Lauryn Hill: «Cantavo di razzismo sistemico e mi davano della pazza» | Rolling Stone Italia
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Lauryn Hill: «Cantavo di razzismo sistemico e mi davano della pazza»

In una rara intervista, la cantante racconta com’è cambiata la sua vita dopo 'The Miseducation', l’atteggiamento distruttivo dell’industria, i fan possessivi, la lotta per mantenere l'equilibrio

Lauryn Hill: «Cantavo di razzismo sistemico e mi davano della pazza»

Lauryn Hill nel 1998

Foto: Anthony Barboza/Getty Images

Alla fine degli anni ’90, la storia della musica pop era la storia di Lauryn Hill. È diventata famosa prima come attrice e membro dei Fugees, il cui secondo e ultimo album The Score (1996) è stato uno dei maggiori successi del decennio. Poi, a soli 22 anni, si è presa un rischio enorme e ha iniziato la carriera solista. Pubblicato nel 1998, The Miseducation of Lauryn Hill ha riempito i club, le radio e MTV con voce sinuosa e ritmi pungenti. Anche Hill era ovunque, apprezzata dal mondo della moda e inseguita da produttori cinematografici per ruoli che ha sempre rifiutato. Miseducation ha vinto cinque Grammy e ha dato vita a un tour gigantesco.

All’inizio del nuovo millennio, però, Hill ha voltato le spalle al successo e all’industria. Non ha più pubblicato alcun disco solista; la sua ultima uscita è MTV Unplugged No. 2.0, nel 2002, una raccolta di canzoni acustiche accolte con poco entusiasmo.

The Miseducation of Lauryn Hill, invece, sopravvive. A più di vent’anni dall’uscita, è ancora considerato uno dei dischi migliori di sempre. Molte di quelle canzoni permeano ancora la nostra cultura, come il singolo Ex-Factor, campionato o interpolato in hit gigantesche di Drake e Cardi B. L’album ha avuto un impatto enorme su più generazioni di musicisti. Chiunque da Rihanna a St. Vincent ha citato Hill come grande influenza.

Gli anni dopo Miseducation sono stati complicati. Dopo l’uscita del disco, alcuni collaboratori di Hill l’hanno accusata di non averli accreditati per il loro contributo. La questione si è risolta fuori dalle aule di tribunale, tre anni dopo, ma i termini non sono noti. Nel 2012 è stata accusata di evasione fiscale e ha passato tre mesi in prigione. Di recente è tornata a suonare dal vivo e pubblicare – sporadicamente – nuova musica, ma nel complesso si è crogiolata nell’amore collettivo per Miseducation, celebrato con una serie di concerti speciali.

Lauryn Hill ha rilasciato una rara intervista a Rolling Stone. Ha risposto alle domande via e-mail, raccontando onestamente di come ha cercato di proteggere la sua famiglia e del poco supporto ricevuto dopo l’uscita del suo primo disco.

Quando hai iniziato a registrare Miseducation avevi 22 anni, ma avevi già avuto un successo straordinario con i Fugees. Che cosa volevi dimostrare con quel disco? 

Credo che sia una storia grande e complicata che sarebbe meglio raccontare in un secondo momento. Posso dire che il successo dei Fugees ha aperto la strada a quello di Miseducation. Quando ho deciso di lavorare a un progetto solista, mi sono trovata di fronte a tante resistenze e tentativi di scoraggiarmi da parte di chi invece avrebbe dovuto supportarmi. È stato un fattore motivante, ma ho fatto quel disco non tanto per dimostrare qualcosa, ma per creare musica. Volevo esplorare idee e concetti, ho scelto una direzione e ho tirato dritto. All’inizio volevo lavorare con produttori e artisti diversi, poi mi sono resa conto che quello che volevo vedere e sentire era stravagante per l’epoca, non potevo semplicemente spiegare a qualcun altro come fare. Doveva essere un lavoro personale. Il team che alla fine è stato coinvolto l’ha osservato mentre prendeva forma. Era unico ed eccitante.

