La svolta “dance” dei Tame Impala: «La musica è come un treno, sei libero di scendere quando ti pare» | Rolling Stone Italia
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La svolta “dance” dei Tame Impala: «La musica è come un treno, sei libero di scendere quando ti pare»

Dopo aver vinto tutto nello psych rock e nel pop, Kevin Parker esplora in ‘Deadbeat’ territori rischiosi. Intervista a un neo padre che vuole rimanere fedele a sé stesso: mai smettere di evolversi

La svolta “dance” dei Tame Impala: «La musica è come un treno, sei libero di scendere quando ti pare»

Kevin Parker

Foto: Julian Klincewic

La prima volta che ho parlato con Kevin Parker, ovvero il nome che si cela dietro al progetto Tame Impala, è stato un disastro. Era il 2015, dieci anni esatti fa, ed era appena uscito Currents, uno dei dischi più di successo di tutta la carriera del musicista australiano.

Eppure, in qualche modo aveva la luna storta quel giorno, magari per via di accuse varie di plagio (poi decadute) riguardo a dischi che aveva prodotto ad altri. Insomma, un’intervista da buttare nel cesso. Ironia della sorte, il cellulare su cui era stata registrata la telefonata era poi finito per davvero inavvertitamente in un cesso, costringendomi a optare per la traduzione dell’intervista che gli aveva fatto Rolling Stone US.

La seconda volta invece è stato uno spasso. Un anno dopo, per promuovere il tour del suddetto album, Kevin si era redento mostrando il suo lato più divertente e luminoso, anche caciarone come si conviene a ogni australiano che si rispetti. Avevamo parlato di Kanye West e di psichedelia, in un quarto d’ora di perle talmente sagge che sono riverberate nella mia mente molte volte negli anni successivi. Una su tutte: «Si è vista più droga a Wall Street che a Woodstock, credimi».

Per cui, per un computo scientifico, eravamo sostanzialmente a una intervista buona vs. una pessima. Bisognava fare la bella. Ben nove anni dopo, tutti cresciuti ma fino a una certa, Kevin pubblica oggi Deadbeat. Non è niente di meno che un colpo di scena, un plot twist, soprattutto per chi associa il nome Tame Impala al psych rock che l’ha reso famoso un po’ ovunque nel mondo. No, il Kevin di oggi tira fuori dal cilindro un disco scandito dai quarti di cassa, con derive che si spingono persino nei territori finora inesplorati (da lui) dell’hard techno.

Qualcuno pensando a The Less I Know the Better ci rimarrà sicuramente male. Qualcun altro, più accorto, si renderà conto che Deadbeat in realtà è l’album di una persona che in quello che fa ha vinto tutto. E che ora, a un anno dai 40, si è semplicemente guardato allo specchio per quello che è: una persona avida di vita, eternamente insoddisfatta ma comunque pragmatica e self confident nell’ammettere a una certa che o ti piace oppure ci vediamo al prossimo disco.

«È come un treno», mi racconta su Zoom due giorni prima dell’uscita del disco, usando una metafora per la sua musica. «Se ti piace, resti a bordo. Altrimenti sei libero di scendere quando ti pare».

Ciò detto, rimane comunque un disco Tame Impala. Togli le chitarre riverberate, metti la cassa dritta, ma la voce effettata di KP rimane un caposaldo rincuorante per chi alla fine apprezza il progetto per com’è nato. Ovvero, lo sfogo di un (ex) ragazzo che dal nulla cosmico dei dintorni di Sydney ha fatto sapere al mondo che l’Australia non è morta con gli AC/DC. Anzi, è rinata dalla tomba, proprio come il primo singolo Dracula.

Dall’ultima volta che abbiamo parlato sembra passato un secolo. Il mondo fa sicuramente più schifo.
Decisamente, ci sono troppe cose ormai fottute.

E nella tua vita cose’è cambiato? Ora sei un papà.
Oh, un milione di cose è cambiato. Essere diventato padre è solo una di quelle, però è una parte sostanziale. È assurdo se ci penso. Sta funzionando bene. Innegabilmente è una cosa bellissima, ma si va incontro a tanti saliscendi. La magia sta nel fatto che questa persona che tre anni fa manco esisteva, addirittura qualche mese fa se contiamo anche la seconda, ora c’è ed è una delle più importanti della tua vita. Sono molto fiero.

Si vede, visto che tua figlia appare proprio in copertina. Comunque c’è questo commento sotto il video di End of Summer che mi ha colpito molto. Dice: «Ogni volta che fa uscire nuova musica sono una persona diversa, così come lui».
È una cosa bellissima da dire, ed è anche vero. Oggi sono una persona che nel tempo libero continua a giocare con i suoni, ma ora magari gioco alla PlayStation non voglio avere pensieri. Guardo le serie tv, ho guardato Stranger Things ed è anche per questo che volevo che uno dei suoi attori principali, Joe Keery, è protagonista del video di Loser.

Tame Impala - Loser (Official Video)

Qui in Italia diventare padre segna anche un po’ la fine della fase clubbing di una persona. Per te sembra l’opposto.
La dance è sempre stata una mia grande passione, non penso di averne mai fatto un mistero. Però ti assicuro che diventare padre ha cambiato anche nel mio caso la mia partecipazione ai rave o anche solo fare il dj. Per lo meno, partecipo molto meno. Ti rende un po’ più complesse queste cose, ma non le rende impossibili. Bisogna prenderla così come viene secondo me. Ogni situazione, evento, tour è diverso. A volte è più facile conciliare famiglia e vita d’artista che fa concerti, altre volte meno. Una delle cose che secondo me è fondamentale nel diventare un genitore è di non perdere contatto con te stesso. Con ciò che eri prima.

