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Le cose bisogna meritarsele: intervista a Rkomi

Con il nuovo album ‘Decrescendo’ Mirko è tornato a dialogare con il sé bambino, in un processo spesso doloroso che però ha restituito uno dei dischi più intimi e musicalmente rilevanti della sua vita. Ce l’ha raccontato una sera a cena

Le cose bisogna meritarsele: intervista a Rkomi

Rkomi

Foto: Mattia Zoppellaro

Decrescendo, il nuovo album di Rkomi, potrebbe trarre in inganno dal titolo. In realtà, nella visione di Mirko, attorno all’intero processo che ha portato a uno dei suoi dischi più belli finora non c’è una visione di sottrazione o comunque calo. Semmai, una crescita verso il basso, intendendo la mente come una macchina a livelli emozionali, una specie di visione a metà tra quella freudiana della psiche e del subconscio, oltre che delle parti del sé bambino che ognuno di noi ha, e quella invece della macchina a livelli di Andrew S. Tanenbaum (mia personale interpretazione) per spiegare l’architettura degli elaboratori. E che lo si voglia o no, il cervello è un computer.

Quello di Rkomi ha funzionato da sempre in maniera diversa rispetto ai suoi simili, essendo obbligato per cause di forza maggiore (spesso non belle) a dover computare eventi che un un adulto non ha piacere ad affrontare, figuriamoci un ragazzino. A questo passato difficile è tornato con Decrescendo, un disco che però non è solo introspettivo e maturo, ma sa anche essere più frivolo e spensierato, proprio come potrebbe essere una discussione coi suoi amici. È il Mirko più adulto che abbiamo mai visto e la cosa si riflette in canzoni cariche di strofe serrate che però esplodono in ritornelli endorfinici, belli proprio da ascoltare.

È bello poi notare che certe cose che aveva citato da ragazzino, come l’hedeggeriano Dasein Sollen, ritorna soprattutto quando a cena, mentre mangiamo al ristorante, mi parla di essersi liberato delle futilità sociali del tipico errore milanese del voler esserci e non essere. Cose che appunto al vecchio Heidegger farebbero piacere. Mirko comunque, come spesso capita a chi ha la sua età, si stava perdendo, tra feste ed edonismo frivolo. Questo disco è una sterzata che lo ha riportato in carreggiata, più equilibrato che mai, sempre tormentato, mai del tutto felice, da sempre incompreso. E quindi, proprio per tutte queste cose, una delle menti più preziose che abbiamo nella musica italiana contemporanea.

Hai una dieta sana?
Io in realtà mi alleno proprio per mangiare e fumare come un pazzo. Però sì, ho una buona educazione nutrizionale. Metto sempre le verdure in ogni cosa che mangio. Almeno una volta al giorno, ecco. La frutta non mi piace molto.

Come sta andando la tua vita?
Direi bene, non ci sono grandi disavventure esistenziali da un po’. L’unica cosa grande che ho fatto è scegliere un po’ l’apatia un paio di annetti fa, dopo il progetto con Irama. L’ho fatto un po’ per proteggermi, mi sono appassionato un po’ alla visione nichilista.

O atarassica, per raggiungere la pace dei sensi liberandoti dalle emozioni.
Sì, ma la pace dei sensi non la raggiungi mai, alla fine. Anzi, tutto ciò ha provocato una bella non esistenza. Questa apatia però l’ho rivolta più verso l’esterno, non verso l’interno. Non mi trovavo. Ho passato la fase dai 29 ai 30 chiedendomi: «Ma io che cazzo ci faccio a ‘ste feste con ‘sta gente di merda?». Tutti quei convenevoli. Sai, quei preliminari richiesti dall’etichetta che si formano ai soliti tavoli. E quindi ho iniziato a fare un lavoro per cui, senti, ‘sti grandi cazzi, c’è gente che c’è arrivata molto prima di me, poi magari non è arrivata ad altre cose. Trovo molto più figo il raggiungimento di questo risultato: o ti sto sul cazzo o ti sto simpatico, ma non raccontiamoci le stronzate di mezzo.

Rkomi - l'ultima infedeltà.

A Milano, poi…
Specialmente a Milano, si formano spesso questi finti rapporti, questo voler esserci più che essere. Questo interesse specifico ma superficiale verso quell’evento, quella persona, quella sfilata. Credo che Milano abbia questo problema. L’Italia in generale, ma qui in particolare.

