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La rinascita di Lady Gaga

Ogni sera davanti a migliaia di persone Gaga combatte contro Gaga in un incubo gotico formato palasport. Qui racconta com’è arrivata alla resa dei conti con se stessa e quanto è fortunata a essere viva

Foto: Greg Swales per Rolling Stone US

Succede tutte le sere. Quando appare in scena in cima a un abito alto quattro metri Lady Gaga si fa prendere dal panico. Il sipario si apre sul palco che richiama un teatro d’opera e svela quell’assurda crinolina grande quanto il cane rosso Clifford e la piccola donna che sta in cima. Ventimila Little Monsters oramai non più tanto little urlano alla vista dell’artista che ha insegnato loro, quando più ne avevano bisogno, che sono born this way. Anzi, ne hanno ancora bisogno.

A Gaga là sopra gira la testa e il cuore che batte all’impazzata. L’enorme abito avanza scivolando verso il fronte del palco e la band suona i primi accordi. In quel momento Stefani Germanotta si prepara alla botta di adrenalina che un tempo le sembrava una ragione di vita. «Mi sento morta quando non sto sul palco», mi ha detto l’ultima volta che ci siamo incontrati, 14 anni e svariate crisi fa, quando non era ancora mai andata da un terapeuta. All’epoca si vantava di non dormire né mangiare. Viveva di «caffè e musica». Frequentava a intermittenza un barista metallaro che considerava la sua musa. Tutti attorno a lei la chiamavano Gaga.

Stava per chiudere le registrazioni del secondo album Born This Way, che avrebbe poi venduto 14 milioni di copie. Era facile immaginare il resto della sua carriera come una continua e tranquilla ascesa. Il disco successivo è stato invece Artpop. I fan l’hanno apprezzato col tempo, ma i critici ne hanno parlato male, le vendite sono calate e Gaga s’è trovata a fare i conti col primo ostacolo della sua carriera in un momento in cui era fragile. Aveva represso un trauma fin dai 19 anni, quando è stata violentata da un produttore, un trauma che stava riaffiorando proprio all’epoca di Artpop.

Ha cercato di metterselo alle spalle e nel frattempo ha registrato alcune delle sue grandi hit. Ha inciso dischi jazz con l’amico Tony Bennett e ha spaccato in Lush Life, il pezzo di Billy Strayhorn che Frank Sinatra considerava troppo difficile da cantare. S’è data al cinema specializzandosi in interpretazioni emotivamente trasparenti e difficilmente conciliabili con la sua personalità musicale sfaccettata. Ha anche inciso la (ottima) colonna sonora di A Star Is Born, ha mischiato le carte con lo stile di Joanne più vicino alla cosiddetta Americana. Ha fatto di tutto pur di non incidere un album di puro pop alla Lady Gaga.

Anche quando si è esibita al Super Bowl e ha portato a casa Golden Globe e Oscar era a pezzi. «Ho fatto A Star Is Born prendendo il litio», svela con noncuranza. Dopo aver girato il film, durante il tour mondiale di Joanne ha avuto un crollo psicotico, così l’ha definito. «Un giorno mia sorella m’ha detto che non mi riconosceva più», racconta. «Ho cancellato il tour. Sono finita in ospedale per sottopormi a cure psichiatriche. Avevo bisogno di una pausa. Non riuscivo a fare nulla… sono crollata. È stato spaventoso. C’è stato un periodo in cui pensavo di non farcela… Sono fortunata a essere viva. So che può sembrare eccessivamente drammatico, ma sappiamo la brutta piega che possono prendere certe cose».

Si è salvata grazie anche al fidanzato Michael Polansky, un imprenditore uscito da Harvard dal carattere gentile e dagli occhi da cucciolo. A differenza di altri, lui l’ha sempre e solo chiamata Stefani. «Essere innamorata di una persona a cui importa della vera me ha fatto la differenza». Questo però significava capire chi era quella “me”. «Come fai a imparare a essere te stessa con qualcuno quando non sai essere te stessa con nessuno?».

Alla fine ha trovato la risposta e ora si considera «una persona sana, completa». A marzo ha pubblicato Mayhem, uno dei suoi dischi più importanti di sempre e si è rimpossessata della sua Gagatudine musicale dopo essersene allontanata per anni. È candidato a sette Grammy, tra cui quello come album dell’anno. «Sono stati mesi e mesi di riscoperta di ciò che avevo perduto. Immagino si intitoli Mayhem proprio per questo, perché è stato folle ciò che è servito per ritrovare tutto quello che avevo perso».

