L'industria musicale ha un problema con le donne: un dialogo fra Mara Maionchi e Sara Potente | Rolling Stone Italia
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L’industria musicale ha un problema con le donne: un dialogo fra Mara Maionchi e Sara Potente

Una ha lavorato nella discografia dagli anni '60, l’altra è attiva oggi nel riconoscimento della parità di genere. Le abbiamo fatte parlare di sessismo, di salari e del perché così poche donne ricoprono incarichi dirigenziali

L’industria musicale ha un problema con le donne: un dialogo fra Mara Maionchi e Sara Potente

Mara Maionchi e Sara Potente

Foto: Giulia Barbieri (Maionchi) e Attilio Cusani (Potente)

Due donne che lavorano con la musica. Una, Mara Maionchi, giudice di X Factor e star televisiva dal carattere impetuoso, dalla comunicativa travolgente e dal linguaggio colorito, non ha bisogno di presentazioni. L’altra, Sara Potente, è conosciuta e apprezzata tra gli addetti ai lavori: in discografia da vent’anni, ha appena ottenuto una nomina prestigiosa, Keychange Ambassador per l’Italia nell’ambito di una campagna internazionale che mira al riconoscimento della parità di genere nell’industria discografica.

Dalla fine degli anni ’60 agli anni 2000, Mara Maionchi è stata una figura importante della musica italiana. Ha lavorato per la Ariston, per la Numero Uno di Battisti e Mogol (come ufficio stampa), per le edizioni e per l’etichetta della Dischi Ricordi (dove, come direttore artistico, ha scoperto Gianna Nannini), per la Fonit Cetra. Ha collaborato con artisti come Battisti, PFM, Umberto Tozzi, Mia Martini, Ornella Vanoni, Fabrizio De André, Mango e Renzo Arbore ed è stata una delle pochissime donne, in Italia, a ricoprire ruoli dirigenziali nel music business prima di fondare con il marito, paroliere e produttore discografico Alberto Salerno un’etichetta indipendente, Nisa, che ha lanciato e prodotto Tiziano Ferro.

Sara Potente ha iniziato come ufficio stampa nella indie V2, per poi occuparsi di A&R (Artists & Repertoire) alla Universal e oggi alla Sony Music, dove – per curiosa coincidenza – è stata nominata direttore artistico della ‘nuova’ Numero Uno. Tra i tanti progetti a cui ha lavorato anche quello che ha portato Mahmood a vincere il festival di Sanremo del 2019, mentre nel suo nuovo incarico di Keychange Ambassador si affianca a grandi personalità internazionali come Emily Eavis (figlia di Michael Eavis, l’organizzatore del festival di Glastonbury), lo storico produttore di David Bowie Tony Visconti, la leader dei Garbage Shirley Manson e la cantautrice Imogen Heap.

Sono protagoniste e testimoni della discografia di ieri e di oggi, capaci di esprimere un punto di vista femminile e qualificato su un mondo, quello del music business, tradizionalmente maschilista e poco propenso a concedere alle donne ruoli di prestigio e fette di potere. Le abbiamo volute coinvolgere in una chiacchierata informale sullo stato delle cose.

Sara, accogliendo l’incarico di Keychange Ambassador per l’Italia hai detto che molto è stato fatto, ma tanto resta ancora da fare per riequilibrare i rapporti tra i sessi nell’industria discografica.
Potente: È vero, la nostra industria può e deve cambiare. Per fortuna vedo tante colleghe e colleghi culturalmente pronti al cambiamento. La nuova discografia mi sembra molto sensibile all’argomento, molto rapida a recepire i nuovi messaggi. Purtroppo credo che ad alcuni temi non si sia ancora dato il giusto peso. Il problema delle quote rosa, in ogni aspetto del mondo professionale, mi fa venire in mente l’uso che facciamo delle mascherine protettive in questa fase della pandemia. Le indossiamo e le teniamo sul mento, servono a ricordarci che c’è un problema. Fanno scattare un campanello d’allarme. Anche le quote rosa servono a segnalare che c’è un problema irrisolto, ma resta il fatto che io vorrei essere considerata semplicemente per quello che valgo. Mi fa comunque piacere notare che ultimamente, in discografia, ci sono state molte assunzioni di ragazze, anche in un ruolo simile a quello che ricopro io nel campo dell’A&R.

