Litfiba: ritorno alle origini | Rolling Stone Italia
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Litfiba: ritorno alle origini

Pochi giorni prima del concerto col quale i Litfiba metteranno fine alla loro storia, siamo entrati con Piero Pelù e Ghigo Renzulli nella cantina in Via dei Bardi dove provavano quarant'anni fa. Lì ci hanno raccontato la loro storia rocambolesca, tra alti e bassi, successi e drammi, underground e mainstream

Foto: Carmine Romano

«Quando ho fatto 60 anni mia moglie mi ha chiesto: ma te con la pensione come sei messo? E io: ma come la pensione? Non ci ho mai pensato!», racconta divertito Piero Pelù, seduto al tavolo di un ristorante nel centro di Firenze.

Gli risponde sornione Ghigo Renzulli, al suo fianco: «Io in realtà la potrei già prendere perché per l’Enpals puoi andare in pensione a 62 anni», scatenando così la reazione ironica del compare di una vita: «E perché non l’hai già fatto?!?».

Dopo un paio di bicchieri di vino e qualche giro di amari, i due membri fondatori dei Litfiba si confrontano sereni su anni lavorati, contributi versati, sistema previdenziale e quel che sarà dopo l’ultimo concerto della loro storia, in programma il 22 dicembre al Forum d’Assago, data finale dell’Ultimo Girone Tour: una trentina di show trionfali su e giù per l’Italia e un poker di live in Europa – Parigi, Bruxelles, Zurigo e Losanna – fissati per chiudere in bellezza 42 anni di carriera.

Prima di congedarsi dai propri fan – chissà se, davvero, una volta per tutte – il cantante Piero Pelù (classe 1962) e il chitarrista Ghigo Renzulli (69 anni compiuti il 15 dicembre) scelgono Rolling Stone per ripercorrere alti e bassi della leggenda Litfiba, dalle prime e umide prove in cantina all’inizio degli anni ’80 all’epocale exploit in classifica a fine ’90, quando la band era di fatto già sciolta, passando per sgangherati live all’estero, piani decennali dal gusto sovietico, una discografia a dir poco ricca e variegata, cambi di formazione che hanno segnato il corso della musica alternativa italiana, concerti negli stadi supportati da band come i Ramones, piacevoli eccessi e prematuri, devastanti decessi.

Perché almeno un lutto – la morte per overdose dello storico batterista Ringo De Palma, amico di Pelù fin dai tempi della scuola – ha rischiato davvero di mettere la parola fine alla loro storia, prima del successo definitivo e la consacrazione dei Litfiba come più grande gruppo rock del nostro Paese.

Incontriamo Piero e Ghigo in una mite mattinata di inizio dicembre da Contempo, storico negozio di dischi e prolifica etichetta per cui sono uscite altre glorie locali come Diaframma e Pankow nonché band di culto tipo Death SS e Christian Death.

Ovviamente, nel catalogo Contempo ci sono anche i Litfiba e quindi, pur non essendo questa la prima storica sede del negozio, è un luogo più che significativo per raccontare quel che era la Firenze anni ’80 e gli esordi del gruppo. Iniziamo così, parlando di musica, sepolti da migliaia e migliaia di vinili.

Ricordate il primo album che avete comprato da Contempo?
Ghigo: Il vinile di un gruppo punk che si chiamava Nuns. In copertina c’erano i tipi della band vestiti da suore e la cantante Jennifer Miro, fighissima, con l’impermeabile leopardato. Era un miscuglio stranissimo: una punk band con lei che cantava da dio e suonava la spinetta. Bellissimo.
Piero: I primi due dischi che mi vengono in mente sono un bootleg di Iggy Pop con David Bowie nel periodo berlinese, era il tour di The Idiot o Lust for Life, con loro nudi in copertina, una rarità pazzesca. E poi l’ultimo bootleg del live dei Sex Pistols al Winterland di San Francisco.