Foto: Greg Swales per Rolling Stone US

Il Mayhem Ball è lo spettacolo più impressionante di una carriera piena di spettacoli impressionanti. Si è capito fin dalle prime esibizioni che Gaga era cambiata. «Non sono più una drogata di adrenalina, ma un tempo adoravo quella sensazione». Ora reagisce come farebbe qualunque persona equilibrata di fronte a un palasport pieno di gente, stretta in un gigantesco costume da Lady Gaga. «Vedo i fan», dice strabuzzando gli occhi «e intanto sono dentro quell’enorme vestito e la musica è fortissima ed è tutto così drammatico… e per 90 secondi devo convinceremi a non avere un attacco di panico». Polansky, che ascolta il segnale audio proveniente dal suo microfono, la sente a volte respirare affannosamente.

È una sensazione che va avanti per tutta la prima canzone: «Sono nel panico durante Bloody Mary». Poi arriva la hit Abracadabra, che forse ha spodestato Bad Romance nella corsa al titolo di canzone più Gaga esistente, col suo ritornello trionfante pieno dei gagaismi tipici di Mother Monster: «Abracadabra, morta-ooh-ga-ga, abracadabra, abra-ooh-na-na!».

Per qualche motivo quando inizia la coreografia della canzone, il battito cardiaco rallenta e lei si ricorda chi è. Tutta la sua preparazione, per questo tour, per ogni tour, dà i suoi frutti. «Ogni cellula del corpo dice: sai cosa devi fare». Più o meno in quel momento tende a guardare il pubblico e a urlare una esortazione familiare: «Tirate su quelle cazzo di zampe!». Yas, Stefani.

«Non è né Gaga né Stefani», mi dice Polansky. «È entrambe, e sì, stanno molto meglio insieme di quanto si pensi».

Lei la mette giù in modo lievemente diverso. «Lady Gaga è la persona che ha creato Lady Gaga», dice, scoppiando in una breve risata per via della tautologia. «Solo che rispetto al passato sono più tranquilla all’idea. Tipo: io sono Lady Gaga. Sai, questa idea che debba essere qualcosa di specifico? È una vecchia storia che mi raccontavo da sola. E ormai non mi interessa più come la gente mi chiama. Sono io e basta».

Non è sempre stato così semplice. È un martedì pomeriggio di inizio luglio, mancano otto giorni all’inizio del tour e tre Lady Gaga si aggirano in quella specie di teatro d’opera che è stato montato in un palazzetto vuoto di Las Vegas. Una Gaga è lassù, in cima al gigantesco abito rosso, silenziosa e immobile, in attesa. Un’altra, in body, sta provando la coreografia vicino a una passerella. La terza è in platea e osserva le altre due nascosta nell’ombra.

La Gaga nell’abito rosso è in realtà una delle ballerine del tour, Jessica Toatoa, una biondina che un po’ somiglia alla popstar. Nello psicodramma del concerto interpreta il lato oscuro di Gaga, la Mistress of Mayhem, quando beninteso non è Gaga a coprire quella parte, visto che a volte incarna invece il suo lato luminoso, la preda di Mayhem, un personaggio che lei considera una Ethereal Gaga. La Gaga in body è un’altra ballerina del tour, si chiama China Taylor e sta “gagando” solo per le prove, cosicché la vera popstar possa guardare se stessa dal di fuori («lo show è creato dalla persona che si trova nel pubblico»).

«Mettiamo un po’ più di fumo sul palco», dice la vera Gaga parlando in un microfono collegato all’impianto audio. È truccata poco, vestita come potrebbe esserlo una sua macchinista teatrale, in nero e con la coda bionda che sbuca dal berretto di lana. Le calze a rete strappate sono l’unico tocco di stile che si è concessa. Nel complesso, è la versione più Stefani di lei che abbia incontrato ed è lo stesso look che il pubblico vedrà quando la cantante riapparirà a fine concerto, senza costume, col viso struccato. Polansky chiama questa incarnazione l’Artista. Ed è proprio lui che Gaga consulta di tanto in tanto. La sua presenza infonde calma. Indossa pantaloncini, t-shirt e sneaker, anche lui ha un look total black. Lei lo considera il suo principale partner creativo ed è accreditato come uno dei creative director e degli executive producer del tour.