Però comunque stai andando a ballare?
Minchia, sì, di brutto. In questo momento un po’ meno, però ho fatto due anni di feste come piacciono a me e alla mia compagnia. Dove almeno all’interno si creano delle conversazioni vere. Però ho smesso di voler stare simpatico per forza a una persona. Prima invece avevo questa buona cosa caratteriale dove in qualche modo riuscivo a far vivere un rapporto o anche solo una conversazione con tutti. Ce l’ho tuttora, ma in modo diverso. Un tempo ero proprio timido. Sbloccata quella cosa lì, è stato tutto l’opposto. Mi sono detto: godiamocela. Poi però mi sono reso conto che stavo facendo qualcosa che il vecchio me non avrebbe voluto essere. Stavo diventando la persona che si approcciava a me dicendo delle cazzate giganti pur di parlare. Quindi mi sono fermato, anche se poi non lo sono mai stato del tutto.

E ora con Decrescendo ti sei guardato indietro, al passato?
Ho voluto ritrovare lo stato, che non è per forza rispettabile, in cui ero, che provavo quando volevo una sorta di risarcimento dalla vita. Per tutta la merda che ho vissuto. E quello stato lì è lo stesso che mi ha spinto a scrivere album come Io in Terra e a fare dei cambiamenti anche fisici, personali. Volevo ritrovare anche la forza nel guadagnarmi le cose, perché sono uno che se l’è sempre guadagnate. Sono sempre stato compagnia, socievole, dentro le conversazioni piacevoli. Ma non ero mai il protagonista, il figo della scuola. Volevo ritrovare quella cosa lì perché mi sono guadagnato ogni singolo bacio con una ragazza. Volevo di nuovo meritarmi delle cose, essere risarcito.

Perché stavi dando troppo per scontate tante cose?
Sì, sono arrivato a quel momento lì. E non mi piaceva. Stavo coltivando rapporti frivoli. Mai come altri miei colleghi, eh. Però è umano, ci sta. Vorrei dire a tutti che le cose bisogna meritarsele, a prescindere dalla situazione economica e culturale da cui arrivi. Adesso vedo tanti fighi al microfono, tanti fighi davanti alle videocamere. È un po’ come se boicottassero dei passaggi necessari e poco piacevoli.

Foto: Mattia Zoppellaro

Forse questa cosa del guardarsi un po’ indietro e tirare due somme è anche un processo naturale che arriva alla soglia dei trent’anni, no?
Certo, per me Decrescendo è stato proprio fare questo. Non è solo sottrarre, tornare indietro: è proprio una crescita verso il basso, verso le radici, il profondo. Poi, basta, la smetto di fare il filosofo.

No, ma va, è mega interessante come tema. Io per esempio in terapia sto cercando di dialogare col me bambino che ha avuto traumi e da lì non si mai schiodato.
È una cosa che prima o poi devi fare. Ascoltarti e parlarti. Io ho sempre avuto tanti esempi di persone che non l’hanno mai fatto e l’idea che anche io dovessi fare i conti con me stesso di punto in bianco mi ha sempre spaventato. Non dico di essere migliore, ma questi punti della situazione con me stesso li ho sempre voluti fare. Anche forse troppo presto per l’età che avevo. In questi ultimi anni invece avevo voglia di fare altre cose, di ascoltarmi meno e fare più il coglione-anche se poi non l’ho fatto come avrei potuto. Ogni cosa che ho fatto nella vita è stata una forzatura.

Ti sei forzato anche a vedere e vivere cose belle, però.
Sì, specialmente con Taxi Driver e Dove gli occhi non arrivano avevo deciso di non vedere il buio, gli abissi. È stata proprio una predisposizione naturale. Adesso la necessità era quella di magari vedere tutto in modo negativo.

Nel pezzo con Ernia lo dici anche che la vita è ciclica, no?
Esatto, quindi grazie a questo “guardare nella merda” crei un contrasto non indifferente e ti ricordi che l’esistenza non è solo quello. Quindi alla fine è un lavoro positivo. In Non c’è amore con Lazza io mi colpevolizzo. Mi sono sempre un po’ colpevolizzato: quando ho troppo poco non ho fatto abbastanza, quando ho troppo non ho fatto abbastanza, non è colpa mia se è finita quella relazione ma, perché no?, ci ficco dentro anche delle mie colpe, e cose così.

