Malika Ayane a Sanremo 2021: «Se la vita ci dà limoni, facciamo un whisky sour» | Rolling Stone Italia
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Malika Ayane a Sanremo 2021: «Se la vita ci dà limoni, facciamo un whisky sour»

Ovvero: come fare musica e ritrovare sé stessa in tempi di pandemia, partecipare al festival con 'Ti piaci così', pubblicare 'Malifesto' dopo il percorso accidentato di 'Domino', uscire viva da X Factor

Malika Ayane a Sanremo 2021: «Se la vita ci dà limoni, facciamo un whisky sour»

Malika Ayane

Foto: Julian Hargreaves

Il ritorno di Malika Ayane è irradiato di buon umore, tanto che nell’incontro – rigorosamente su Zoom – la cantante è sorridente, serafica, bella, con quell’ironia che non abbandona mai (per fortuna!). In più, ha una grande dote: ammalia l’ascoltatore mentre soppesa le parole, mentre parla, è come una sirena che ipnotizza e noi, piccoli Ulisse non legati ad alberi di navi, cadiamo in preda della sua voce che vorremmo ascoltare per ore.

Ma la Ayane è anche tra i big del Festival di Sanremo più difficile di sempre, quello all’epoca del Covid-19, con il brano Ti piaci così. È il primo tassello del suo Malifesto, nuovissimo album che uscirà a marzo. Curiosi di vederla sul palco dell’Ariston in questa ulteriore e inedita veste artistica (nella serata dedicata alla canzone d’autore intonerà Insieme a te non ci sto più di Caterina Caselli), abbiamo parlato un po’ con lei del percorso che l’ha portata fino a qui.

Cosa ti spinge a tornare al festival?
La riflessione che ho fatto nei mesi della pandemia.

Cioè?
Mettendo in discussione tutta me, montandomi e rismontandomi. Al netto di un’analisi così certosina devo pensare a cantare. In un momento in cui le persone sono chiuse in casa, tristi, imbruttite o preoccupate, è straordinario fare una cosa buona facendo quello che più mi fa stare bene. Sarebbe sciocco non farlo. E poi il festival mi ha dato grandissime gioie. Mi ha permesso di intraprendere un percorso di sperimentazione. Se non ci fosse stato Sanremo, non sarei riuscita a fare i lavori degli ultimi anni con tanta leggerezza e senso libertà.

Hai detto che hai smontato e rimontato te stessa. Da cosa è nata questa necessità?
I mesi chiusi in casa. Dopo che hai finito di pulire casa con lo spazzolino ti trovi con te stessa (ride). Poco prima del lockdown stavo facendo ragionamenti sui progetti nuovi.

Tipo?
Stavo pensando cosa avrei voluto fare, se una raccolta, un album, se concentrarmi più sull’estero. Facevo pianificazioni immaginando un tempo eterno, con una qualità di realtà cui eravamo abituati: quel poter viaggiare facilmente, le santissime low cost e condizioni di vita che ti facevano dire «Wow, non è così male essere nati in questo secolo».

E poi?
Dal momento in cui crolla tutto ci si rende conto che, quello che resta sei tu con quello che senti. E ciò che ti ha spinto a fare determinate scelte nella vita. Nel momento in cui non si hanno più dei piani bisogna – non ritrovare la motivazione, per quella non l’ho mai persa – ma riconsiderare le cose essenziali.

Quali sono, per te?
La fame, nel mio caso. La fame di andare cantare e spettinare chi mi ascolta, perché dentro la mia voce c’è tutta me. Era quello che mi ha reso – prima della scelta del suonino x o y – quella che sono. Non sarei diventata Malika Ayane se il mio cantare non avesse convinto emotivamente altri.

Hai dichiarato che Ti piaci così può essere considerata una canzone sull’auto-amore e la lucidità. Mi spieghi meglio?
Sono una persona molto amata, per fortuna sono una portatrice sana di amore altrui, almeno fin qui il bilancio non è male (ride). Il discorso dell’auto-amore lo collego a quelli come noi, spinti dalla passione. Tutto parte dall’amore, se il centro non è quello che provi per te, finisce che ci si trova a vivere con l’amore – nel caso del rapporto con le persone – per una parte che vedono di te. E ugualmente si rischia di cadere in un amore da parte degli altri, solo perché non siamo attenti noi, ad amarci a sufficienza. Una cosa che si capisce con l’esperienza, con gli anni che passano. La stessa cosa vale per le aspettative.

Vale a dire?
Quando ti stai spezzando in due, lavori, sei onesto in quello che dici, lo fai con sincerità, ci sta che non rispetti le aspettative degli altri, non è un problema, non bisogna fustigarsi. Spesso siamo sotto pressione tutti quanti: c’è questa ansia di dover appagare una richiesta esterna, dimenticandoci cosa volessimo fare, prima di tutto.

Questa cosa che stai dicendo sulle aspettative si lega a Domino, l’album precedente?
È stato commercialmente un disastro, lo possiamo dire serenamente. Non ho mai avuto delle recensioni così eccellenti, credo di aver fatto un ottimo lavoro, da me ci si aspettava una cosa più radiofonica. Adesso presento un pezzo altrettanto onesto. Non volevo fare il pezzo paraculo, l’ho fatto con la stessa intensità, lo stesso impulso, la stessa onestà di Quanto dura un’ora, per capirci. Però è una cosa diversa. E mi sento dire che da me ci si aspetta qualcosa di più intellettuale, strutturata.