Dove c’erano di supporto gli Avengers e proprio i Nuns!
Piero: Ah, non lo sapevo! E poi devo annotare il secondo album dei Saints: Eternally Yours, il primo punk con i brass dentro, un’intera sessione di fiati, incredibile. Il cantante Chris Bailey viveva a Parigi negli anni ’80, quando noi eravamo spesso lì, ma non sono mai riuscito a incontrarlo, si diceva non fosse messo tanto bene…
Ghigo: E poi ricordo che comprai da Contempo il secondo disco degli Ultravox, Systems of Romance
Piero: No, Systems of Romance è il terzo, con John Foxx in copertina!
Ghigo: Ha! Ha! Ha! sarebbe il secondo allora?
Piero: Sì, il secondo… Il primo è quello bellissimo prodotto da Brian Eno, se non sbaglio.
Ghigo: Quindi ho il secondo e il terzo, pensate che li ho visti anche in concerto, nel 1979 al Marquee di Londra.

Una curiosità, a proposito di punk e del vostro successo. Nel 1991 avete suonato allo stadio di La Spezia con i Ramones di supporto. Vi ricordate quella data?
Ghigo: Certo, io ero quasi imbarazzato. Mi faceva strano che loro ci facessero da supporto perché ero un grande fan. Ho solo un rammarico: non essere riuscito a parlarci, ma non si parlavano neanche tra di loro perché non ricordo se il cantante o il chitarrista aveva fregato la ragazza all’altro.
Piero: Ricordo che il palco era davanti alla curva ovest dello stadio e quando i Ramones iniziarono il loro check, Joey venne fuori dai camerini: noi avevamo appena finito di fare il soundcheck e l’ho proprio incrociato, era alto due metri e storto come la torre di Pisa! Sono riuscito a parlarci pochissimo, il mio inglese era scarso ed ero intimidito, per me era come incontrare Iggy Pop.

Foto: Carmine Romano

Passando in rassegna i dischi esposti negli scaffali di Contempo e parlando di canzoni e band, Piero Pelù e Ghigo Renzulli si scaldano ancora con l’entusiasmo tipico dei teenager di un tempo, per esempio dibattono a lungo su chi sia l’autore di Wild Thing, pezzo garage reso celebre dai Troggs e suonato da chiunque, Jimi Hendrix compreso. Ripartiamo dunque dai baby Litfiba e il 1979 a Firenze.

Com’era la vostra città quando avete iniziato a suonare?
Piero: Firenze godeva di un periodo storico incredibile: era una città poco industrializzata, con molti artigiani e poche fabbriche. Quindi i movimenti operai non erano forti come in altri posti, ma la città ha sempre avuto una forte coscienza di sinistra e progressista considerato anche il passato partigiano, la Linea gotica, e, soprattutto, aveva un’apertura mentale pazzesca, già dagli anni ’50 e ’60. La prima discoteca gay italiana è nata a Firenze: il Tabasco in piazza della Signoria. E poi per esempio c’era la Romanina, la prima donna che ha cambiato sesso in Italia: ora abita a Bologna, ma è vissuta e ha lavorato qui a Firenze negli anni ’70. Era più bella di Amanda Lear!
Ghigo: Firenze in quegli anni era un gigantesco movimento giovanile a 360 gradi. Continuano a scrivere tanti libri su quel periodo, un antesignano in questo senso è il nostro primo manager Bruno Casini (autore tra l’altro di Frequenze fiorentine, affascinante volume sulla Firenze degli anni ’80 pubblicato da GoodFellas, nda). C’erano il teatro, la danza, l’arte, la moda e gente da ogni parte del mondo che suonava per strada. Il centro era una grande Woodstock e io… mi sono fumato mezzo Marocco!

Qual era e qual è oggi la differenza tra Firenze e Bologna, un’altra città importante per la musica e le sottoculture italiane?
Piero: Per quanto riguarda la musica, Bologna è più strutturata rispetto a Firenze, ha continuato a sfornare nuovi talenti, mentre Firenze si è un po’ fermata.
Ghigo: Però i fiorentini sono durati più a lungo (risate).
Piero: Firenze ormai è diventata Florence, ha abdicato al turismo, Bologna no. Ormai qui si è passati dall’arte ai turisti in fila dietro a un cartello. Da quando le lobby hanno capito che con il turismo si sarebbero fatti i ponti d’oro e riempito i materassi di soldi al nero, tutto è aumentato e le famiglie fiorentine sono scappate verso Scandicci o Sesto Fiorentino, dove rivedo in parte la Firenze degli anni ’90, un modo di vivere più tranquillo, gentile e disponibile al dialogo per strada.