Mara, ricorderai sicuramente Mimma Gaspari, tua contemporanea e grande discografica degli anni ’60. E magari avrai letto la sua biografia Penso che un «mondo» così non ritorni mai più in cui, ricordando il suo ingresso alla RCA di Roma, scrive: “Ero davvero guardata come una scommessa, con una sorta di incredulità”, aggiungendo che “al mio primo direttore artistico Riccardo Michelini chiesero, sogghignando, come facesse a lavorare con una donna”. Ti sei mai trovata in una situazione simile?
Maionchi: Lasciami dire che Mimma era un uragano, la conosco bene. Ha fatto cose eccezionali a livello mediatico e promozionale ed è stata una delle grandi donne della discografia italiana assieme a Giusta Spotti, che oggi purtroppo non c’è più ma che fu un grande direttore artistico. Non la nomina mai nessuno, ma è stata una combattente. Sapeva dare suggerimenti importanti agli artisti che curava, aiutandoli ad avere successo. Era una testona, una grande lavoratrice, e i risultati sono arrivati: con i Matia Bazar e con tanti altri. Per quanto mi riguarda, non ho mai sentito dire niente del genere nei miei confronti. Se qualcosa è stato detto, non è successo in mia presenza. Vanno bene le quote rosa, ma quando sei sul campo di battaglia sei tu che devi darti da fare. Forse gli uomini non tendono ad aiutarci molto, nella professione. Forse siamo costrette a lavorare di più e a concentrarci di più sugli obiettivi per ottenere i risultati. Ma ovviamente io ho lavorato in una discografia molto diversa da quella di oggi.

Dovevate sgomitare di più per imporvi, immagino.
Maionchi: Non so dirti se dovessimo sgomitare di più. Posso solo dire che è stata una bella esperienza e che mi sono divertita. Ho avuto delle belle soddisfazioni e ho lavorato con tanta gente capace da cui ho appreso tantissimo. Ho diverse amiche avvocati o ingegneri che devono sgomitare allo stesso modo. Come se certi lavori le donne non fossero in grado di farli. Ma vale anche per gli uomini, no?
Potente: Sai Mara, io mi sono fatta questa idea: che quando a un uomo viene proposto un nuovo incarico ben retribuito non si fa grossi problemi se ritiene di avere il 30% delle skills richieste, mentre il restante 70% esula dalle sue competenze. Noi donne invece ci facciamo un sacco di paranoie, ci mettiamo a studiare e ci chiediamo se siamo all’altezza oppure no. E alla fine è questo atteggiamento a spingerla, talvolta, a non accettare le offerte.

Mara, ti sei mai chiesta se eri all’altezza?
Maionchi: Mai. Mi sono sempre buttata e se poi i risultati sono arrivati lo devo alla fortuna e forse a qualche capacità personale. Certo, quando ho avuto le mie figlie ho dovuto affrontare qualche difficoltà. Come madre avevo ovviamente delle responsabilità diverse a cui fare fronte. Le donne sono capaci, a volte più capaci degli uomini. Però hanno qualche handicap naturale…
Potente: Beh, ti capisco. Tra i 25 e i 35 anni l’idea di restare incinta mi terrorizzava. Avevo paura di vanificare tutto il lavoro fatto fino a quel momento. Oltretutto sono entrata in discografia nel 2000, in un momento di grande crisi delle vendite e di trasformazione. Però la vedo anche nelle trentenni di oggi, quella paura di rimanere incinte e di perdere un anno. E mi sembra una paura ancestrale, un pensiero radicato nel nostro essere indipendentemente dalle pressioni che subiamo dall’esterno. È un timore che ti prende soprattutto nel momento in cui senti di dover spingere per emergere.
Maionchi: Non c’è dubbio, ma bisogna continuare per la propria strada. C’è una sospensione temporanea ma poi si recupera, se si è in buona salute si può pensare sia alla famiglia che alla carriera. Le donne sono in grado di assolvere tutti i compiti, hanno la forza di occuparsi di tutto. Anche la Gaspari ebbe un figlio: è giusto, è normale, si possono e si devono coniugare le due cose.
Potente: Concordo. E poi noi donne abbiamo sviluppato quelle che in gergo vengono chiamate soft skills: siamo più rapide degli uomini a risolvere i problemi, più rapide a empatizzare con gli altri.

D’accordo, ma passiamo alle note dolenti e parliamo di cifre. Una recente analisi di Brain Consulting fondata sui dati raccolti da otto società musicali internazionali nei settori della discografia, della musica dal vivo, della raccolta dei diritti e dello streaming rimarca una differenza media del 27% nella paga oraria tra uomini e donne, a parità di ruolo e di posizione. Come ve lo spiegate? Che ne pensate?
Maionchi: Che ne penso? Che è ingiusto. Se il lavoro è identico non ci devono essere differenze di retribuzione. Punto. Forse questo succede perché chi prende queste decisioni sono persone di sesso maschile.
Potente: Già. Eppure leggo che le donne oggi hanno mediamente un’istruzione superiore a quella degli uomini. Dunque non capisco perché…
Maionchi: Forse perché una donna, in una azienda, viene ancora vista come una seconda scelta. Una donna deve contare solo su sé stessa. Mentre gli uomini spesso sono aiutati dalle posizioni che ricoprono.