Hai detto che la gravidanza ti aveva reso particolarmente creativa. In che modo ha influenzato il tuo modo di scrivere?
È una cosa assurda da dire, ma durante la gravidanza sono stata quasi sempre sola. Le persone che prima erano sempre pronte a chiedermi qualcosa si sono volatilizzate. La pace che ne è venuta fuori mi ha fatto sentire più creativa. Durante la realizzazione di Miseducation ero incinta per la prima volta, la situazione era complicata ed ero motivata a trovare stabilità e sicurezza per me stessa e il bambino. È questo che mi ha spinto a superare quelli che sembravano dei limiti. Magari faticavo a farlo per me stessa, ma avevo qualcun altro per cui combattere. E poi c’era il padre, Rohan Marley, che all’epoca era una presenza protettiva. Lui teneva a bada tutte le persone che mi impedivano di creare.

Ho sempre voluto produrre un cambiamento positivo, soprattutto in quel periodo. È tutto nei testi, c’è il desiderio di vedere la mia comunità prendere la sua strada, identificare e confrontare ostacoli interni ed esterni, vivere l’amore e capire che amare te stessa ti trasforma. Ho cantato e ho scelto di condividere questa gioia, l’estasi e le delusioni, le lezioni di vita che avevo imparato fino a quel punto. In breve: ho iniziato davvero giovane, LOL.

Con il senno di poi, Miseducation è come lo volevi?
Sono sempre parecchio autocritica, quindi ci sono tante cose che avremmo potuto fare diversamente. Ma l’AMORE che c’è nel disco, la passione, l’intenzione, per me è innegabile. Credo volessi semplicemente fare qualcosa per dire ai miei padri e alle mie madri musicali e politici che qualcuno aveva ricevuto quello per cui si erano sacrificati, e volevo anche che i miei contemporanei sapessero che potevamo vivere in quella verità con orgoglio e sicurezza in noi stessi. All’epoca sentivo quella responsabilità. Vedevo il divario economico e di istruzione nelle comunità nere e anche se ero davvero giovane, ho usato la mia piattaforma per provare a colmare quel divario e diffondere informazioni e concetti di cui “noi” avevamo bisogno, anche se ancora non lo sapevamo. Quelle cose avevano un valore enorme per me, anche da bambina.

Credo anche che il disco fosse ben diverso dai cliché dell’epoca. Ho sfidato le regole e imposto un nuovo standard. Credo che Miseducation l’abbia fatto davvero, credo lo faccia ancora: sfida le convenzioni. Dovevo muovermi velocemente e con grande decisione per affrontare norme disfunzionali consolidate e diffuse. Mi consideravano una che porta guai, una personalità distruttiva, non una persona che proponeva soluzioni e opzioni a gente che non ne aveva, che mostrava bellezza dove prima regnava l’oppressione, che dimostrava il funzionamento di paradigmi culturali diversi. Dovevo muovermi alla velocità della luce per sfidare le norme. Ho sacrificato la qualità della mia vita per far vivere agli altri qualcosa che fino a quel momento era irraggiungibile. Quando ho visto che faticavano ad apprezzarlo, ho fatto un passo indietro per assicurarmi che la mia famiglia stesse bene. E ancora lo sto facendo.

Quell’album ha permeato la nostra cultura come pochi altri e ti ha fatto di te una star. Riuscivi a gestire l’attenzione del pubblico? 

C’erano cose che mi piacevano del successo e molte altre che non sopportavo. Alla maggior parte delle persone piace riconosciuta e apprezzata per il proprio lavoro e i sacrifici fatti. Mi sembra ovvio, ma è importante anche vivere una vera vita, è necessario per restare connessi alla realtà e continuare a creare cose che emozionino la gente. Farlo è difficile nello “spazio” in cui la gente cerca di infilare le cosiddette star.

Stare su un piedistallo ha a che fare tanto con l’adulazione quanto con il controllo. Non tutti riescono a trovare un equilibrio e restare sobri. Per esempio, non va bene sentirsi dire di sì fino alla morte, e la gente ha paura che diventare famosi lo renda inevitabile, ma se la risposta a una richiesta è davvero sì, dire di no per non sembrare uno yes-man è assurdo. Evitare di dire i no per non deluderti può distorcere lo specchio in cui ci vediamo riflessi. D’altra parte, una persona con una visione è spesso avanti, quindi a volte chi gli dice di no per paura col tempo finirà per scoprire di avere torto.

