Luciano: «Non so come faccio a essere ancora vivo» | Rolling Stone Italia
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Luciano: «Non so come faccio a essere ancora vivo»

«La morte di Avicii mi ha spinto a parlare» ci ha raccontato il DJ, che un anno fa ha rischiato la vita per colpa di una vita sregolata, fatta di aerei, jet lag, dipendenze e depressione. Così che tragedie simili non debbano più succedere.

Luciano: «Non so come faccio a essere ancora vivo»

Luciano se l’è vista davvero brutta. Più o meno un anno fa, un infarto ha messo il DJ alle corde, facendogli aprire finalmente gli occhi sulla propria vita. La bestia da consolle, capace di far sudare 7000 persone per 4 ore all’Ushuaia di Ibiza, si è resa conto di non essere invincibile. E quella vita sregolata senza distinzione di fusi orari, farcita di droghe, psicofarmaci e alcool lo stava portando sempre più velocemente in un abisso di ansia, depressione e alienazione totale.

Il primo step è passato necessariamente per due mesi in clinica di disintossicazione, ma il secondo, il più difficile, è stato tornare alla vita frenetica di sempre. Stavolta, senza alcun aiuto sintetico. Per un lungo anno Lucien Nicolet (il vero nome) si è tenuto tutto dentro, senza parlarne pubblicamente fino a qualche giorno fa. La tragedia di Avicii, insieme all’anniversario del primo anno da sobrio, lo hanno spinto a scrivere un lungo status su Facebook in cui ha spiegato tutto ciò che ha vissuto e quanto sia difficile per un DJ di fama mondiale aprirsi pubblicamente sui retroscena di una vita che pare scintillante da fuori, ma non lo è affatto. Ora, a 40 anni e 4 figli, il DJ metà cileno e metà svizzero non ha più niente da nascondere. Domani, 11 maggio, suonerà ai Magazzini Generali di Milano, una bella occasione per conoscere il vero Luciano.

Sei a casa?
Sì, sono qui con i miei bambini. Sono stato tutta la settimana a casa ma domani torno di nuovo on the road.

Fai meno date di prima?
In realtà il numero non è cambiato. Ne faccio 100-120 all’anno praticamente.

Beh, sappi che sei stato coraggioso ad aprirti così, pubblicamente.
È stato un momento importante della mia vita. E per me era importante condividerlo con tutti. Non potevo più nascondermi.

Pensi che le dipendenze e la vita alienante del DJ siano ancora argomenti tabù?
Non è un tabù. Più che altro è un’area totalmente sconosciuta. La gente non ha idea di cosa c’è dietro. Magari leggi un libro che ti racconta di quanto è figo vivere rock n roll e quanto è bello andare in tour. Ma fidati: la techno è il rock n roll moltiplicato per tre. Facciamo centinaia di show all’anno. Noi non suoniamo in concerti da un’ora/due ore e poi andiamo in albergo con le groupie. No, noi mettiamo dischi 3, 5, 7, 10 ore di fila e questo succede dalle 3 alle 5 volte a settimana. Viaggiamo fino allo sfinimento. Una notte siamo a Tokio e la notte successiva a Città del Messico. Non esiste un momento di pausa: quando l’estate finisce di qua, inizia dall’altra parte del mondo. È letteralmente estenuante. Non facciamo concerti alle 9 di sera ma iniziamo alle 2 e può succedere di finire il set alle 7 o alle 9 di mattina. Poi dormi due ore, prendi un aereo e sei da capo. Non è un tabù, è semplicemente difficile dire alla gente che questa è una vita durissima. Non lo dici perché tanto non ti capirebbero, e online si sprecherebbero i commenti tipo: “Ma guarda un po’ questo qua, che si lamenta per la sua vita sempre su un jet, in posti da favola a guadagnare barcate di soldi”.

Capisco perfettamente.
Non è un tabù, è solo che tutti noi DJ impariamo a tenerci tutto dentro e soffrire in silenzio. Perché se apriamo bocca, veniamo accusati di essere dei lamentoni. Ecco il vero problema, è che abbiamo proprio paura a parlare. Sono vent’anni che faccio ‘sta vita e non so davvero come cazzo faccio a essere ancora vivo, ti giuro. È un miracolo che mi regga ancora in piedi. Per questo la notizia della morte di Avicii mi ha sconvolto, perché potrebbe essere successo a me. O peggio a mia figlia, che ha 17 anni. È qualcosa di terribile arrivare al punto di prendere coscienza della situazione e togliersi la vita. Il mio è stato un suicidio silenzioso, isolato e in solitudine, solo che è stato lentissimo, durato 22 anni. Ho fatto after più di chiunque altro. Per fortuna ho avuto una seconda possibilità. Ora continuo a fare il mio lavoro in pace, senza distruggermi. Ora faccio sport, mi prendo cura di me stesso, mi riposo. Ma è stato difficile.