Ma voi vivete ancora a Firenze, giusto?
Piero: Sì, ma non ci sto mai per più di un mese e mezzo di fila, a un certo punto devo scappare e faccio un viaggio per ricaricarmi…

Foto: Carmine Romano

Piero Pelù è tornato da poco dal Marocco e nel corso della giornata, passando davanti alle profumerie fiorentine, parlerà con grande trasporto delle essenze dell’Oman. Ghigo, invece, appena arrivato da Contempo si lamentava delle difficoltà nel trovare parcheggio.

Ghigo: È difficile che io venga in centro perché la macchina sotto al culo è diventata una gran comodità.
Piero: Io giro sempre in bici…
Ghigo: Sì, ma perché tu stai in una zona per cui non ti devi fare la collina della Senese! Io sto al Galluzzo, prima di arrivare a Porta Romana ce n’è da fare di strada…
Piero: Ghigo, allora ti regalo una bici elettrica (risate).

Prima abbiamo citato David Bowie e, considerato che siamo da Contempo, un vostro singolo prodotto da loro è stato proprio Yassassin, una cover di Bowie. Come mai avete scelto quella canzone, certamente non uno dei suoi pezzi più celebri?
Piero: Eravamo tutti fan di Bowie e il nostro manager Bruno Casini ci propose di partecipare a una Bowie Night all’Altromondo di Rimini. Le altre band avevano già scelto i pezzi da fare e a noi non rimaneva molto, allora ci buttammo su questo pezzo di Lodger, un capolavoro inarrivabile. L’abbiamo fatto perché c’era di mezzo la storia degli hashashin, i fumatori di oppio che andavano per procura o rito a uccidere le persone, e poi era un periodo in cui avevamo già scritto Onda araba, Notte a Dubai, Versante est, io mi ero soprannominato Piotre degli Urali, sentivamo molto il fascino delle culture orientali.
Ghigo: E poi c’era il video con la rappresentazione in cui io facevo il Papa!
Piero: E io ero Ali Agca! Considerato il fattaccio dell’attentato al Papa, avevo pensato che un assassino turco potesse essere in effetti Ali Agca che tentava di uccidere il Papa. Eravamo già dentro la storia contemporanea.
Ghigo: Accenniamo Yassassin anche in questi ultimi live, è un intermezzo di un altro pezzo dell’epoca, Istanbul.

Ma da dove arrivavano le influenze musicali non occidentali?
Piero: A Firenze c’è sempre stato Musica dei Popoli, uno storico festival dedicato alla world music ormai arrivato alla 64esima edizione. Ma in quegli anni era difficile reperire materiale, quindi quando qualche amico partiva per l’Est o il Medio Oriente gli chiedevo di portami una cassetta. Così, per esempio, il mio caro amico Corso Salani (attore e regista, autore tra l’altro del video di Guerra, cercatelo su YouTube, nda) mi portò dall’Ungheria una cassetta dove c’erano pezzi con il violino incredibili e da lì sono nate canzoni come Tziganata, che hanno segnato la nostra fortuna in Francia.

Visto che citate la Francia, vi leggo un messaggio WhatsApp che mi ha inviato un amico la scorsa estate: «A un banchetto di dischi becco un francese che, in ottimo italiano, mi dice che ha visto i Litfiba a Marsiglia nel 1988 ed è stato il miglior concerto post punk che abbia mai visto».
Ghigo: Mi ricordo benissimo! Eravamo in un teatro che si chiamava Espace Julien.
Piero: Io ricordo il backstage, un’esperienza irripetibile.
Ghigo: Fu il concerto dove mi ammanettai a una fan con la cresta e me la portai via in camera…

