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L’elettronica di Lorenzo BITW è un jazz club nella Roma antica

Sospeso tra mondi musicali diversi, ‘Pantea’ è un concept che fa parlare il suono londinese con quello italiano. «Com'è che in Italia non consideriamo la nostra musica cool?»

Foto press

Con Lorenzo BITW abbiamo appuntamento a Piazza Francesco Totti VIII Re di Roma. Nel 2017, infatti, a Santa Maria Ausiliatrice (la piazza principale di Testaccio, storico quartiere di romanisti), è spuntato un cartello che la ribattezzava dedicandola al capitano della Roma. Oggi non ce n’è più traccia, ma su Google Maps il luogo è ancora registrato così, con tanto di indicazioni per raggiungerla.

Passandoci in mezzo, attraversando nugoli di bambini con le mamme, vecchi in ciabatte che fumano e turisti che si guardano intorno un po’ sperduti, penso a quanto alcuni luoghi di Roma abbiano questa qualità unica del saper restare a cavallo tra mondi per un tempo lunghissimo, straziante nel suo essere romantico. Testaccio è un quartiere che oggi è appena un gradino più sotto rispetto alla selvaggia gentrificazione americana del vicino Trastevere. Tutto sommato mantiene un’anima popolare: si aggrappa coi denti e le unghie ai fossili di una tradizione che è a un passo dal diventare caricatura, chiudendosi in in se stesso ma lasciandosi contemporaneamente andare al mondo esterno, alle influenze e i movimenti contemporanei.

La collisione tra vecchio e nuovo, locale e mondiale, mi fa pensare all’ultimo album di Lorenzo BITW, Pantea. Lorenzo nasce e cresce a Roma ma per un periodo si trasferisce in Inghilterra, Paese in cui ha sviluppato la propria carriera e in cui si trova la sua etichetta attuale – la Future Bounce della nuova dj di punta della BBC, Jamz Supernova. Dieci tracce sostenute da un concept ben preciso, che mantengono il dna dancefloor e club oriented di Lorenzo, ma che vanno anche incontro alla situazione attuale, smussando gli angoli più acuti ed aprendosi a melodie e arrangiamenti nuovi; più ricercati e in forma canzone, godibili anche senza il contorno di quattro mura buie e persone sudate che ci alitano sul collo. «La scorsa estate Kiriko Mechanicus, una regista olandese di origini giapponesi che ha vissuto a Roma per diverso tempo, mi ha parlato del concept per un video che rappresentasse una Roma antica ma anche multiculturale e moderna. Quell’idea lì è stata un po’ la scintilla attraverso cui ho costruito il concept dell’album. È anche effettivamente diventato il video del primo singolo, Pantea, in cui infatti ci sono ragazzi giovani quasi tutti stranieri che interpretano divinità romane nella Roma di oggi». Questo doppio stimolo autoctono ed estero è un po’ il leitmotiv della carriera di Lorenzo.

Pantea è il suo secondo album ufficiale, dopo Love Junction del 2018, uscito per l’etichetta losangelina Friends of Friends e in Italia per La Tempesta International. Prima e in mezzo, innumerevoli collaborazioni, EP, featuring che ne hanno sempre più affinato il suono UK funk, garage e grime in una prospettiva global, priva di barriere musicali geografiche. Per Pantea, a partire dallo stimolo del video, il suo sguardo si è quindi spostato interamente sull’Italia: tutti i featuring dell’album sono firmati da artisti di casa nostra, per lo più romani. In ordine di apparizione nella scaletta troviamo un mix tra nomi già affermati e giovanissimi prossimi al salto: FiloQ, Grindalf, Daykoda, Clap! Clap!, Danilo Menna e Vittorio Gervasi, Shunaji e RBSN. «Jamz Supernova si è subito detta entusiasta di questa direzione. A lei e altre persone non italiane ha subito interessato l’idea di rappresentare una scena italiana che spesso rimane un po’ nell’ombra. L’estetica basata su Roma antica è uscita fuori in modo molto naturale, tra le tante cose che potevo scegliere per rappresentare la città e l’Italia mi sono diretto su quella perché alla fine è stato sempre un po’ un mio interesse quello della mitologia antica. Inoltre mi sono reso conto che la musica elettronica è molto poco associata a questo tipo di universo e mi piaceva andare in una direzione del genere, un po’ particolare, identitaria».

I riferimenti musicali non sono ovviamente romani di origine, ma in questo caso rientrano quindi in un’idea di Roma antica (e quindi di Italia in genere) di più ampio respiro, che fonde estetica e musica in modo efficace. «È anche un disco con più melodia e meno ritmo. Ho cercato una continuità più marcata rispetto all’ultimo album, che erano tanti singoli messi insieme, in un certo senso. Da questo punto di vista Pantea è stato molto più ragionato; ho usato una palette di suoni simile per tutti i brani, riflettendo sulla scaletta e su che momenti creasse, di cosa avesse bisogno man mano l’album».