Dici che Avicii è rimasto solo per troppo tempo?
Nessuno può dirlo, è impossibile e non bisogna giudicare queste cose. Non è colpa nessuno se è successo. Ma ci sono così tanti fattori che influiscono in una decisione così estrema. Dipende dalla sensibilità interiore, dal dolore e dall’ansia, dal deficit di sonno, dai disordini dell’umore dovuti all’abuso di droghe, alcool e farmaci. Lui ha anche provato a smettere di andare in tour, non suonava da due anni ormai. Ma quando sei così giovane e vieni catapultato nelle fauci dello showbusiness devi essere forte. Devi sopravvivere e soprattutto renderti conto che è molto, molto difficile uscirne. Ed è vero che fai soldi, ma li fai perché dietro c’è un’industria che ne fa il triplo. E che ti spreme, che ti spinge e ti pressa per continuare a guadagnare. Lasciare non significa smettere di suonare, significa avere a che fare con gente che ti dice: “Amico, abbiamo bisogno di te per fare una montagna di soldi”. Ecco perché il DJ non ha il coraggio di aprire bocca, perché nessuno gli darebbe retta e passerebbe per stronzo.

Quindi hai deciso di punto in bianco di partire e andare in clinica di riabilitazione?
No, prima ho avuto un incidente. È stato un anno fa, dopo nove giorni di vita all’eccesso. Anzi, dopo 20 anni di vita all’eccesso. Prendi pastiglie per svegliarti, per addormentarti, per digerire. Prendi droghe di ogni tipo per tirare avanti nottate intere in consolle. Praticamente inizi a medicarti da solo, diventi il dottore di te stesso, con la piccola differenza che non sei un vero dottore quindi stai facendo danni. E un dottore vero non potrebbe mai seguirti, perché sei su un aereo 5 giorni a settimana. Puoi anche andare da un medico diverso in ogni nazione in cui vai, ma non conoscendoti finirà sempre per prescriverti le stesse cose per gli stessi sintomi. Nessuno ti dirà mai “ehi, guarda che devi smettere, devi stare all’occhio” perché sei il clown dell’industria, sei la loro marionetta e saranno sempre tutti pronti a saltare più lungo di te. È impossibile difendersi da certe cose. Così, un giorno, a casa, il mio cuore ha iniziato a comportarsi in modo strano, così ho chiamato l’ambulanza. All’ospedale mi hanno detto chiaramente: “Nel tuo sangue c’è troppa roba. Se non la smetti morirai molto presto.” Ero già arrivato al punto di volere un cambiamento radicale nella mia vita, ma non sapevo come dire alle persone che mi stavano attorno che la mia vita non era più così divertente e che mi stavo distruggendo. L’infarto mi ha dato la forza di cercare un posto dove sparire. Ho trovato un posto bellissimo in Tailandia, un posto dove stare lontano da tutto, tutti, e dove studiare 5 ore al giorno. Studiavo argomenti come utili come la meditazione, ma anche depressione, ansia, dipendenze, droga. Tutte cose di cui nessuno ti parla ma che ti succedono inevitabilmente quando prendi qualcosa. Ho preso coscienza di me stesso, ho smesso di odiare me stesso, pensare non solo a divertire migliaia di persone davanti alla consolle ma anche pensare a ciò che diverte me.

Ti sei semplicemente lasciato in pace.
Esatto, e soprattutto sentire la pace in me. Dopo una scelta del genere sapevo che qualcuno mi avrebbe odiato e qualcuno amato. Ma non mi importava. Sono stato in clinica cinque settimane, perché non potevo stare più a lungo. Al mio ritorno molti amici erano preoccupati perché sono saltato subito nelle fauci dello showbiz di nuovo, mentre molti consigliano di prendersi del tempo per stare con i propri cari. Una cosa per volta.

Quindi sei tornato di botto a fare la vita di prima ma senza sostanze varie?
Sì, e ora mi godo le serate più di prima. Sono più in forma, anche se ogni tanto avverto la stanchezza. Ma sai una cosa? È una stanchezza sincera, che risolvo dormendo. È ancora una battaglia dura contro i jet lag, ma almeno ora ho una mente e un corpo limpidi. Ora sono semplicemente onesto con me stesso. Se sono stanco, significa che sono stanco. Ho smesso di mentire a me stesso, e la voglia di fare non mi manca mai. Ora ho una nuova residency all’Ushuaia di Ibiza.

Ora ho visto che ti interessi al giardinaggio.
Sì, la felicità nelle cose semplici. Può sembrare banale, ma complicazione e tristezza vanno a braccetto. Non sono un fanatico del giardinaggio, ma mi piace stare all’aria aperta in mezzo al verde con tutti i miei bambini che corrono qua e là. Tutte cose che mi portano serenità. Ho 4 figli e un giorno li ho presi da parte e ho detto: “Ragazzi, papà è malato, come quando vi viene l’influenza.” E come le persone malate ho dovuto mettercela tutta per guarire. Se c’è una cosa che ho imparato è rallentare, sia nella testa che nel corpo. È stato necessario, ho visto troppe persone morire, a partire dal mio ex manager. Non posso più fare la vita di prima. Non voglio più vergognarmi di me stesso. La vita mi ha dato una seconda chance, perché sprecarla? Io amo la vita.

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