Il fumo si fa ancora più fitto, le luci stroboscopiche lo tingono di cremisi, risuonano accordi di synth cupi. Ancora più dello spettacolo finito, questo inquietante e sconcertante spettacolo multi-Gaga sembra un tuffo nel suo subconscio. «Non sbagli», mi dirà più tardi. «È un sogno gotico ed è in qualche modo strettamente legato alla storia dentro di me con cui ho lottato per una vita».

«Credevo si dovesse soffrire per l’arte, ma non era un pensiero sano»

Gaga è concentratissima sul compito che deve portare a termine, il motivo per cui ha riunito le sue “copie” sul palco: sta aggiungendo all’ultimo minuto una versione rielaborata di Shallow, con una messa in scena che richiama Il fantasma dell’opera di Andrew Lloyd Webber. «Portarla sul palco B è sempre un problema», dice Polansky. Hanno escogitato una soluzione inedita: la porteranno su una gondola. Alla crew tocca costruirne una e capire come spingerla lungo la passerella fino al pianoforte che si trova dall’altro lato (sceglieranno la soluzione più semplice: monteranno delle ruote e la faranno spingere dai ballerini).

«Quanto è camp cantare Shallow su una barchetta», dice Gaga, felice. «Ha qualcosa di ridicolo. Ho pensato che fosse una bella sfida proprio perché poteva finire male». L’idea era includere per la prima volta Shallow nel suo universo estetico, visto che il pezzo e il suo arrangiamento riflettono le origini cinematografiche. «Non ha il mio stile distintivo». Le è venuto in mente che Mark Ronson, uno dei co-autori, aveva creato un loop di batteria elettronica che non era stato usato nella registrazione finale. Gli ha scritto un messaggio, lui lo ha recuperato e glielo ha rimandato.

Ora la canzone si apre con un basso synth pulsante che le dona un’atmosfera radicalmente diversa. «Mette in risalto il fatto che la relazione tra Ally e Jackson ha qualcosa di cupo», spiega lei. «È una versione che ti trasmette l’idea che potrebbe succedere qualcosa di spaventoso».

«Seguimi», dice Gaga transitando per corridoi in cemento fino ad arrivare al suo sancta sanctorum nel backstage, chiuso da tende e col pavimento ricoperto da moquette. L’arredamento è minimale: una grande tv contenuta in una flight case, un tavolo apparecchiato per due, foto incorniciate di lei e Polansky, un paio di libri da tavolino (Italian Chic e Vanity Fair 100 Years). Ci sistemiamo su due poltrone gemelle con una candela spenta (una costosa Santal 26 di Le Labo) sul tavolinetto tra di noi. In passato Gaga si sentiva più a suo agio quando la seguivo nelle sue attività quotidiane e non nella dimensione tipicamente introspettiva delle interviste frontali. Stavolta invece entriamo subito in un territorio bello peso.

Il concerto è la versione dotata della strana logica tipica dei sogni di cose che le sono effettivamente successe nella vita. Le permette di recitare e anche di improvvisare nel bel mezzo di un concerto pop. «Non ho mai recitato in questo modo in un palazzetto». A dirla tutta nessuno lo ha mai fatto. «Ogni sera è diverso». Ha pianto dopo un concerto e ha spiegato a Polansky che era successa una cosa nuova: «Quando ho cantato Million Reasons a Mayhem, lei aveva paura di me».

Prova a riassumere brevemente la storia. «Mayhem è il modo in cui do il via allo show. È il mio lato egocentrico, un aspetto dell’essere Gaga che detesto. Fondamentalmente annuncio di essere la regina e faccio cadere una versione più ingenua e giovane di me stessa in un sonno profondo col desiderio di torturarla, per insegnarle a essere adulta. Ethereal Gaga lo accetta. Cade in questo delirio gotico e Mayhem è sconvolta perché voleva dare una lezione a quella ragazza e, in un certo senso, abusarne per farla diventare adulta, ma le cose non vanno come previsto».

