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Louis Tomlinson crede ancora nel futuro

L'ex One Direction pubblica il secondo disco che ha un titolo che è tutto un programma, 'Faith in the Future', e ci racconta perché è così importante: «Finalmente sento che sto facendo quello che dovrei fare»

Louis Tomlinson crede ancora nel futuro

Louis Tomlinson. Foto: Edward Cooke

Mica c’è solo Harry Styles: nonostante il nostro cover boy stia vivendo il suo momento d’oro tra cinema, dischi e tour, non significa che i suoi ex compagni di gruppo siano stati con le mani in mano. In questo caso parliamo di Louis Tomlinson, che venerdì 11 novembre pubblica il secondo disco da solo. Disco che ha un titolo che è un programma: Faith in the Future. Hai voglia di avere faith in the future, nel 2022, tra pandemia, guerre e disastri climatici. Ma sapete come si dice: gente allegra, il ciel l’aiuta. Forse Tomlinson è uno di questi: «Credo di esserci nato un po’ così, ottimista. Una forma di resilienza innata. Per lavorare al disco sono partito proprio dal titolo. Da lì ho lavorato alle canzoni, a quello che volevo dire». Una ricerca di musica e parole che ha impiegato un po’ di tempo. Il suo primo disco, Walls, è uscito nel 2020 anticipato da qualche singolo negli anni precedenti. Ma con questo lavoro è tutta un’altra storia: «Quando esci da una band come i One Direction ci vuole tempo per capire chi sei, capire qual è il sound che stai cercando, cosa vuoi dire, come lo vuoi dire. Ci ho messo un po’ e mi sento molto più a mio agio con questo secondo disco rispetto al primo. La cosa più importante per me è l’autenticità, e facendo questo disco mi sono sentito vero come mai prima».

Ma come si fa a sentirsi veri, dopo che si esce da una delle boy band più famose del pianeta e tutti hanno delle aspettative su di te? «Lavorando alle canzoni senza pensare al singolo radiofonico o a quelle cose lì. Ogni canzone del disco è importante come le altre e ha una sua storia. Credo si senta. C’è più profondità rispetto al mio primo album, e credo che siamo stati anche più coraggiosi rispetto alla produzione, ai suoni. I miei fan l’hanno capito, mi scrivono che sto finalmente facendo quello che dovrei fare. Questa cosa mi piace tantissimo».



Dodici anni sulla scena, i 1D si sono formati nel 2010, 12 anni che per la discografia sono 30, visto come è cambiato tutto. Dodici anni fa Spotify non c’era, non c’era TikTok e quindi nemmeno gli artisti che dovevano fare TikTok per far diventare i brani virali. Meglio prima o meglio ora? La risposta crediamo di saperla, ma lo chiediamo a uno che con i social ci ha avuto a che fare da subito, soprattutto con Twitter, playground delle Directioner di tutto il mondo che ogni anno festeggiano ancora anniversari e compleanni della band facendo entrare in tendenza gli hashtag come se fosse ancora l’anno di Steal My Girl.

«Sento chiaramente che c’è stato uno shift rispetto a quando ho iniziato, sì, anche se io TikTok non lo uso. Ho da sempre avuto una relazione importantissima con i social. Hanno avuto un effetto grandissimo sulla carriera dei 1D. Ci hanno dato opportunità di dialogare direttamente con i fan. E mi hanno dato la possibilità di avere una sorta di spazio tutto mio dove poter dialogare con loro e pensare meno alle altre dinamiche che abbiamo detto prima. Ci sono stati un sacco di cambiamenti, sì, ma per me, per quello che ho visto nella mia carriera, l’unico utilizzo che posso fare dei social è quello di essere lì per i fan, che poi sono l’unica ragione per cui faccio quello che faccio. Ogni volta in cui annuncio disco, un singolo, un tour, c’è sempre un’accoglienza incredibile. Poi sì, lo uso meno rispetto al passato. Può essere tossico, la gente si nasconde dietro a nomignoli e dice quello che vuole senza pensare alle conseguenze. Ma ripeto, ho questa relazione così grande con i miei fan che il resto mi interessa poco». E, passano gli anni, ma le fan di allora restano: si accampano fuori dai posti in cui suonerà, sotto alle radio dove lo intervistano. È successo anche qualche settimana fa, a Milano, location dell’ultimo concerto del suo tour mondiale.

Louis Tomlinson. Foto: Edward Cooke

Parlando di musica, nel primo singolo di questo progetto, Bigger Than Me, Louis canta: “You’re so quick to judge ‘cause, yeah, I mighta changed but everybody does”.  Ci si sente giudicati per non essere più un ventenne che fa cose da ventenne? «Nel lavoro che faccio c’è un sacco di giudizio, ci sono un sacco di opinioni. Bisogna essere forti, sicuri delle proprie decisioni. Non è facile».

Negli ultimi anni, dopo lo scioglimento dei 1D, Tomlinson qualche decisione l’ha presa: ha messo su famiglia, è diventato padre, ha fatto televisione (giudice di X Factor insieme a Simon Cowell, Robbie e Ayda Williams). E cosa direbbe il Louis di ora, trentenne e padre, a quel ragazzino che dodici anni fa passava le selezioni del talent di Simon Cowell? «Credo che qualsiasi cosa gli potrei dire non mi crederebbe, man! È qualcosa che ha superato ogni mia immaginazione. Probabilmente gli direi solo “occhio che arrivano robe fighe”». Dategli torto.

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