Com’è iniziato il vostro rapporto con la Francia, dov’era stato stampato anche il vostro primo album, Desaparecido?
Piero: L’aria che si respirava a Firenze era stimolante, ma nell’83 dissi a tutti: ora si va a suonare in Francia! M’hanno risposto: «Ma che sei matto?!? Non ci conosce nessuno in Italia!». Ma quando vai a suonare in festival internazionali con gruppi come i Minimal Compact o i Violent Femmes al loro primo o secondo album, torni con input strepitosi.
Ghigo: In Francia abbiamo suonato anche con i Cramps! Se ci proponevano un concerto a Morlaix, in cima alla Bretagna, si partiva a mezzanotte, si viaggiava tutta la notte e si arrivava senza dormire.
Piero: No! Partiamo dal Manila di Campi Bisenzio con tre bocce di whisky, non so quanti cannoni, arriviamo all’alba verso Vercelli e Gianni Maraccolo che guidava perde il controllo e distruggiamo il furgone…
Ghigo: Vabbe’, ma a Morlaix c’eravamo già stati! Ricordo anche Berlino una sera e il giorno dopo a Capodistria, tutto in una notte.

Ma il primo concerto dei Litfiba nel 1980, invece, ve lo ricordate?
Ghigo: Perfettamente! Era l’inaugurazione della Rokkoteca Brighton a Settignano, si trova la registrazione su YouTube.

E suonavate già con la formazione storica dei Litfiba?
Piero: No, non c’era ancora Ringo. Il batterista era Francesco Calamai, che ci lasciò dopo la vittoria del festival rock a Bologna a causa di una tendinite devastante. Allora non esistevano le conoscenze per uscirne in fretta e quindi fu un primo shock dover rinunciare al nostro primo batterista.
Ghigo: La tendinite poi venne anche a me, ma nel 1997: mi è passata con un po’ di infiltrazioni di cortisone, vroom, però che male!

Che pezzi avevate in scaletta per il vostro primo live?
Ghigo: After Death e Under the Moon, poi finita sul lato B del primo EP. Anche una cover degli Human League…
Piero: Human League no, secondo me l’abbiamo fatta dopo al Manila…

Ma quanta gente c’era al vostro esordio alla Rokkoteca?
Piero: Tutto il movimento underground fiorentino si era dato appuntamento lì, direi 150, 200 persone.

C’erano anche personaggi come Fiumani?
Non ricordo, ma c’era sicuramente Nicola Vannini (primo cantante dei Diaframma, nda) perché era stato lui a mettere in piedi il locale. Oggi è impensabile un posto con quelle caratteristiche, non c’era un’uscita di sicurezza…
Ghigo: Era pericolosissimo, mi ricordo Aiazzi costretto a suonare fuori dal palco…
Piero: No, era su…
Ghigo: Passò mezzo concerto a reggere le casse con tutti i ragazzi sotto che pogavano… Ricordo che si prese 150 mila lire di cachet, di cui 90 andarono via per l’impianto voce che avevamo noleggiato. Restavano 10 mila lire a testa…
Piero: Finite in fretta al bar (risate).

Foto: Carmine Romano

Da Contempo ci spostiamo verso la mecca dei fan dei Litfiba in pellegrinaggio a Firenze: la cantina al civico 32 di via Dei Bardi. Perché è qui che Piero e Ghigo provavano negli anni ’80 ed è qui che hanno preso forma tutti i pezzi del primo periodo del gruppo, quelli della Trilogia del potere.

La parete esterna e la porta d’ingresso sono coperte da messaggi del pubblico devoto: dichiarazioni d’amore, versi di canzoni, firme di cover band in cerca di date. “Ti porterò nei posti dove c’è del buon vino”, 17-5-22, Giulia; “Non è la fame ma è l’ignoranza che uccide”, stesso giorno, Fede dalla Sardegna; Onda Araba – Litfiba tribute band, Manfredonia; Sotto il vulcano – Litfiba tribute Campania; Stato Libero di Litfiba. Curva Renzulli. Vasco merda.

«Il bello è che questa facciata l’hanno riverniciata più volte, ma c’è poco da fare», è il commento di Ghigo, soddisfatto del suo lavoro. «Vedi questa fessura?», dice indicando il sottile rettangolo nella porta di legno: «L’ho fatta io col trapano, c’ho messo due giorni: se mi avessero beccato le Belle arti all’epoca… Ma avevo bisogno della cassetta della posta, mi sono fatto un culo allucinante».