Il gap c’è anche in altri settori industriali, ma in quello musicale è più alto che altrove. Segno che si tratta di un mondo particolarmente maschilista?
Potente: Non so se il nostro sia un mondo più maschilista di altri. Non credo. Sicuramente è un’industria di dimensioni più piccole e forse per questo le differenze si notano di più.

Nel 2019 un articolo del Rolling Stone americano intitolato “The major record companies have a big gender problem” rilevava che tra 13 etichette major, tanto negli Stati Uniti che in Inghilterra, una sola è guidata da una donna e una in tandem da una donna e un uomo. In Italia direi che siamo messi anche peggio.
Potente: A parte Caterina Caselli e la Sugar.
Maionchi: Spero che le cose cambino, anche se in tanti anni di lavoro in discografia non ho mai visto cambiamenti sostanziali da questo punto di vista. Mi auguro che le donne acquisiscano posizioni sempre più importanti. Ma se lo faranno non sarà certo per l’aiuto di compagni e amici, dovranno arrangiarsi da sole. A forza di provarci, dovrà pur arrivare il momento della riscossa.

Fino a poco tempo fa, a parte poche eccezioni, il ruolo femminile classico nelle case discografiche era quello dell’ufficio stampa…
Potente: Per oltre dieci anni mi sono trovata spesso seduta da sola, unica donna, ai tavoli delle riunioni. Vedere crescere il numero delle donne che oggi ricoprono ruoli di responsabilità nel settore artistico delle case discografiche ed editoriali è una grande soddisfazione.
Maionchi: È vero, storicamente di promozione discografica si sono occupate più le donne degli uomini. E comunque fare promozione non è un lavoro facile: pensate a quel che ha fatto Mimma negli anni ’70 e ’80 con personaggi così particolari e anticonvenzionali com’era allora Renato Zero. Della produzione si occupavano altri, ma era lei a trovare le strade giuste per portare gli artisti al pubblico.
Potente: Quello dell’ufficio stampa è sempre stato una specie di potere occulto e poco visibile all’esterno. Una risorsa nascosta ma concreta e importante, che ha permesso a molti artisti di svoltare magari senza ottenere grandi riconoscimenti all’interno delle stesse case discografiche.
Maionchi: Certamente. Anche un ottimo prodotto, se non è promosso a dovere, non raggiunge i risultati che potrebbe ottenere. Faccio fatica a capire perché questo lavoro non venga riconosciuto come merita.

Non è che ci sono meno donne in discografia perché ci sono meno donne appassionate di musica? Chi frequenta i pochi negozi di dischi rimasti può testimoniarlo…
Potente: Non credo, ho anzi l’idea che oggi le donne consumino più musica degli uomini…
Maionchi: Da sempre, comunque, ci sono anche meno donne in campo artistico e nelle classifiche di vendita. Ed è sempre stato più problematico gestire la carriera di un’artista di sesso femminile.
Potente: Che le artiste donne, in Italia, siano meno popolari dei colleghi maschi è un dato di fatto confermato dalle classifiche e anche da informazioni recenti che ci ha fornito Spotify, sensibile come molte altre imprese internazionali alla valorizzazione delle donne nell’ambito di un discorso di brand reputation. Io una spiegazione me la sono data… Sulla mia scrivania sono sempre arrivati un sacco di progetti che riguardano autrici e interpreti femminili, e molte sono quelle che ho messo sotto contratto. Non sono poche, le donne che vogliono fare questo mestiere. Forse però nelle donne c’è più insicurezza di fondo, e vengono spontanee certe domande: come mi devo vestire? Che atteggiamento devo avere? È tutto legato a un discorso di immagine, che all’estero non esiste: penso a Billie Eilish che ‘decostruisce’ e nasconde il suo corpo, a Rosalía che invece enfatizza una certa tradizione… In Italia è tutto più difficile, le artiste sono le prime a giudicare se stesse e a porsi dei limiti. Più si sentiva tormentato e insicuro, più un artista come Fabrizio De André produceva arte. Le donne non lo fanno.
Maionchi: Forse la loro determinazione non è sufficiente a spingerle a rinunciare a tante altre cose. Non c’è dubbio che le donne facciano più fatica a credere in sé stesse. Forse il mondo artistico femminile è più rinchiuso in sé stesso e nelle proprie emozioni e questo rende più difficile l’identificazione. E forse le artiste sono mediamente meno tenaci nel perseguire il successo, si arrendono prima alle avversità.
Potente: Anche perché a sdoganare e a imporre un certo modello femminile, alla fine, sono sempre gli uomini. Con il risultato che il pubblico non ci si riconosce. Bisogna avere un carattere veramente forte, per riuscire. Quello che ha portato al successo gente come Mina, Milva, Patty Pravo, Ornella Vanoni. Le grandi interpreti della canzone italiana. La loro irruenza, il loro desiderio di essere sempre e comunque se stesse sono qualità che io ricerco sempre in qualunque artista.

