo.
Cesare: Facciamo un po’ di storia… Quando siamo partiti con questo disco, all’inizio del 2020, eravamo esaltati dall’idea di scrivere qualcosa di nuovo, ciascuno con la possibilità di portare un contributo derivato dalla sua esperienza solista. Abbiamo iniziato con Marco Tagliola, che fu un nostro fonico tanti anni fa, e che ha anche un certo merito nell’averci rimessi insieme. Benché pieni di entusiasmo, non tutto è filato liscio… a un certo punto infatti non ci siamo più trovati, avevamo idee diverse su cosa fare e come riproporci dopo tanto tempo; e dopo un po’ più di un anno, c’è stata una frenata. Poi sono successe due cose. Prima c’è stato un interesse della Mescal, che ai tempi stava lavorando su un disco di Joe, a ridarci delle motivazioni. E poi abbiamo deciso di affidare la produzione artistica a Matteo Cantaluppi, che, come persona super partes, avrebbe potuto prendere le decisioni sulle quali noi ci incagliavamo.
Joe: Sì, eravamo un po’ insabbiati. Avevamo tantissimi pezzi e non sapevamo quali scegliere, e avevamo, soprattutto io e Cesare, idee diverse su come chiuderli. L’idea di prendere una terza persona, che potesse decidere in autonomia al posto nostro, è quella che ci ha consentito di portare a termine canzoni che erano già pronte al 60, 70%. E col senno di poi, credo che Matteo abbia veramente saputo tirar fuori il meglio dal nostro materiale, rendendo più contemporaneo un classico disco dei La Crus, ed evitando il rischio della retorica della nostalgia.

A livello di tecnologia, c’è stato uno scarto rispetto alle vostre ultime registrazioni?
Cesare: Direi di no, il disco è stato fatto con Ableton Live, che è il software che già usavo negli ultimi dischi. Ovviamente rispetto ai primissimi tempi, quando era di moda la tecnologia del campionatore, le cose sono diverse; ma da quando abbiamo imparato a usare il computer, le modalità sono rimaste le stesse. La cosa inedita invece può essere nei campionamenti proposti da Alex, che mai come questa volta ha dato un contributo… i pezzi con le voci da donna, alcuni campioni orchestrali, certe dissonanze… diciamo che questa volta le canzoni proposte da Alex erano già in forma molto più definita, mentre invece in passato erano semplici provini chitarra e voce.

In questo, quindi, c’è un arricchimento dovuto alle vostre esperienza soliste…
Joe: Assolutamente.
Cesare: E anche dal fatto che Alex ha finalmente imparato a usare il computer!

C’è poi un aspetto molto interessante che dite a proposito dei vostri testi nella cartella stampa, che vale la pena di citare: “Avere uno sguardo politico e al tempo stesso poetico”. Che porta alla nascita di quelle che chiamate canzoni polietiche: “politiche, poetiche e soprattutto etiche”. Potete fare qualche esempio? Forse La pioggia?
Joe: Questo aspetto sta un po’ in tutte le canzoni del disco. In particolare citerei Mangia dormi lavora ripeti, che secondo me è l’ultima canzone socialista possibile, senza mai parlare di politica; contiene davvero tutte e tre le componenti della canzone polietica! Anche La pioggia la possiamo considerare tale, ma forse in quel pezzo prevale la componente poetica, mentre un’altra che risponde perfettamente alla definizione è Proteggimi da ciò che voglio.
Alex: Sono abbastanza d’accordo… Mangia dormi è molto più militante, ha un testo più esplicito, parla del fatto che pur conducendo una vita di merda non hai neanche più qualcuno contro cui ribellarti… La pioggia si svolge in modo molto più sottile, ma forse per quello porta un messaggio ancora più forte. Forse musicalmente è meno interessante, ma sicuramente dal punto di vista letterario è migliore…
Joe: Guarda: personalmente, La pioggia come canzone forse mi piace persino di più, ma io credo che Mangia dormi abbia la grandissima qualità di essere militante ed esplicita senza mai diventare retorica, e se la guardi nell’insieme, non solo per i testi ma anche a livello musicale e melodico, è uno dei pezzi più riusciti dell’intera produzione dei La Crus.

Ma i testi dei La Crus sono un lavoro collettivo o se ne occupa qualcuno in particolare?
Joe: In questo disco li ha scritti quasi tutti Alex. In passato c’era un’alternanza tra me e lui, spesso li scrivevamo a quattro mani; ma questa volta li ho toccati pochissimo, è quasi tutta roba sua.
Alex: Era anche il periodo del lockdown, ho avuto molto tempo per lavorarci…
Joe: In quel periodo specifico ho avuto anche un momento molto difficile a livello personale, facevo veramente fatica a scrivere, e anzi Alex mi ha dato una grossa mano per venirne fuori. Facevo fatica a sanguinare, come diceva Hemingway; mentre invece le cose che mi sono venute da Alex mi sono da subito sembrate molto belle.

Il fatto di coinvolgere invece qualcuno di esterno per interpretare alcune vostre canzoni, come Carmen Consoli e Colapesce Dimartino, risponde a una particolare esigenza?
Cesare: Si tratta comunque di featuring, quindi di mettere in mano a terze persone nostri pezzi per sfruttare la loro abilità di interprete. Qui è stato decisivo il lavoro di Matteo Cantaluppi, perché avevamo bisogno di un paio di canzoni di maggiore impatto per poterci ripresentare al pubblico, lasciando invece ad altri episodi dell’album il lato più sperimentale, e aggiungendo magari un colore diverso a pezzi che sentiamo molto nostri. In brani come La rivoluzione o Mangia dormi lavora ripeti il contributo alla produzione è stato molto importante.

Ora immagino che ci sarà un tour, e avendovi visti nella vostra primissima uscita a Reggio Emilia lo scorso novembre, devo dire che sia la sezione ritmica, sia Chiara Castello alle tastiere, rendono la band molto efficace.
Joe: Questi nuovi ingressi hanno contribuito molto a rinfrescare il suono. Adesso Chiara fa con la voce quello che su disco è fatto dalla tromba e il riscontro che abbiamo avuto nell’ultimo concerto (che si è svolto a Pesaro lo scorso 16 marzo, ndr) è stato molto positivo. Però, al di là dei live, che comunque saranno una bella cosa, io sono anche molto curioso di scoprire come sarà recepito questo disco, che non è così immediato e richiede più di un ascolto. Con tutta la fatica che abbiamo fatto per portarlo a casa, mi incuriosisce molto sapere come sarà accolto. Per me, dopo i primi tre, è il disco più bello dei La Crus.

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