Sei molto severo con te stesso?
Molto. Quindi lì nel pezzo la discussione è una guida dall’apatia a una soluzione. Il ritornello poi dice “Bisogna avere una distanza per amarsi / Senza allontanarsi”. Però all’inizio del pezzo parto proprio dal Non c’è amore.

Nel pezzo di apertura, L’ultima infedeltà, dici anche tante cose che non ti senti di essere.
Sì, perché si divide in tre parti. La famiglia, amicizia e amore. Nasce come l’ultima infedeltà nei confronti del rap perché stavo facendo inizialmente un pezzo rap. Poi quando l’ho scritto è diventato così personale che non potevo fermarmi a quel concetto. Da qui l’idea di dividere in tre sezioni: l’ultima infedeltà nei confronti dei miei e di me stesso perché tiro fuori un sacco di cazzi che uno normalmente non vorrebbe tirare fuori. Mio fratello, il compagno di mia madre che la picchia; poi l’amicizia, nei confronti di un amico in particolare il cui nome non è rilevante; infine l’ultima infedeltà nei confronti di me stesso e dell’immagine che ho dell’amore. Sembra molto personale e che riguardi una tipa, in realtà è ciò a cui aspiro. Poi mi ricollego alla mancanza di mio padre, che mi spinge a non legarmi troppo. Sono così abituato a una distanza che alla fine sto bene, mi fa stare al sicuro.

In ogni caso Decrescendo è un ritorno a una scrittura più tua?
È stata la conseguenza a due album più leggeri, anzi a tre progetti se includiamo anche No stress con Irama. Che poi non è mai davvero leggero quello che scrivo io. Anche se a volte non sono superfan di cose che ho fatto, meno male. Per certi versi non ho mai pensato strategicamente a cosa stessi facendo mentre scrivevo questo album. Per altri, è stato come tornare a 16 anni, o anche a 20 anni, quando sei acerbo e stai messaggiando con la ragazza che ti piace e magari ti dici: «No, le rispondo tra un’ora e mezza». Perché ci tieni, ti piace e non vuoi affrettare le cose, non vuoi rischiare che quel bacio dato frettolosamente possa rovinare tutto. Quindi ci sono delle parti in cui ho dovuto pensare tanto a quello che sarebbe emerso, a quello che stavo provando a dire. Altre volte ho scopato con la musica facendo cadere tutto dal comodino.

Foto: Mattia Zoppellaro

Sei una persona impulsiva?
Di base sono molto impulsivo. Il lavoro negli ultimi anni, di cui sono abbastanza contento, è un giusto equilibrio tra il ponderato e l’impulsivo. Rappresenta il me di adesso, che sa dove sta andando, che si conosce di più. L’errore lo fai più piccolo del precedente, sai fermarti nei casi più estremi di grande baldoria e ti diverti molto di più perché sai quante pilloline puoi prendere quella sera. Altre volte invece sono tornato ai pensieri di quando ero più piccolino, quando ho sempre voluto fare il pezzo per la mamma ma non avevo parole abbastanza adatte per la grandezza della cosa. Non avevo l’intelligenza, gli strumenti, la maturità, il linguaggio. Alla fine questo pezzo prova a nascere come una dedica alla mamma, ma alla fine sta parlando molto di me. Sul ritornello gioco molto sul quando ero piccolino. È come se il ragazzo di 30 anni e quello di prima avessero un colloquio.

È molto bella anche la copertina del disco: una foto di classe piena di bambini e maestre sorridenti. E poi in mezzo ci sei tu, serissimo.
La copertina nasce nel periodo in cui insieme a Virginia Ricci ho scritto il video di Odio quindi sono. È stato bello perché era la prima volta che ho seguito tutto, dai casting alle riprese. Ed è anche una critica sociale al momento in cui ok, videocamere o fotocamere accese, in questo caso una foto di classe dell’asilo, in cui appunto il flash è acceso e sorridiamo. Nel momento in cui si spegne finisce il sorriso. Questo succede alle feste, ai release party dei miei colleghi, o quando ti arriva il vestitino e fai la fotina ma poi ti vesti di merda per il resto della giornata. Poi, era perfetta la foto perché rappresentava la mia apatia in mezzo a un grande momento di festa.