Foto: Greg Swales per Rolling Stone US. Outfit: Saint Laurent by Anthony Vaccarello

C’è ovviamente un risvolto autobiografico nemmeno troppo velato. «Non credo che la gente sappia quanto sono stata sfruttata sul lavoro quand’ero giovane», dice Gaga. Le ricordo la volta nel 2009 in cui l’ho vista fare sei canzoni dopo mezzanotte per un insignificante video promozionale. La voce l’ha mollata, lei è scappata per poi tornare costringendosi a portare a termine quella performance irrilevante con un livello di determinazione sovrumana che mi era parsa preoccupante. Proprio come il personaggio che interpreta, aveva l’abitudine di abbracciare il dolore che le veniva inflitto. «Credevo si dovesse soffrire per l’arte, ci credevo davvero. Era un pensiero ingenuo e puro, e niente affatto sano».

Mentre registrava Mayhem, Gaga faceva sogni «su diversi lati di me stessa». C’è un verso in Perfect Celebrity su un “clone… addormentato sul soffitto”. Disease racconta il lato oscuro di Gaga prima che riuscisse a dargli un nome: “Sei tormentata quando dormi / Assediata dai tuoi ricordi”.

Ciò che Gaga non ricorda del tutto – e nemmeno io, finché non ho riletto le mie trascrizioni – è che aveva visioni simili già nel 2011. «Ho fatto un sogno in cui dentro di me c’era qualcosa di malvagio», mi diceva all’epoca mentre attraversavamo Manhattan a bordo di un’auto. «C’era un muro bianco e per liberarmi della negatività e del male dovevo colpirlo. A quel punto un’essenza sarebbe volata fuori dal centro della mia anima. Cercavo di liberarmene, era una sorta di esorcismo».

In quel periodo evidentemente l’esorcismo non ha funzionato. Il personaggio di Mayhem è nato quando si è trattato di produrre il video di Disease. «Abbiamo iniziato a esplorare tramite la coreografia l’idea della lotta contro me stessa. Quella canzone parla di qualcuno che vuole farti del male e quel qualcuno sei tu». Gaga aveva già giocato con l’immaginario horror, ma il video di Disease ci fa intravedere i suoi pensieri più cupi, un modo sorprendentemente intransigente di aprire un ciclo discografico cruciale. Il video inizia con lei cadavere che canta, dopo essere stata tirata sotto da un’auto con Mayhem al volante. E le cose non migliorano, anzi somigliano sempre più da incubo.

Curiosamente, il video e l’idea ripresa nel tour potrebbero non esistere senza il famigerato megaflop di Joker: Folie à deux uscito ad ottobre di un anno fa. «C’era un’enorme negatività attorno a Joker. E penso che in quel momento mi sentissi artisticamente ribelle».

L’interpretazione sentita di Gaga nei panni di una Harley Quinn tragicamente delirante è stata una delle poche cose del film che sono state apprezzate. Le recensioni sono state feroci. I fan del primo Joker sono stati respinti dal film: se quello del 2019 era un drammone ambientato nel degrado urbano alla Scorsese, quello del 2024 era una specie di musical surreale sulla malattia mentale, con un intermezzo animato.

Dopo tutte le esperienze che ha vissuto in vita sua, l’ondata di odio per il film l’ha ferita? «Non è che fossi, tipo, impassibile», dice, sorridendo. «È buffo, quasi mi innervosisce raccontare come ho reagito. Ma la verità è che mi sono messa a ridere. Stava diventando una cosa da matti». La sua divertita incredulità, però, alla lunga si è attenuata. «Quando ci mette un po’ a svanire, può diventare doloroso, perché ci ho messo tanto di me stessa».

«Lady Gaga è la persona che ha creato Lady Gaga»

Il video di Disease è una sorta di risposta a quell’ostilità. «Ho messo tantissima energia in quel video. Ero in quello stato, capisci, ero tipo: ora vi faccio vedere chi sono, vi faccio vedere com’è questa lotta».

Il risultato è stato fin troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo. «Quando abbiamo finito di girarlo, sono finita con la testa in un posto buio», dice Gaga. «Forse avevo spaventato me stessa… Mi ha turbato per settimane. Non mi andava via dalla testa. Cercavo di capire cosa stavo cercando di dire. C’è una parte di me che ha paura di un’altra parte. Avevo la sensazione, immagino, di non essere del tutto guarita».

A partire dall’esibizione al Coachella ad aprile, che ha rappresentato in buona sostanza la prima prova dello show, ha deciso di mettere al centro della performance quella guerra interiore. «Ho voluto trasformarla in una cosa che tutti potevano capire e amare, e non doveva essere lo show più cupo che avessi mai fatto. Mayhem dice: “Devo essere cupa”. Perché c’è qualcosa dentro di me che mi spinge ad essere la più dura o la più estrema?».