Quanto pagavi d’affitto?
Ghigo: Tra le 70 e le 80 mila lire al mese, alla fine degli anni ’80 siamo arrivati a 300 mila lire. Ci suonavo già con i Cafè Caracas insieme a Raf, poi quando ho litigato con lui ho formato i Litfiba e sono arrivati loro.

Com’è andata la litigata con Raf?
Ghigo: L’ho mollato dopo il concerto di supporto ai Clash in piazza Maggiore a Bologna. Si litigò furiosamente e lo mandai a fare in culo. Infatti il singolo dei Cafè Caracas non l’ho registrato io, ma un turnista.

Ma che posto era questo?
Ghigo: Questa cantina faceva parte del palazzo Capponi-Canigiani e apparteneva a un discendente dello storico Pier Capponi, quello che rispose al Re di Francia: «Voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane». Quando presi la cantina c’era ancora il Conte: aveva 90 e passa anni, ma si faceva delle belle chiacchierate, mi raccontava le sue gesta eroiche durante la Prima guerra, una persona colta, intelligente, squisita. Poi subentrò un’amministratrice acida!
Piero: Negli anni ’60 questo era un night club: ci venivano i giocatori della Fiorentina e forse anche la Romanina (eccola di nuovo, la prima trans d’Italia citata poco sopra, nda). Poi ci fu l’alluvione… È rimasto umidissimo, impraticabile per molti anni.

Foto: Carmine Romano

Ora, grazie a Piero e Ghigo, è storia. Il nome Litfiba, ricordiamolo, è il risultato dell’unione di tre parole nel linguaggio del preistorico telex: L’ITalia, FIrenze, via de’ BArdi. Infatti, qui davanti all’ingresso, c’è un cartello vagamente simile a quelli che indicano le varie attrazioni turistiche cittadine, una targa che ricorda la genesi del gruppo e la sua importanza per la città.

«L’altra volta non c’era neanche il nome di Ringo, almeno ora l’hanno messo», puntualizza Ghigo. «Ma dovrebbero mettere una targa vera, non di plastica!», dice Piero seguito da un coro d’approvazione, all’unisono, di tutti i presenti.

Scendiamo nella cantina, ora lo spazio è parzialmente occupato da un artista, e restiamo rapiti dalle scritte sui muri perché rimaste sostanzialmente intatte dai tempi di Desaparecido e 17 Re. «Guardate», dice Ghigo, che sposta una porta svelando un enorme logo a spray nero: Caffè Caracas, con due effe. Autografo di 45 anni fa.

“Il Re è morto, viva Litfiba 86” sotto il gancio di un appendiabiti al muro. “È questa l’Ira o l’MPLA o solo un altro paese”, traduzione dei Sex Pistols con la A cerchiata e due date: 81 e 83. “Rip Litfiba” scritto dentro una croce, ricorda il logo dei Lords of the New Church.

Sono tutti graffi a pennarello e la mano che li ha fatti è quella di un giovane Piero Pelù. Ma perché nel cuore degli anni ’80 aveva augurato al proprio gruppo di riposare in pace, messaggio attualissimo oggi, alla vigilia del loro ultimo concerto? «Ero un po’ dark», la sarcastica risposta.

E poi c’è anche il logo primitivo di un’altra band fiorentina: Moda ’88. Perché da questa sala prove in via De’ Bardi sono passati altri artisti locali, compreso il gruppo di Andrea Chimenti. Significa forse che in questa cantina ha suonato anche Mick Ronson, il chitarrista degli Spiders from Mars di Bowie che aveva prodotto Canto pagano, il secondo album dei Moda? «Essì», risponde Piero. «Anche qui vedi la lungimiranza del manager: porti a Firenze Mick Ronson e gli fai produrre il disco dei Moda o dei Litfiba?». Sui dissidi manageriali torneremo più tardi.