Insomma, il disco è partito in un modo e poi è finito per essere altro.
Penso anche a Vorrei con Ernia. Il ritornello è mega pop ma è un pezzo incazzato allo stesso tempo. Sono un grande fan dei ritornelli, del fare la hit non per volerla fare. Perché mi viene quella roba lì, un disco mi deve esplodere.

È anche molto danzereccio ed estivo. Secondo me non avrebbe avuto lo stesso gusto se fosse uscito a novembre.
Ci sono delle cose estive, è vero. I fan del rap arriveranno al terzo pezzo e diranno «Ok, ha fatto la roba pop». Se avranno un po’ di pazienza si ricrederanno. Ero partito col «cambio il mondo della musica e delle produzioni, vado a prendere questo musicista londinese, faccio questo e quest’altro». Poi in realtà è iniziato a diventare troppo intimo e a volte complicato. Immaginati se L’ultima infedeltà avesse una batteria sotto. Non sai quante volte abbiamo provato a fare delle follie dietro. La scrittura è complicata, non potevo fare chissà cosa. Io ero partito tipo facciamo i N.E.R.D. mischiati ai Gorillaz però in un modo figo, come farebbe Damon Albarn. Ma poi i contenuti e la musica hanno capitanato, dominato. E poi per fortuna negli ultimi sei mesi sono nate anche delle cose più leggere, grazie a Dio. Perché stava diventando bello intenso. Per questo ha tanti brani.

I featuring comunque sono azzeccati. È tutta gente che scrive e anche bene.
Da Izi a Nayt, fino ai due pezzi con Matteo (Ernia) è tutta gente che si è impegnata molto. Ci siamo ascoltati tanto il disco, siamo stati tanto in studio. Con Ernia poi sono nati due brani anche perché è la persona che frequento di più, anche nella vita vera. Finalmente da un anno ci vediamo di più anche con tutti gli altri, però Teo è proprio una costante negli ultimi quattro anni. Pranziamo insieme, facciamo le passeggiate, ci facciamo i cazzi nostri. E quindi è nato Veleno, che è un gran pezzo però più leggero. Visto che anche lui è un’anima che vuole fare tante cose, gli ho proposto Vorrei e da lì è nato qualcosa di più profondo. Hanno tutti capito che per me era un disco importante e si sono impegnati a scrivere molto bene. Questo lo apprezzo molto.

Si percepisce infatti.
Con Tedua poi è un pezzo tecnicamente veloce, che mi ricorda un brano molto vecchio che si chiama Zero zero e alla fine è una lettera a me stesso. È un parlare tra di noi. Mi mancava un po’ andare più di pancia che di testa, andare comunque dove mi piace andare in totale libertà.

Se normalmente penso che un artista ci tenga che il disco venga ascoltato nell’ordine della tracklist, qui forse credo valga ancora di più la regola. L’ultimo pezzo è il più intenso, che finisce al culmine di un crescendo rossiniano.
Sì, col gridone finale. Tra l’altro Così piccoli è anche il mio pezzo preferito. Sai però che non so se ho fatto la tracklist giusta? Se penso al pubblico che pensa che ora io sia tornato a fare un disco rap, cosa che magari in parte è, penso che al quarto brano lo perdo. Dopo Lazza diranno, no ha fatto un disco pop. Però io sono così.

Bah, comunque 18 tracce sono tante. Se ti perdi alla quarta, forse non sei in grado tu di ascoltare propriamente musica.
E pensa che ne ho anche di più. Ho un piano malefico in mente. Probabilmente l’ascoltatore medio non se l’accollerà, ma non importa. Io sono sempre stato più da disco che da singolo. Confido ancora in questa, per me, fortuna. Poi uno se lo può ascoltare in diverse parti, però in questo caso non mi bastavano otto tracce per raccontare quello che volevo raccontare. Poi di sicuro non farò mai più passare così tanto tempo tra un disco e l’altro. Anche se c’è da dire che il successo di Taxi Driver gli ha permesso di avere una coda molto lunga, anche grazie all’MTV Unplugged. Poi ho fatto vari tour, X Factor e Sanremo di mezzo. Non avevo tanto tempo per scrivere. Il problema mio è che ho troppi dischi in testa e già so che mi sono perso delle fotografie da raccontare.