Ho sempre avuto un problema con l’idea degli artisti come proprietà pubblica. Ho accettato di condividere la mia arte, non necessariamente anche me stessa. È pericoloso che la gente si senta in diritto di possedere te o un pezzo di te. Questo tipo di controllo mi irrita, resisto a chi si aspetta che diventi più accessibile e prevedibile invece che esprimere me stessa in maniera autentica. Resisto anche alle aspettative irrealistiche che arrivano da chi non le ha per sé. Posso essere paziente, persino diplomatica. Non posso, però, sottomettermi a una costante autocritica e sottovalutazione.

C’è una versione di Lauryn Hill che la gente si aspetta? E differisce da come vedi te stessa? 

C’è assolutamente. La vita va vissuta e goduta in tutto il suo dinamismo e colore. Quando fai qualcosa che piace alle persone, poi loro vogliono ripetere quell’esperienza all’infinito. Puoi rimanerne soffocata e smettere di crescere. È ingiusto. Dobbiamo crescere ed esprimerci con integrità. Le celebrità sono trattate come vittime sacrificali, vitelli grassi, e vengono giudicate duramente per le loro risposte naturali e normali a situazioni anomale.

Una volta ho visto una persona sommersa di critiche perché aveva parlato dell’ansia che provava prima di salire sul palco, come se l’ansia fosse un problema solo dei non-famosi. Era assurdo, come se chiunque pubblicasse un disco non avesse diritto a prendere il raffreddore. Chi ama l’arte non è immune all’ansia, fa del suo meglio per trascenderla, per lavorarci su così da poter ancora manifestare arte e passione. Alcuni giorni sono meglio di altri. Per qualcuno diventa sempre più facile, per altri no. Quei commenti erano eccessivamente ingiusti e duri. In un certo momento [della mia carriera] non mi piaceva come venivo trattata. Non ero trattata bene, sicuramente non come meritava qualcuno che aveva contribuito [alla musica] come me. Ero vittima di gelosie e competitività. È frustrante, rischi di vanificare gli sforzi per fare qualcosa di diverso da musica primitiva e piena di urla 🙂

Esasperare quella situazione è stato probabilmente intenzionale. Quando sei esposta a certe cose orrende, devi trovare delle ragioni per continuare. La gente è convinta che sia ok proiettare quello che vogliono su persone che sembrano “avere tutto” o “avere troppo”. Venerare i propri eroi può essere una scusa per non prendersi cura di sé. Il lato oscuro dell’adulazioneè orrendo, violento, ostile. La gente si sente inutile e sceglie di scaricare la colpa su qualcun altro. Puoi subire questi abusi oppure dire di no. Dopo aver subito per anni ho iniziato a dire di no, poi quel no è diventato un “diavolo, no”, poi “no, vaffanculo”… e così via :).

Se potessi parlare alla te stessa di 22 anni, cosa le diresti? 

Le racconterei quello che faccio adesso. Se l’avessi saputo allora, forse sarebbe stato tutto diverso. Avrei continuato a investire negli altri, ma mi sarei assicurata di circondarmi di persone dotate di amore, forza e integrità, gente che tiene gli occhi sull’obiettivo e pensa al mio benessere. Il mondo è pieno di tentazioni e se non possono sedurre te, ci provano con le persone che ami o da cui dipendi. Avrei cercato di fare di più per isolare me stessa e le persone che amo da tutti questi attacchi.

Ripensando a quel periodo della tua vita, hai qualche rimpianto? 

Ci sono periodi in cui provo dispiacere e dolore, sì, ma il rimpianto è una cosa diversa, perché ne sono uscita con una lucidità che forse non avrei mai avuto. Se potessi tornare indietro farei più di una cosa diversamente. Farei di tutto per difendermi e per difendere i miei figli. Rifiuterei subito ogni forma di manipolazione e pressione. Sarei più vigile circa i pericoli della fama. Sarei più comunicativa con le persone coinvolte in Miseducation e combatterei più duramente per la libera espressione. Pretenderei di avere quello di cui ho bisogno e mi libererei prima delle persone negative.

Hai pubblicato musica dopo Miseducation e continui a suonare dal vivo. Pensi che uscirà mai un altro album in studio? 