Mentre Ghigo Renzulli prende in mano una chitarra acustica scordata e accenna qualche giro blues, Piero Pelù indica gli angoli della stanza: qui stavo io, lì Ghigo, lì Ringo, lì Maroccolo e lì Aiazzi. Fa freddo ma non freddissimo, la cantina è umida ma non umidissima e sembra proprio di vederli e sentirli i giovani Litfiba che provano Eroi nel vento.

Piero e Ghigo si mettono in posa per lo shooting di Rolling Stone, spalla contro spalla, «ritorniamo ai tempi di El Diablo», fa notare il chitarrista che, prima di andare via, si ricorda di un altro pezzo d’arredamento apparentemente scomparso: una cassapanca ricoperta di adesivi.

Colpo di scena, perché i ragazzi che hanno in affitto il posto hanno trasformato il coperchio di quel vecchio mobile in una porta. Una tenda scivola via ed ecco comparire una sfilza di souvenir: uno sticker di Videomusic, antenata tutta toscana di Mtv Italia, un altro adesivo dello Slego, locale storico di Rimini, due adesivi del Coatelan, il club dei concerti a Morlaix in Bretagna citati poco sopra, e una piccola locandina dell’Euro Rock a La Louvière, 13 settembre 1986. Per la cronaca, stando a quanto si trova su Internet, in cartellone, oltre ai Litfiba, c’erano anche Stranglers, Xmal Deutschland e Pino Daniele.

La storia dei Litfiba si può dividere in quattro cicli da 10 anni ciascuno. La band è nata nel 1980 e ha attraversato tutti gli anni ’80 diventando uno dei gruppi di punta della scena new wave italiana. Poi nel 1989, dopo un tour in Unione Sovietica con i CCCP e i Rats, il gruppo ha cambiato forma, perdendo il bassista Gianni Maroccolo entrato nei futuri CSI, virando progressivamente verso un altro stile musicale, e dicendo addio per sempre al batterista Ringo De Palma.

Ma l’89 è anche l’anno di Pirata, e dunque della svolta con la conquista del grande pubblico: «È un disco che io adoro particolarmente», spiega Pelù. «È stato l’anello di congiunzione tra gli anni ’80 e ’90, ci sono dentro Cangaceiro e Il vento, che suoneremo anche al Forum, e sono canzoni attualissime: lì si parlava di Tienanmen, mentre ora ci sono Teheran, Kabul, Istanbul e tutti i movimenti di emancipazione del mondo arabo».

Fatto sta che dopo la Trilogia del potere – Desaparecido, 17 Re e Litfiba 3, «un decennio esatto di vita bohémien, rischiando di lasciarci le penne», sono le parole di Pelù – partono i solidi anni ’90 con la Tetralogia degli elementi: El Diablo, Terremoto, Spirito, Mondi sommersi. Nel 1999 Infinito segna la prima vera fine dei Litfiba, con l’allontanamento tra Pelù e Renzulli.

Infine la reunion del 2009 e l’ultimo tour, previsto per il quarantennale della band nel 2020 e rinviato causa Covid a questo 2022. «Magari facciamo un disco da vecchietti nel 2030», scherza Ghigo.

Saziati dal pranzo e alleggeriti dall’alcol, i Litfiba riflettono sugli alti e bassi della propria carriera, approfondendo soprattutto il periodo intorno al 1989: «Un anno contraddittorio», secondo Piero Pelù. «C’era chi pensava che i Litfiba fossero finiti e chi invece, come me e Ghigo, ci ha creduto sempre di più, ed è successo quello che è successo».
Ghigo: È iniziato il bello!
Piero: No, è iniziata un’altra cosa.

Ma negli anni ’80 ci sono stati momenti di sconforto in cui avete pensato di gettare la spugna?
Ghigo: Ci sono state situazioni pesanti, eravamo una band che litigava tanto, furiosamente, ma non abbiamo mai pensato di gettare la spugna.
Piero: Invece sì (si incupisce, nda). Il concerto a Montreal, dove Ringo non riusciva a tenere le bacchette in mano: è stata una sconfitta tremenda per me perché come band avevamo sbagliato, lasciando che uno di noi arrivasse ad autodistruggersi. Per me Ringo era un fratello e quello è stato un passaggio terribile, tanto che dal Canada me ne andai direttamente in Giamaica.