Hai mai provato a fare roba extra musicale?
No, adesso sto studiando tanto musica. E poi ho dei progetti paralleli in cui sono più un investitore, però non uscirei mai dalla musica. Quello che mi piacerebbe fare un giorno è tipo Rkomi & Friends o anche progetti più sperimentali come un Damon Albarn. Però credo sia più complicato. Io ho ancora l’ansia che non mi capiscano, ce l’avrò sempre. Non mi sento capito. Mi sento sminuito, giudicato costantemente. Sicuramente il mio modo di vivere non avrà vita lunga in termini di stress. Forse la mia è una questione di non rendere giustizia ai grandi artisti che stimo.

Beh, hai già citato due volte Damon Albarn. Mi sembra che comunque hai standard molto alti.
Lui è solo uno dei tanti. Ti posso nominare Thom Yorke, Trent Reznor, i Viagra Boys, gli Idles. Ho bisogno di sapere per assurdo che la mia musica a loro piacerebbe. Un po’ è anche egocentrismo, lo so. I miei cambi invece agli occhi degli altri non so se sono mai stati capiti. Damon Albarn ha avuto i Blur, i Gorillaz, i The Good The Bad and The Queen. Reznor ha i Nine Inch Nails, il progetto con la moglie e mille altre cose. Vorrei che anche di me diressero che è musica con le palle. Si collega anche a tutto il discorso di risarcimento nei confronti della vita.

Però devi anche contare i tempi: non so quanta gente se li cagherebbe ora i Nine Inch Nails se uscissero adesso col primo disco.
Sicuramente nessuno.

Rkomi, Lazza - non c’è amore. (Visual)

Tu nel tuo puoi intanto continuare a fare dischi lunghi, anche solo per contrastare il deficit dell’attenzione da social.
È verissimo. Un’altra cosa che voglio fare è seguire dall’inizio alla fine tutto. Dai video alle produzioni, perché penso sia asettico ai miei occhi il lavoro altrui, nel senso, se poi ci devo mettere io il mio nome. Ho bisogno di gente che mi faccia uscire dalla comfort zone. Poi magari spesso sto sul cazzo ai registi e alla gente che lavora con me. Però poi alla fine sono contenti. Sicuramente grazie a questo album ho capito di dover volare basso, di non fare le rivoluzioni. Alla fine io non lavoro per me, tolti i soldini e la casa io sarei anche a posto. A me piacerebbe fare qualcosa per gli altri come gli altri hanno fatto per me. Come le persone guida che ho trovato nella mia vita mi hanno aiutato.

In ogni caso qualcosa per gli altri lo stai facendo. Dici che puoi fare di più?
Io credo che il megafono che abbiamo tutti quanti non lo stiamo usando come dovremmo. Anche quando vai a parlare della Palestina a Sanremo, alla fine non è abbastanza. Gli anni Novanta erano invece questa cosa qua. Noi invece non stiamo facendo un cazzo, lo stiamo facendo per noi e basta. È quella la cosa che mi fa sentire come tutti gli altri. Non credi che non stiamo facendo un cazzo noi artisti per raccontare il genocidio che sta succedendo a Gaza?

Però puoi usare la tua voce al di fuori della musica, puoi usare la tua figura pubblica e i tuoi soldi per esempio per comprare una barca che raccoglie gente che sta annegando nel Mediterraneo, come ha fatto Ghali.
Sì, quello lo puoi fare.

Dopodiché, ho apprezzato il titolo politico del disco. La decrescita è sicuramente il primo step per fermare una macchina impazzita che sta distruggendo il pianeta.
Sì, è una gestione pessima per cui il capitale poi ti condiziona anche nel quotidiano. Anche nell’amore, dove il nuovo è l’unica cosa che ti dà soddisfazione. Sembra che un amore dopo un po’ scade e va sostituito con uno nuovo, come se fosse un iPhone. Ma in realtà è la cosa meno nuova che puoi fare, perché ripeti sempre lo stesso processo all’infinito. Abbiamo solo l’illusione del futuro, mai il vero futuro. Ci riempiamo di giocattoli. Nel rap in Italia è solo una gara a chi ha più giocattoli.

Beh, per fortuna non ascolti solo rap.
Lou Reed è quello che mi ha flashato. È lui che mi ha mandato a puttane il cervello, facendomi capire che non sto facendo un cazzo e che sono uno scemo. O Patti Smith. Però non è possibile che non nascano più persone del genere. Io di certo non lo sono.

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