La storia del disco degli Spoon bloccato dalla pandemia | Rolling Stone Italia
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La storia del disco degli Spoon bloccato dalla pandemia

Pochi mesi fa la band aveva per le mani un album praticamente finito. È arrivato il virus e ora il gruppo ha più di 30 canzoni e nessun modo per registrarle. Ne abbiamo parlato con il frontman Britt Daniel

La storia del disco degli Spoon bloccato dalla pandemia

Gli Spoon

Foto: Oliver Halfin

In primavera le cose si erano messe bene per gli Spoon. Dopo un paio di session ispirate nello studio del batterista Jim Eno a Austin, Texas, i vecchi eroi dell’indie stavano per chiudere il loro decimo album in studio. Le canzoni erano toste, la band rilassata. «Direi che eravamo al 70, 80% del lavoro», racconta il frontman Britt Daniel, 49 anni. «Abbiamo registrato fino al 10 marzo. Il giorno dopo è iniziato questo casino».

Questo casino è la pandemia da coronavirus che ha sospeso la vita degli americani poco dopo l’ultimo incontro in studio della band. L’industria musicale è stata colpita duramente e gli artisti non sono riusciti a guadagnare o promuovere i loro dischi on the road. Gli Spoon, con i membri divisi tra Austin, Brooklyn e Los Angeles, sono stati costretti a tenere per sei mesi nel cassetto un disco praticamente finito, e ora non hanno idea di quando potranno incontrarsi per finirlo. «Non abbiamo mai passato così tanto tempo su un disco», dice Daniel. «Abbiamo fatto tanta strada, ma sembra ancora lontanissimo».

I lavori per l’album sono iniziati alla fine del 2018, con le session nello studio di Eno con il produttore britannico Mark Rankin, che aveva attirato l’attenzione di Daniel grazie ai dischi fatti con Adele e i Queens of the Stone Age. Registrando mini-session incendiarie incastrate tra le date del tour, la band si è ritrovata per le mani un suono live molto diverso da quello dell’ultimo album Hot Thoughts (2017). «Negli ultimi anni abbiamo messo a punto un grande show», dice Daniel, convinto che il merito sia dell’aggiunta alla lineup del chitarrista Gerardo Larios, del bassista Ben Trokan e del tastierista Alex Fischel. «Volevo prendere quell’energia e metterla in un disco».

Daniel ha ascoltato molta musica rock di fine anni ’60 e inizio anni ’70, quando la tecnologia delle sale di incisione si evolveva oltre i registratori a quattro piste. È la musica che amava quando andava al liceo a Temple, Texas. «È stata una ragazza a farmi scoprire i Doors», racconta. «Avevo tutti i dischi in cassetta. Ne ero ossessionato». Compiuti i vent’anni si è appassionato a band come i Velvet Underground e ha mollato i Doors, ma di recente è tornato ad apprezzare il debutto del ’67 e il seguito Strange Days. «Hanno davvero qualcosa di speciale. Amo il sound di quei dischi».

L’influenza dei Doors sulla nuova musica degli Spoon non sarà necessariamente evidente. «Ci sono un paio di Moog sul disco, ma non direi che suona come i Doors», aggiunge Daniel. «Quello che mi piace di quell’epoca sono le limitazioni alle tecniche di registrazione, e il suono che ne è venuto fuori. È a questo che pensavo, non volevo fare Riders on the Storm parte seconda». Allo stesso modo è tornato ad ascoltare il debutto del ’69 dei Led Zeppelin, ma non ha nessuna intenzione di imitare gli acuti di Robert Plant: «Non ho quell’estensione», spiega scherzando.

I membri della band si sono incontrati sei o sette volte prima della scorsa primavera, hanno lavorato con Rankin e almeno una volta con il produttore Justin Raisen (Kim Gordon, Angel Olsen). All’inizio di marzo pensavano di poter finire il disco in tempo per uscire in autunno; quando è iniziato il lockdown, speravano di riunirsi alla fine della primavera e rispettare i programmi. Quando la pandemia ha continuato ad accelerare, le loro speranze sono crollate, così come un altro piano che prevedeva di finire le registrazioni in estate. «Quando maggio è diventato giugno e giugno è diventato luglio, il numero di casi in Texas è andato fuori controllo», dice Daniel. «È diventata una situazione di merda».

Da allora, Daniel è rimasto in un limbo: bloccato nella sua casa di Austin, guarda vecchi film come 2001 Odissea nello spazio e Taxi Driver e scrive nuove canzoni. «È come se ci fossimo allontanati dal traguardo», dice. «E ora vorrei registrare i pezzi nuovi».

Per ora la band ha per le mani quasi trenta canzoni, alcune sono completamente registrate, altre ancora delle bozze. «C’è un pezzo che si intitola My Babe e che parla della mia ragazza», dice. «Inizia come una ballata al piano, ma alla fine è un inno rock da pugno alzato». Un altro dei suoi preferiti, The Hardest Cut, «parla delle guerre che combatti nella testa».

Lucifer on the Sofa, invece, è uno dei pezzi scritti durante lo stop forzato alle registrazioni. Inizia con un frammento in cui Daniel e Fischel improvvisano con piano e chitarre acustiche su un sample di batteria. «Ho preso quei 20 secondi e ne ho fatto un loop infinito, ne è venuta fuori una canzone a forma libera», dice. «Non ha un vero e proprio ritornello, ma c’è un bel groove. La sfida è renderlo interessante per tre o quattro minuti».

Foto: Oliver Halfin

Più di ogni altra cosa, spiega, ha passato questo periodo «cercando di restare positivo». Continuare a scrivere lo ha aiutato. Così come le lunghe ore in macchina per arrivare a Los Angeles, dove ha lavorato con Fischel. «Quando andavamo in tour sul van, facevo la tratta tra il Texas e la West Coast più volte l’anno», dice. «Credimi, non ne potevo più. Adesso invece stare in mezzo a quel panorama sconfinato mi piace. Persino fare benzina mi sembra una piccola avventura. Lo adoro».

Adesso spera che gli Spoon possano finire l’album in tempo per uscire all’inizio del 2021. «Ho già pensato a diversi titoli», dice prima di elencarne qualcuno. «War Ballads era una possibilità. Mi piaceva molto anche Texas Is the Reason. Oppure Nerve Damage. Adesso sto valutando Winter of Love» (per quanto riguarda il significato, dice che «dovrete aspettare per scoprirlo. Ho sempre sentito parlare della Summer of Love, ma mai dell’inverno»).

Prima di ogni altra cosa, però, gli Spoon devono finire di registrare e trovare la tracklist definitiva. «Le canzoni hanno tante atmosfere diverse», spiega Daniel. «Ce n’è una che ha atmosfere spagnoleggianti, un’altra è più r&b. C’è anche un pezzo rock epico. Quando hai così tanta scelta, togliere o aggiungere una canzone può cambiare identità al disco».

Nessuno può dire con certezza quando riusciranno a incontrarsi di persona. «Questa è la cosa più difficile. Un conto è sapere che l’isolamento durerà sei mesi… non sapere quando finirà incasina tutto». Nonostante la lunga e difficile attesa, però, Daniel è ancora felice della forma che sta prendendo il disco. «Muoio dalla voglia di fare l’ultimo passo».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.