A parte Ringo, nessuno di voi faceva uso di eroina?
Piero: No, Ringo era l’unico e lo faceva di nascosto. Suonavamo insieme dai tempi del nostro primo gruppo, i Mugnions, e ci eravamo detti «mai l’eroina, mai questa merda» perché sapevamo che era un meccanismo del sistema per farci perdere, esattamente come era successo con la controcultura americana, negli Stati Uniti l’eroina ne aveva rincoglioniti e uccisi tantissimi. Avevamo tutti il mito del 27, i nomi che ci avevano lasciati su quella soglia erano importantissimi, e purtroppo anche Ringo si è fermato lì perché aveva iniziato a frequentare le persone sbagliate, e quando neghi diventa tutto più difficile.
Ghigo: Io avevo subodorato qualcosa già a Parigi, si era messo con quella ragazza che era soprannominata la Vedova Nera perché anche il suo compagno precedente era morto di eroina…
Piero: Già durante il making di Litfiba 3 c’erano stati segnali evidenti del fatto che Ringo non fosse più lo stesso, durante l’88 fu dura e nel 1989 decidemmo di fare l’ultimo tour insieme, testimoniato da quell’incredibile live che è Pirata. È stata la fine degli anni ’80.

Qual è stato per voi il momento della vera svolta, il pezzo più significativo di quel periodo di transizione?
Ghigo: È iniziato tutto con Cangaceiro, c’era chi non lo voleva suonare perché lo riteneva un pezzo troppo commerciale.
Piero: Diciamo che già Litfiba 3 era un album di passaggio per cui ci furono un po’ di scazzi perché dopo la etno-wave di Desaparecido e 17 Re io e Ghigo volevano andare verso le cose più hard rock ed heavy: ci piacevano gruppi come i Cult, qualcuno era più disposto a orientarsi in quella direzione, altri meno…

Pezzi come Cangaceiro e Tex sono cow-punk e citate i Cult, che sono una band con un percorso musicale simile al vostro: dal dark/post punk al rock più classico…
Ghigo: In quel periodo stavano venendo fuori i Nirvana, si sentiva un ritorno drastico al rock e io ero cresciuto negli anni ’60 e ’70 quando il rock la faceva da padrone, quindi a me dava molta soddisfazione suonare così.
Piero: I miei ascolti nei primi anni ’80 erano dark, post punk e cose etniche dell’est… Dopo di che trovai un disco di John Lee Hooker da uno che vendeva dischi usati in piazza della Repubblica: It Serve You Right to Suffer, ti meriti di soffrire. Il più bel disco blues della mia collezione, di una modernità assoluta (Qui riparte un breve e acceso botta e risposta sui bluesman: alla passione di Pelù per John Lee Hooker, risponde Renzulli fan di Lightnin’ Hopkins, nda). Anche in Desaparecido c’era del rock, oltre che goth, punk ed etno-wave, ma era arrivato un momento per noi due in cui era diventato importante essere più quadrati. Considerate che una delle ragioni degli scazzi interni al gruppo fu anche “metronomo sì/metronomo no”: senza metronomo dipendevamo dalla pazzia della base ritmica, a seconda di cosa si erano calati e del livello alcolico della serata cambiava la velocità dei pezzi. Un grande manager avrebbe fatto un lavoro di cucitura, ma così non fu, e quindi ci siamo splittati.

Foto: Carmine Romano

Sulle crisi profonde del gruppo e i momenti di rottura più o meno definitivi Pelù non ha dubbi e ci torna su più volte nel corso della chiacchierata: «I Litfiba hanno pagato più di chiunque altro la presenza di un manager disastroso: ci siamo separati nell’89 e nel ’99, per colpa di quello stesso manager». Pronta la contro-risposta titubante di Ghigo: «Qui si entra nell’ambito dei punti di vista».

Ma vi siete pentiti di esservi sciolti nel ’99?
Piero: Dal punto di vista della sanità fisica e mentale no, da un punto di vista musicale sì.