Tu, Mara, hai lavorato con Gianna Nannini.
Maionchi: Quando è venuta da me mi ha dato delle indicazioni precise. Voleva avere successo, ma alle sue condizioni. Ha fatto fatica, ha lottato a lungo ma sempre con la convinzione che alla fine ce l’avrebbe fatta. Non è facile trovare donne così decise, convinte e determinate nel mondo della musica.
Potente: Non sarà che ci sono troppo pochi esempi da seguire?
Maionchi: Non c’è dubbio, e sicuramente il motivo è culturale. Se anche in casa sei in posizione secondaria rispetto al maschio risulta più difficile avere convinzione e fiducia in te stessa.
Potente: Sì, è un gioco di ruoli e di cultura. La bambina deve essere brava, diligente, aiutare la mamma e andare bene a scuola, mentre al maschio viene concessa più libertà di espressione. Mi conforta il fatto che le nuove generazioni siano più libere, che si parli meno di differenze di genere mentre i confini tra un sesso e l’altro diventano più fluidi.
Maionchi: Me lo auguro, perché sono una femminista convinta. Credo che le donne abbiano maggiori risorse intellettuali e di carattere e più capacità di adattamento.

C’è un altro aspetto da considerare. È vero che nell’industria discografica un caso Weinstein non è finora emerso. Però nel 2017 un’inchiesta televisiva della giornalista della BBC Victoria Derbyshire, basata su testimonianze anonime e sulle dichiarazioni di chi ci ha messo la faccia, ha concluso che «gli abusi sessuali e le molestie sono endemici all’industria musicale», e che «uomini pericolosi abusano del loro potere». Qualcosa di simile è successo negli Stati Uniti. Siete mai state protagoniste involontarie o testimoni di episodi del genere? Ne avete sentito raccontare, in Italia o all’estero?
Potente: Nulla di paragonabile e di così eclatante. Certe cose succedono nell’ambiente discografico come in qualunque altro ambiente, credo. C’è un linguaggio non verbale fatto di sguardi e ammiccamenti, che si aggiunge a certi apprezzamenti e a certe battute.

Possibile che solo in Italia queste cose non succedono o restano nascoste sotto il tappeto?
Maionchi: Non ho mai avuto la percezione che qualcosa del genere sia accaduto intorno a me e alle donne con cui ho lavorato. Magari sono stata fortunata, e non dubito che episodi di abuso sessuale succedano e siano successi. Forse ci sono donne che pur avendo subito non hanno raccontato, magari certe storie non sono emerse. La battuta ci può stare, se sei una donna sola in mezzo a tanti uomini. Ma a me non ha mai fatto né caldo né freddo. Sapevo chi ero, e non bastava certo una insinuazione per demolirmi o farmi cambiare idea. Anzi, gli uomini con cui lavoravo dovevano stare attenti a quello che mi dicevano, perché ciò che gli tornava indietro era molto più pesante.
Potente: Un boomerang! Conoscendoti non lo metto in dubbio.
Maionchi: Come si sa, il mio linguaggio non è mai stato dei più limpidi. Ho provato tante volte a migliorarlo, la buona volontà ce l’ho messa, ma i risultati sono stati pessimi.

Un consiglio e un suggerimento finale ai vostri colleghi ed ex colleghi maschi? Come dovrebbero relazionarsi alle donne che lavorano nel music business?
Maionchi: Semplice: cercate di capire che una donna che fa questo lavoro è uguale a voi. Le donne valgono quanto gli uomini e qualche volta hanno delle intuizioni persino migliori. E bisogna sempre cercare di collaborare: questo renderebbe la situazione più equilibrata.
Potente: Testimonianze di colleghi e amici europei mi confermano che oggi il punto di vista femminile su un progetto artistico è sempre più richiesto. La nostra sensibilità, in questa ottica, è sempre più apprezzata. Non se ne può più fare a meno, come mi diceva qualche tempo fa un’amica legata al mondo del cinema britannico. Pensiamoci anche in Italia, può diventare un elemento determinante nel formulare una strategia artistica. E poi, mi diverte pensare che in un mondo molto più “fluido” in cui prende piede la queer music non possa più esserci un maschio eterosessuale al potere… Non saprebbe come relazionarsi e non lo capirebbe.