Ride quando le faccio notare che, alleggerita o meno, ha scelto di mettere al centro di un tour mondiale un’idea che lei stessa ha trovato psicologicamente destabilizzante, costringendosi a metterla in scena una sera dopo l’altra. «Hai appena, ehm, centrato il punto e allo stesso tempo mi hai psicanalizzata. È decisamente da me avere un’esperienza traumatica e poi far girare tutto attorno ad essa». Ma, secondo lei, «il disagio nella vita può renderti migliore, devi solo permetterti di attraversarlo e superarlo».

Nel video di Disease c’è un altro picco di orrore, quando poco dopo la metà Mayhem rigurgita della bile nera. Poco dopo la scena cambia ed Ethereal Gaga abbraccia la sua nemica mostruosa cantandole il ritornello: “Posso curare la tua malattia”. Le immagini possono richiamare un momento chiave della carriera di Gaga, dopo il contraccolpo di Artpop. Mentre cantava Swine al South by Southwest nel marzo 2014, Gaga ha fatto sputare latte colorato sul suo corpo all’artista performativa Millie Brown. La cosa non è piaciuta granché e si è anzi dibattuto sul fatto che incoraggiasse la bulimia. La trovata ha contribuito all’idea che Gaga stesse permettendo alla sua inclinazione per lo spettacolo e al presunto desiderio di scioccare di mettere in ombra la musica.

Lei ha cercato di spiegare che la canzone (“Sei solo un maiale in un corpo umano”) e la performance non erano provocazioni fini a sé stesse, ma un tentativo di elaborare la violenza sessuale che aveva subito. Nessuno le ha dato ascolto e il rifiuto diffuso nei confronti di Artpop ne ha cambiato la carriera. «Sì, ha avuto un grande impatto, più di qualunque altra critica per qualsiasi altra cosa abbia fatto. È stata dura.… Per la prima volta ho ricevuto una critica pesante per un mio lavoro».

Foto: Greg Swales per Rolling Stone US. Giacca: Sam Lewis, prodotta da Seth Pratt. Headpiece: Philip Treacy. Collant: Falke. Scarpe: Vivienne Westwood

A inizio ottobre, durante una breve pausa dal tour, Gaga torna nel posto in cui è nato Mayhem. È appollaiata su una poltrona di pelle nera in una saletta dei Village Studios di Los Angeles. Indossa un blazer nero oversize sopra una t-shirt dei Social Distortion e stivali al ginocchio in pelle col tacco. Sta smaltendo un raffreddore, ma gli occhi le brillano. Finalmente il tour corrisponde alla sua visione e ha appena vinto il premio come artista dell’anno agli MTV VMA. «Ho fatto un sacco di concerti, mi sento bene».

Nel 2023 Gaga era seduta allo Steinway che si trova nell’angolo della stanza e aveva iniziato a scrivere col produttore Andrew Watt quello che sarebbe diventato il primo brano per il disco, la canzone d’amore Vanish into You. I due si erano incontrati qualche mese prima, quando Watt stava lavorando a Hackney Diamonds dei Rolling Stones. Lei si trovava da quelle parti a registrare musica legata al film Joker e Mick Jagger l’ha invitata a entrare mentre stavano incidendo la ballata dal sapore gospel Sweet Sounds of Heaven con Stevie Wonder alle tastiere. Watt ha trovato il coraggio di metterle un microfono in mano e, nel giro di pochi minuti, la canzone è diventata un duetto.

«Ho potuto assistere per la prima volta, oltre a quando l’ho vista sul palco, alla sua totale mancanza di paura», racconta Watt. «Ok, è Lady Fucking Gaga, ma loro sono i Rolling Fucking Stones. E Stevie Fucking Wonder. E quella era una canzone che lei aveva ascoltato solo due volte. Quando Mick le ha dato il testo, è entrata subito nel mood».

Gaga e Polansky sono rimasti in contatto con Watt e lo hanno coinvolto quando la cantante è stata pronta per iniziare a registrare il disco. Alla fine hanno curato assieme la produzione esecutiva. Mentre Vanish into You prendeva forma, Watt suggeriva di aggiungere al team il produttore Cirkut. Hanno collaborato per un anno durante il quale Gaga è tornata al suo stile dopo tante deviazioni che lei stessa ricollega direttamente al post Artpop.