Qual è stato per voi il momento più alto del periodo ’89-99?
Piero: Per me il momento più bello e creativo è stato la Tetralogia degli elementi, al di là di mettere in piedi una tetralogia, sono andato a concettualizzare dieci anni di musica e cinque album. E poi sicuramente il periodo di produzione di Spirito con Rick Parashar a Firenze: una delle estati più belle della mia vita, un anno pazzesco, nel bel mezzo degli anni ’90.
Ghigo: Forse i periodi di El Diablo e Terremoto, diversi ma entrambi molto intensi. A livello di vendite sicuramente Infinito, che aveva venduto un milione di copie, ma a quel punto eravamo già in crisi totale, ai ferri corti, in pratica ci eravamo già separati l’anno prima.
Piero: Lui andava in studio quando non c’ero io e io andavo in studio quando non c’era lui. Per Infinito abbiamo usato le ritmiche dei provini, anzi, credo sia il provino di un album che ha venduto più copie nella storia della musica mondiale. Mi giravano talmente tanto i coglioni con Ghigo che avevamo anche un pezzo in più che sarebbe dovuto finire sul disco, ma cancellai la mia voce dalle tracce.
Ghigo: Però io ho la registrazione!

Perché avete deciso di rimettervi insieme nel 2009? Convinti dalla canzone di Elio oppure vi siete resi conto di non poter fare a meno l’uno dell’altro?
Piero: Abbiamo fatto la reunion perché era passato un altro decennio. I Litfiba si formano nel 1980, cambiano formazione tra l’89 e il 90, si sciolgono dieci anni dopo…

Una pianificazione quasi sovietica!
Ghigo: E l’ultimo tour doveva essere nel 2020, ma siamo in ritardo di due anni.

Dando un occhio a Spotify, Il mio corpo che cambia è il vostro pezzo più ascoltato in assoluto, seguito da Regina di cuori ed El Diablo. Con un repertorio corposo come il vostro, come avete fatto a mettere insieme le scalette dell’Ultimo Girone?
Ghigo: Ci sono state un po’ di discussioni perché ognuno ha i suoi gusti…
Piero: Ma ci sono almeno 15 canzoni che dobbiamo fare per forza, altrimenti ci fanno a pezzi.

Vi aspettavate il successo di questo ultimo tour? Un promoter di Lecce diceva che in una stagione estiva non particolarmente brillante per i live in Puglia, voi avete fatto comunque 5000 paganti.
Piero: Non è stata una gestazione facile, ci sono state tante discussioni ma io ho puntato molto sulla modernizzazione del sound. La gente se n’è accorta: «Non è più quella roba lì!». Sono convinto che se avessimo fatto una tournée come le precedenti, il successo non sarebbe stato lo stesso.

Ghigo, a questo punto dicci un pregio e un difetto di Piero.
Ghigo: Nooo, non cado in questa trappola! Portateci un’altra bottiglia di amaro! (Risate generali) Siamo due esseri umani e abbiamo entrambi pregi e difetti, tanti da parte mia e tanti da parte sua.
Piero: Siamo un ricettacolo di pregi e difetti, ma metterei prima i difetti!
Ghigo: Diciamo che siamo due personaggi abbastanza fuori dalla norma.

Cosa avete intenzione di fare dopo il concerto del 22 dicembre ad Assago?
Piero: Intanto ci godiamo la vita perché da quando ho 18 anni non ho smesso un solo giorno di lavorare con la musica, potrei finalmente respirare un po’. Sicuramente mi farò un viaggio… Ma di sicuro, e penso che anche Ghigo sia d’accordo, non smetteremo mai di confrontarci con la musica perché è terapeutica.
Ghigo: No, non esiste, perché mai dovremmo smettere?

E cosa vi direte appena scesi dal palco del Forum?
Piero: Arriviamoci e poi vediamo, magari gli spacco la faccia prima del 22 dicembre.
Ghigo: Se ci riesci! Provaci pure, ma è difficile: sono molto robusto.

***

Fotografo: Carmine Romano
RS Art Director: Alex Calcatelli per LeftLoft
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Video backstage: Giacomo Francesconi e Giacomo Di Luise (Mindbox Studio)

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