Che risposta ti sei data, relativamente a queste considerazioni?
C’è sempre una proiezione, di chi hai intorno, su quello che sei. Non penso che l’indifferenza verso le aspettative e il parere degli altri sia una strada. Anzi, lì è la morte dell’arte e della persona, di quello che di buono può dare. Dal momento in cui si inizia a guardare, con lucidità, alle motivazioni per cui succede una cosa, ad analizzarle, ben consapevole dell’onestà di un lavoro, allora ci si rilassa. Adesso mi viene da ridere, tipo che se avessi fatto una ballad mi avrebbero detto che l’avevo già fatta nel 2015. Ho imparato a ridermela un sacco. Tanto la qualità del lavoro non viene intaccata. Certo, il risultato commerciale è importante, ma per Domino ho visto come sono andati i miei live. Come sempre farei qualcosa in un altro modo, ma il senno di poi è il peggior alleato che si possa pensare di incontrare, lungo la strada.

Hai detto che questo brano che porti all’Ariston è sulla consapevolezza. Proprio nell’anno in cui il festival – che doveva essere della rinascita – è diventato quello, guarda un po’, proprio della consapevolezza.
Sono sul pezzo (ride)!

A questo proposito, cosa non ti godevi prima?
Sono talmente noiosa da cercare il pelo nell’uovo, il difetto. Sono quella che fa la festa e non se la gode per vedere se tutti si stanno divertendo. Un approccio di una pesantezza devastante: pensa a quante feste mi sono persa per essere la precisetti. Ma quando si rimane da soli è con te che parli.

Capito. Prima di parlare dell’album vorrei chiederti una cosa: nel gioco delle aspettative disattese, in questo percorso di consapevolezza, che ruolo ha avuto la tua esperienza come giudice di X Factor? Mi sembra non sia stato come te lo aspettavi.
Ha avuto un ruolo anche quello. È stata un’esperienza interessante, visto che mi era stato proposto da tanto tempo. E sono dell’idea che, invece di fare duetti a caso, sia meglio fare esperienze diverse. Proprio per mettersi alla prova.

Qual è stato il problema?
Il filotto televisione-clausura. La tv è totalizzante e, forse, non ero pronta a essere aspirata da tutta la mia autonomia. Più che diverso da come mi aspettassi, ho una visione a volte idealista delle cose, ma la musica è una questione e la televisione è un’altra. Sono io una sciocca a pensare che si trattasse della stessa cosa.

Hai comunque imparato qualcosa…
Sempre, sono una che non rinnega mai. È questo il discorso della consapevolezza. Mi concentro sulle cose da sistemare, ma sono fiera e serena dell’impegno messo. Se poi avessi una sfera di cristallo arriverei più preparata alle cose.

Durante il lockdown hai creato anche il profilo Instagram Decameretta, per mettere in contatto i tuoi fan.
Ero la bidella, il pretesto per fare avvicinare alcune persone. Ed era bello come tutti dessero il loro contributo per combattere l’abbrutimento della clausura. Mi raccontano come stanno proseguendo le loro vite, è sempre bellissimo essere coinvolti nelle storie degli altri.

Malifesto che album sarà?
È il succo di tutto l’esperienza accumulata in cinque album, scritto e realizzato velocemente, di impulso. L’anomalia è proprio il brano di Sanremo.

Come mai?
Fino a dicembre non sapevo se volessi fare un disco, fare un album non era la priorità. Trovandomi a co-scrivere sono venute fuori delle fotografie di emozioni, sempre con un’attenzione particolare al presente. E, se vogliamo, sempre con una condivisione. È esplicitato quanto certe cose siano universali, oltre che particolari. Siamo tutti umani, proviamo tutti le stesse cose.

A livello musicale cosa dobbiamo aspettarci?
È suonato con pochi strumenti ed è uno di quei lavori che comprerei se anche non fosse mio. Per cui non sento la minima ansia. Se non piacerà non avrò sbagliato io. Sto scherzando (ride a lungo, di gusto). A parte gli scherzi: è talmente onesto che prende direttamente allo stomaco.

Ci sono duetti?
No, ma c’è una bella squadra di autori, il duetto, per me, è nella parte precedente. E non è da poco: scrivere insieme è molto intimo.

Chi figura come autore? Immagino Pacifico…
Naturalmente. E poi Colapesce e Dimartino, Dimartino da solo, Leo Pari, Shridhar Solanki, con il quale collaboro da qualche disco, Alessandra Flora e poi ci sono autori belgi. C’è un bel circo, ci siamo divertiti.

Hai sentito Musica leggerissima, il brano che Colapesce e Dimartino portano a Sanremo?
No, ma sono sicura sia splendido. Io stavo realizzando Ricreazione mentre loro facevano le loro produzioni. Sono una grande sostenitrice che il tempo sia gentiluomo. Sarebbe ora che l’Italia si accorgesse quanto siano fighi quei due tipi lì. Anche il disco scorso glielo passava il gruppo di Rtl 102.5. Un passetto alla volta: l’ossessione del successo è l’unica cosa sbagliata, nella vita.

Restiamo in tema Sanremo. Viste le polemiche, al di là del fatto che partecipi, per te si doveva fare?
Ma proprio sì. Torniamo al punto di partenza: perché partecipare? Perché la gente a casa non ha più niente. Sanremo significa un sacco di posti di lavoro, forse i meno importanti siamo noi, perché sostituibili. Ma ci sono tutte le maestranze, gli orchestrali, le produzioni, le persone che lavorano in Rai – e magari rischiano esuberi – e quello che succede con gli sponsor e che permette di ridistribuire. Oltre a fare bene alla comunità, per l’intrattenimento, è anche un’importante risorsa economica per il Paese. Anche perché, se chiudono Sanremo, non è che non va in onda niente. Stiamo tutti a casa a punirci perché non si può andare a teatro. Anche io sono arrabbiata perché non posso andare a teatro, ma se la vita ci dà i limoni, facciamo un whisky sour.

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