«Ho investito tanto in Artpop, il mio opus EDM. Stavo attraversando un periodo caotico. A volte è difficile restare coi piedi per terra quando senti che il terreno sotto di te sta cedendo». Con quell’album e le scelte che aveva fatto non aveva dato al pubblico ciò che si aspettava. «Alla gente non piace quando dico: non mi vestirò come volete voi, non avrò i capelli che volete voi e non farò pop come volete voi. Perché voi volete che tutto suoni come Bad Romance e quello non lo farò mai più».

Col senno di poi, Gaga vede anche del sessismo in quelle reazioni. Quando un uomo rifiuta di ripetersi, osserva, viene celebrato come un visionario, un «pensatore radicale che esplora nuovi territori», uno che non «deve aderire ai fasti del passato». Lei invece è stata trattata come una artista «finita». E aveva solo 27 anni.

Secondo lei, il mondo la trattava come un prodotto, non come un’artista. «Ovunque andassi era solo: prodotto, oggetto, business. “Cosa possiamo farle fare? Farà questo? Possiamo convincerla a fare quest’altro?”. Sono diventata un enorme business per molte persone la cui priorità non era garantirmi un’esperienza artistica dignitosa, ma farmi guadagnare più soldi possibile il più velocemente possibile. C’è stato un momento in cui non c’erano più strumenti nelle stanze. Si trattava solo di cercare di controllarmi, come fossi il pezzo di un ingranaggio».

Outfit: Saint Laurent by Anthony Vaccarello. Headpiece: Tomovyov

Così, semplicemente, è uscita da quel mondo facendo delle deviazioni con l’aiuto iniziale di persone come Tony Bennett e Bradley Cooper. «Uno dei modi in cui mi sottraggo alla conversazione quando diventa difficile è tracciando una mia strada… Ho continuato a creare spazi in cui potevo avere il controllo. Pensavo: forse se faccio questo, non sarò più un oggetto».

Tutte quelle deviazioni erano necessarie. «Mayhem non sarebbe mai nato senza i dieci anni di esperienza che avevo alle spalle. Quasi trenta, se conti tutti i miei anni nella musica. Come sarebbe suonato Mayhem se non fossi diventata una cantante jazz? Se non avessi fatto Artpop?».

Chromatica, il suo primo tentativo di ritorno al pop, include alcune ottime canzoni come 911, un riferimento agli antipsicotici che stava assumendo (da allora ha ridotto i farmaci: «Ne prendo alcuni, sì, ma molti meno. Ho scalato gran parte delle terapie»). Ama ancora quell’album, ma oggi lo vede come un disco di transizione.

«Chromatica era molto letterale perché non avevo altro. Non avevo più quel tipo di poesia dentro di me, l’avevo persa. Credo che valga anche per Joanne. È come quando qualcuno ti chiede: “Come stai?”, e tu ti rifiuti di dare una risposta artistica e dici semplicemente: “Sto uno schifo”. Lo spirito di Chromatica era essere speranzosi quando non lo si è».

Mayhem è nato da una Gaga completamente diversa. «Ho affrontato per scelta tutti gli incubi del mio passato e del mio presente, trovandoci della poesia, un segno della mia buona salute artistica. Una delle cose di cui sono più grata è aver recuperato tutti i miei talenti creativi. Ho dovuto scavare a fondo e cambiare molte cose della mia vita, ricentrandola su ciò di cui avevo davvero bisogno in quanto essere umano».

«Non sono mai stata amata così prima»

Un giorno del 2024, Michael Polansky le ha chiesto di sposarlo usando come anello un filo d’erba, come racconta la canzone Blade of Grass. A un certo punto, però, è arrivato anche un anello vero. Nello studio di Los Angeles, all’anulare brilla un diamante grande quasi quanto il pugno di un neonato. «Ma il filo d’erba ce l’ho ancora», assicura, «solo che oggi non lo indosso».

Quando Polansky ha incontrato per caso la madre di Gaga a un evento di beneficenza, alla fine del 2019, mai avrebbe immaginato di sposare o anche solo uscire con una popstar. «Quando sua madre ha iniziato a dirmi che voleva presentarmi a sua figlia» racconta Polansky «pensavo stesse scherzando, perché non sono uno a cui piace attirare attenzione».

Un verso che lei ha scritto su di lui affronta proprio questa incongruenza: “Come può un uomo come me amare una donna come te?”. Oppure, come dice Polansky, «come può una persona così timida, che desidera la privacy, amare qualcuno che trasformerebbe la sua vita nell’esatto opposto?». Per far funzionare la cosa, anche lui ha dovuto trasformarsi.