Lo scorso giugno, mentre mettevi dischi al Primavera Sound, mentre suonavi un inedito di questo nuovo album, hai preso il microfono e hai detto al pubblico: «A questo punto non si torna più indietro». Cosa intendevi?
(Ride) Forse stavo facendo un po’ il drammatico. Intendevo che ho tutto il tempo del mondo per fare un album. Ma nel momento in cui fai sentire un nuovo pezzo al pubblico, non puoi più tornare indietro. Penso che lo stessi dicendo soprattutto per me stesso. Mi stavo dicendo: eccoci qua, ora inizia tutto.

Mi viene in mente il meme di Re Théoden de Il signore degli anelli che dice «So it begins» prima della battaglia.
Esattamente quello! Ho pensato alla stessa cosa.

Ma è perché hai paura che i fan non possano capire il disco?
Non è che abbia paura. So che alcuni fan non lo capiranno. Ma è sempre stato così. È uno dei side effects di fare musica, che semplicemente cresci e cambi. Per me è importante evolvermi sempre, sono sempre stato devoto all’idea. Ma so che alcuni fan alzeranno gli occhi al cielo ascoltandolo. Magari lo capiranno più in là. Penso all’onestà creativa nella musica come a quando sei su un treno. Certa gente rimane sul treno, altra scende alla prossima fermata. Nessuno è obbligato a rimanere a bordo, non mi aspetto che tutti i fan lo facciano.

Non obblighi nessuno a rimanere a bordo.
Esatto! Non mi aspetto che tutti i fan lo facciano. Si può sempre scendere e magari risalire alla fermata successiva, oppure cambiare treno. È l’unico modo sano per prenderla, per entrambi le parti: pubblico e me. Perché per me è cruciale fare ciò che mi sento di fare.

C’è di tutto dentro, dalla hard techno di Ethereal Connection alla Italo disco di Afterthought: hai dovuto studiare oppure la tua conoscenza dell’universo dance è già abbastanza vasta?
Beh, ho sempre amato la techno, ma non sono mai stato un esperto nel farla. Penso che un musicista continui a imparare per tutta la sua vita. Non sono ancora ovviamente al livello dei miei artisti techno preferiti, come i Chemical Brothers, Charlotte de Witte, Amelie Lens.

Tame Impala - Dracula (Official Video)

Ah, ti piace la cassa bella potente, eh?
Sì, la techno mi ricorda di quando da ragazzino ho scoperto il metal. La potenza, la durezza, la velocità e anche la minacciosità sono elementi che hanno in comune entrambi i generi. E che a me piacciono molto. E poi la techno mi fa sentire su un altro pianeta.

È vero che il disco si è ispirato soprattutto al fenomeno dei bush doof party in Australia?
Sì, in parte. Credo che il termine bush doof sia semplicemente un modo che abbiamo qui per definire i rave in posti sperduti. Sicuramente ce li avete anche in Italia.

Sì, qui li chiamiamo free party.
Ecco, ogni posto ha il suo nome. Ma alla fine la forma è la stessa: fuggire dalla città e ballare liberamente la techno e fare ciò che vuoi, senza freni e fuori dal mondo reale.

Dal precedente The Slow Rush hai detto più di una volta che non vuoi più faticare nel fare musica. È perché dischi come Currents o Lonerism sono stati logoranti?
Sì, sono stati davvero logoranti.

Non vuoi più impazzire dietro ai compressori?
No, mi piace ancora impazzire dietro ai compressori. C’è però una linea sottile tra un disco divertente e uno faticoso. Dopo l’ultimo album mi sono detto che non avrei più faticato così tanto. Il che non vuol dire che non sia stato faticoso comporre anche questo, ma è un tipo diverso di fatica. Non ti rende esausto almeno.

Anzi, è un disco che ti fa faticare nel ballo. Il che è un’ottima cosa. Ti fa sudare via lo stress e quasi ti fa venire una voglia, come dire, anfetaminica. Hai smesso con droghe e alcol da quando sei papà?
Non necessariamente. Come ti dicevo, è tutta una questione di bilanciamento e di stare in contatto con ciò che si è. Sto decisamente cercando di bere di meno, quello sì. Ma penso che quando qualcuno come me e te diventa padre semplicemente non smette. Lo fa molto meno ma quando lo fa, se lo gode a pieno. Ti tieni da parte i momenti speciali per fare festa e fidati che sono memorabili. I ballerini più caldi sono sempre quelli che non escono spesso.

L’ultima volta che ci siamo sentiti hai tirato fuori una massima: «Si sono viste più droghe a Wall Street che a Woodstock». Credo che sia proprio questo il problema del mondo impazzito in cui siamo degenerati. Perché Woodstock c’è stato una volta. A Wall Street sono tutti i giorni lì e il potere economico di mezzo mondo dipende da quel posto.
(Ride) L’ho detto? Beh, sì lo penso ancora. È un mondo completamente allo sfacelo.

Pensi che Currents avrebbe lo stesso successo se uscisse oggi?
Ottima domanda. Probabilmente oggi lo promuoverei molto meglio. Semplicemente, all’epoca parlavo un po’ più metaforicamente a voce bassa della mia musica, anziché a voce alta. Un tempo quando facevo uscire un disco ne parlavo più male che bene. Oggi per fortuna mi sono liberato di quei meccanismi sabotatori.

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