Un’altra spinta verso questa direzione unitaria, quasi programmatica, è stata data anche dal modo in cui Lorenzo ha lavorato al disco. Negli ultimi mesi ha infatti conosciuto molte persone nuove che sono poi finite nei brani, collaborando con tutti di persona. In questi tempi di distanziamento forzato e cartelle WeTransfer è sicuramente qualcosa di diverso. «Anche solo parlare la stessa lingua, per me che sono abituato a lavorare sempre in inglese, vuoi o non vuoi ti dà qualcosa in più, si comunica di più. Penso che sia importante creare un discorso comunitario, far parlare la musica italiana che non sia solo quella cantata. Anche perché quello dei beatmaker e dei producer italiani è un argomento che è rimasto sempre un po’ in disparte. Volevo dare spazio a chi come me si concentra su musica strumentale».

Il paradosso è che la spinta a firmare un progetto tutto italiano sia venuta da organizzazioni e personalità non italiane. Oltre alla già citata Jamz Supernova e la sua etichetta, c’è stato anche lo zampino della web radio Worldwide FM, gestita dal dj/guru anglo-francese Gilles Peterson, una delle più importanti piattaforme di streaming musicale del mondo. La radio ha chiesto a Lorenzo (prima ancora che lui iniziasse a ragionare sull’album) di comporre un mix della nuova musica proveniente da artisti e produttori romani. Qualcosa che ci dovrebbe far riflettere parecchio sul grado di miopia nostrano, tanto da parte del pubblico quanto dell’industria discografica tricolore. «In Inghilterra i producer italiani sono già presi in considerazione perché ce ne sono e ce ne sono stati tanti che vivono lì. Poi comunque persone come me, Clap! Clap!, Populous, Khalab hanno tantissimo pubblico lì. Penso anche che in questo interesse da parte loro abbia contribuito il momento musicale che viviamo, molto votato alla ricerca di radici musicali autentiche. È stata una cosa sviluppatasi in modo molto naturale, non da artefatto comunicato stampa o trovata commerciale».

Ci fermiamo a riflettere sulla mancanza di canali di diffusione italiani all’altezza di contenitori come BBC Radio 6 o Worldwide FM, solo per citarne due tra i più conosciuti. Un’assenza che rende veramente complicato far emergere un ritratto più coerente della situazione attuale della musica italiana non pop in senso sanremese. Diventa difficile tanto comunicarlo all’estero quanto allo stesso pubblico italiano, che però non fa quasi nessuno sforzo per uscire dalla sua comfort zone. Le nostre riflessioni seguono il ritmo confuso dettato dai palleggi di un bambino che si chiama Alessio – ce l’ha scritto sul retro della maglia della Roma. Gioca davanti a noi e quando il pallone lo costringe ad avvicinarsi tanto da carpire dei brandelli della nostra conversazione, sul viso gli si dipinge un’espressione a metà tra il contrariato e l’interrogativo.

Torniamo a parlare di musica. «Il nuovo jazz inglese di cui tanto si sta parlando in quest’ultimo periodo è stata un’influenza importante per l’album. C’è tanto ritorno della musica suonata, infatti nel disco ci sono tanti strumenti “veri”. Avevo voglia di jammare un po’ in studio con le persone, andare in una direzione leggermente diversa rispetto al passato. Anche perché per ora il club come dimensione non esiste più». È un discorso su cui ho riflettuto analizzando l’ultimo disco di Floating Points e Pharoah Sanders: i musicisti in qualche modo si adattano consciamente o meno a delle esigenze nuove, emotive e pratiche, che gli ascoltatori hanno sviluppato forse proprio per colpa/grazie alla pandemia. «La struttura delle canzoni è meno da dj, più da ascolto. Questo è sicuramente un approccio che è stato figlio del momento che stiamo vivendo. Così come la volontà di catturare da subito l’attenzione dell’ascoltatore. Se ad esempio nelle tracce più da club scrivo una intro lunga un minuto solo con la cassa, in Pantea invece entro subito nel vivo, è stata la vera sfida dal punto compositivo. Sono partito molto più da accordi e melodie che da percussioni ad esempio, quelle arrivavano sempre dopo».

Il suono che ne esce è effettivamente un bell’incontro tra le batterie indomite di Lorenzo e un nuovo gusto per suoni morbidi, presi dal soul e perfino dal jazz. Insomma è una club music da jazz club: un nuovo passo in avanti nella carriera di un beatmaker che ha l’intelligenza di sperimentare e saper capire il suo tempo. In più affiancando al discorso personale quello corale, provando a “portare in alto” anche altri protagonisti della scena italiana che rifiuta di ghettizzarsi in definizioni e generi. Un discorso portato avanti anche da una serie di podcast in cui Lorenzo intervista alcuni di questi protagonisti, non solo musicisti. «Anche questo mi ha chiesto di farlo Jamz Supernova. Di nuovo, non è banale che questa cosa avvenga da una persona che abita a Londra, perché spesso come si evince da queste chiacchierate in Italia siamo poco fieri di quello che si fa qua e tendiamo a considerare la nostra musica e le nostre origini come una cosa non cool, non spendibile fuori».

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