«Mia madre era convinta che saremmo stati una buona coppia», dice Gaga, «o almeno che lui mi avrebbe affascinata. Mi disse che era un uomo molto serio». Raccontandolo ora, Gaga si commuove, la voce le si spezza e scoppia a piangere. «Scusa», dice. «È stato speciale perché in quel periodo molte persone nella mia vita cercavano solo divertimento. La gente adorava la Lady Gaga ubriaca». Ma con Polansky, «nessuno dei miei trucchi avrebbe funzionato. Sapevo che ci saremmo incontrati e avremmo avuto una conversazione sincera, adulta, per capire se ci piacevamo davvero. La sua serietà è stata forse ciò che mi ha attratta più di tutto. Ha capito immediatamente che la cosa era seria anche per me».

In passato, riconosce, i problemi irrisolti col padre l’hanno portata a fare scelte sbagliate in fatto di uomini. «Mio padre è un tipo piuttosto duro» (quando l’ho incontrato per la prima volta, mi ha dato una ditata sul petto e, riguardo all’articolo che stavo per scrivere, ha detto: «Non sporcare le cose»), «Mio padre era un po’ come me, aveva una mentalità del tipo vivi veloce e muori giovane. Ora si è calmato. È cambiato parecchio. Credo che da giovane fossi attratta da uomini così. Ma questa volta era tutta un’altra cosa».

Man mano che la relazione si faceva più seria, il padre ha tirato un sospiro di sollievo per la prima volta da quando l’aveva vista, adolescente, dare fuoco al palco di un club con una bomboletta di lacca. «Credo fosse sempre molto preoccupato per me. Ora sente che non è più necessario ed è una sensazione bellissima sapere che mio padre si può finalmente mettere tranquillo». Sono molto legati, nonostante le differenze politiche: il padre è un conservatore convinto e sostenitore di Trump, Gaga è da sempre democratica e ha cantato l’inno nazionale all’inaugurazione di Joe Biden. «Cerco solo di concentrarmi sul mio rapporto con lui al di fuori delle cose su cui non siamo d’accordo. Come tutti sanno, non è facile. Siamo una famiglia, come tutte le altre famiglie».

Quando ha conosciuto Polansky, stava finendo Chromatica, un album che sulla carta doveva parlare di guarigione. In realtà in quel momento stava malissimo. «Fumavo tre pacchetti di sigarette al giorno, seduta nel portico». Nelle interviste diceva di essere in un «bel momento», ma in realtà «ero il meglio che poteva essere una che fumava erba tutto il giorno, si scolava due bottiglie di vino e poi crollava».

Le crisi drammatiche del 2017 erano passate, ma anche quando ha girato House of Gucci, a inizio 2021, non era ancora stabile. Un’infermiera psichiatrica era sul set più per i suoi problemi personali che per le esigenze del ruolo. «Non credo di essere stata molto bene durante le riprese».

Il Covid è esploso poche settimane dopo che la coppia si è conosciuta. «Chromatica è stato pubblicato in anticipo, costringendola a cancellare ogni idea per un tour», ricorda Polansky. «Così, in realtà, l’ho conosciuta subito come Stefani». Ma al momento di conoscersi, c’era qualcosa in lei che lo preoccupava. «Vedevo che si sentiva impotente. Non guidava la sua vita. Non avevo mai visto qualcuno così incredibilmente dotato e talentuoso sentirsi tanto impotente». La guardava sedersi al piano per scrivere e scoppiare a piangere.

«Quello che ha visto» spiega Gaga «era una persona che si sentiva distante da quella che avrebbe dovuto essere. Voleva prendersi cura di me. Non ero mai stata amata in quel modo. Prendeva sul serio la mia vita. Non era un party. Mi ha aiutata a farmi capire che la mia vita era preziosa».

Polansky l’ha incitata a riprendersi la sua musica e, a sua volta, lei si è sentita libera di chiedergli aiuto. «Dato che si trattava di musica, alla fine mi sono ritrovato ad aiutarla a produrla», dice lui. «Come la vedo io, se avesse voluto aprire un ristorante italiano, avrei imparato a fare la pasta. Non si trattava della musica in sé. È semplicemente andata così».