La cosa assurda è che nessuno, a parte la mia etichetta, ha mai chiamato per offrirsi di aiutarmi a fare un altro disco. MAI… MAI. Ho detto mai? Mai! Miseducation non aveva precedenti. Era in larga parte un disco libero per esplorare, sperimentare ed esprimersi. Dopo sono arrivate orde di ostruzionisti coi tentacoli, politici, agende repressive, aspettative irrealistiche, sabotatori. Erano OVUNQUE. La gente mi inseriva nella narrazione del LORO successo, come se avesse a che fare col mio disco, e se questo contraddiceva la mia esperienza, diventavo un nemico.

La “soppressione degli artisti” è decisamente un tema. Non voglio dilungarmi troppo, ma quando avevo bisogno di supporto totale, non ce n’era affatto. Ho iniziato a suonare in tour perché avevo bisogno di mantenere me stessa e la mia famiglia. La gente voleva farmi a pezzi o usarmi per i loro scopi, non per supportare la mia creatività. Il modo e la velocitò in cui creo non sono tradizionali. Devo fare le cose a modo mio. Il fatto che nessuno rispettasse o provasse a capire di cosa avessi bisogno per essere produttiva o sana non mi fa star bene. Quando nessuno si prende tempo per capire, ma solo per contare i soldi e i frutti del processo creativo, le cose si mettono male, e in fretta. Arrivano i maltrattamenti, gli abusi, la noncuranza. Ho scritto un album sul razzismo sistemico, su come reprime la crescita e fa del male (tutti i miei dischi l’hanno fatto, in un certo senso), ben prima che questa generazione ne parlasse apertamente. Mi davano della pazza. Ora, un decennio dopo, questa discussione fa parte del mainstream. Ero avanti, ma sono stata ostacolata. Da una parte c’subito abusi e ostracismo, dall’altra tutti mi copiavano. Io protestavo, ma nessuno ammetteva che stava succedendo quel che dicevo. Era difficile.

Continuerò a suonare in tour e a condividere [la mia musica] col pubblico di tutto il mondo, ma farò lo stesso per guarire dal trauma, dal senso di soffocamento che è arrivato insieme a quel disco, da quello che ha colpito me e la mia famiglia. Da molti punti di vista abbiamo cominciato a vivere solo adesso, stiamo recuperando gli anni in cui non eravamo liberi. Ho dovuto superare tante resistenze ingiuste, tanta avidità, paura e pura cattiveria. Ci sono poche cose migliori della libertà. Se essere una superstar significa vivere da repressa, con gente che lavora con te o investe in te solo per manipolarti e controllarti, allora non capisco come sia possibile scrivere musica importante senza che ne venga fuori qualcosa di tragico. Non mi interessa.

Infine, voglio bene alle persone commosse da quel lavoro, che rappresenta davvero il risultato di una vita d’amore, saggezza, famiglia e comunità, la sublimazione delle mie esperienze, delle relazioni, dei sogni, dell’ispirazione, delle aspirazioni e dell’onnipresente grazia di Dio, vista attraverso gli occhi di una ventenne con la saggezza di un’anziana, LOL. Sognavo in grande, non pensavo ai limiti, ma solo alle possibilità creative e a rispondere ai bisogni che sentivo. Avevo il supporto di una comunità di artisti talentuosi, pensatori, amici e familiari. Il loro obiettivo principale (ALL’EPOCA) sembrava essere aiutarmi e proteggermi. Purtroppo, quando crei qualcosa di talmente potente da eliminare ogni stronzata, finisci per scontentare forze ed energie di ogni tipo. Cercano di corromperti e scoraggiarti, distrarti e distruggerti, dividere, sabotare… noi siamo testimoni del fatto che è successo: una giovane donna nera grazie alla cultura hip hop ha comunicato amore e messaggi immortali al mondo.

L’industria discografica può essere piena di intrighi, un posto dove pochi decidono per tanti. In una situazione del genere è difficile che ci sia giustizia. Ora cerco equità e correttezza. Sono felice di essere amata per il mio contributo alla musica, ma è altrettanto importante essere amata per chi sono, e trovare questo equilibrio è delicato ed estremamente importante. Viverlo è stato importante.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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