Abito e scarpe: Enfants Riches Déprimés. Collant: Falke. Headpiece: Lilian Shalom

Lei gli ha chiesto pareri e lui ha proposto idee musicali e testi. «Ci sono un sacco di versi nell’album che ho scritto io, senza volerlo. Ci mandavamo messaggi e io scrivevo: “Che ne dici di questo?”», racconta Polansky. «E poi quella frase finiva nella canzone». Polansky si è sorpreso, esattamente come alcuni fan, vedendo il proprio nome nei credits del disco. «Mi ha colpito molto che volesse riconoscere il mio contributo. Forse dall’esterno può aver creato più confusione di quella che pensavamo».

Le session di Mayhem sono state lunghe ed emotivamente intense. «Ci sono stati tanti momenti in cui lei cantava una parte vocale e mi faceva piangere, e anche lei era in lacrime», racconta Watt, che attribuisce a Polansky un ruolo stabilizzante fondamentale. «Michael è incredibile perché è equilibrato. Noi potevamo essere eccentrici, eccitati, saltare su e giù e immergerci nell’arte. E poi arrivava lui e come un grande livellatore diceva: “Nah, questa canzone mi piace meno dell’altra”. Aveva un’energia da Buddha onnisciente».

Gaga e il fidanzato hanno finito per lavorare insieme su ogni aspetto del tour. «Immagina due migliori amici che vivono creando assieme», dice Gaga.

Il flusso della collaborazione va in entrambe le direzioni. Nei pressi di Cambridge, Massachusetts, c’è un’azienda di ricerca sulla salute della pelle. Si chiama Outer Biosciences, ha venti dipendenti ed è stata co-fondata senza clamore da una delle donne più famose al mondo. «È stata un’idea sua», dice Polansky. Gaga è ufficialmente nel consiglio di amministrazione, ma hanno voluto tenere il suo nome fuori dal progetto, fino ad ora. «L’attenzione connessa al coinvolgimento di Stefani non era necessaria. Non è un’azienda rivolta ai consumatori, è un centro di ricerca… Il mio lavoro non è pubblico come il suo. Quando lei parla di noi come partner, sembra che tutto vada in un’unica direzione, ma in realtà è un supporto incredibile anche per me».

I due hanno intenzione di sposarsi presto, durante il tour o subito dopo. «Ne parliamo di continuo», dice Polansky. «Ci chiediamo sempre: “Possiamo sposarci quel weekend?”. Non vogliamo un matrimonio enorme, vogliamo goderci il momento. È come se fossimo già sposati per certi versi, quindi non cambierà granché».

Sanno entrambi che il passo successivo sarà la genitorialità e Polansky prende ispirazione da Elton John e David Furnish, i cui figli sono figliocci di Gaga. «Sono cresciuti felici. La cosa importante è far sentire che questa è semplicemente la nostra famiglia. Il fatto che lei sia Lady Gaga, l’arte, tutto il resto non va tenuto separato dal nostro rapporto o dall’essere genitori».

«Essere madre è la cosa che desidero di più», dice Gaga. «E lui sarà un padre meraviglioso. Siamo molto emozionati».

All’improvviso, ricordo una cosa che mi ha detto a cena quando aveva 23 anni, con un solo album all’attivo. Aveva giurato che sarebbe stata Lady Gaga per sempre, «anche quando un giorno avrò un bambino».

Mi guarda negli occhi. «Ho mentito», dice, e ride così forte che i tacchi degli stivaletti quasi si staccano da terra. Lo ripete, non l’ho mai vista tanto libera e leggera. «Ho mentito! Sono cresciuta da allora».

***

Production: Alexey Galetskiy for AgpNYC
Styling: Peri Rosenzweig & Nick Royal at Hardstyle
Hair: Freddie Aspiras for The Only Agency using Sebastian Professionals
Makeup: Sarah Tanno at Forward Artists for Haus Labs
Nails: Miho Okawara
Set Design: Isaac Aaron
Tailoring: Seth Pratt
Digital Technician: Toma Kostygina
Lighting team: Juliet Lambert, Michael Camacho, Kinsey Ball
Production Assistance: Justin Barahona, Ashton Wilson, Christian Flippo
Styling Assistance: Alicia Rodriguez Aparicio, Karen Gonzales, Charles Beugniot
Set Design Assistance: Gavin Sullivan, Joseph Brunelle-Potter, Avery Huckabee
Makeup Assistance: Yvette Evora

Da Rolling Stone US.

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