La ‘Formazione titolare’ dei Materazi Future Club è la squadra da battere | Rolling Stone Italia
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La ‘Formazione titolare’ dei Materazi Future Club è la squadra da battere

Si ispirano all'indie rock di 15 anni fa, hanno dedicato un progetto al lato romantico del calcio e ai suoi protagonisti, da Cassano a Giuseppe Rossi, e dal vivo indossano maschere alla Chiellini e passamontagna

La ‘Formazione titolare’ dei Materazi Future Club è la squadra da battere

Materazi Future Club

Foto press

«Troppo vecchio, dicevano. Fanculo. Corro più veloce e più a lungo di quei bambocci». La cadenza inconfondibile di Max Collini su un tappeto LCD Soundsystem racconta la storia incredibile di Eriberto (o Luciano?), calciatore brasiliano del Chievo dei miracoli che cambiò identità togliendosi quattro anni dall’anagrafe, per poi confessare tutto, colto da un rimorso non più tollerabile. Eriberto/Luciano è il singolo che ha anticipato Formazione titolare, album d’esordio dei Materazi Future Club uscito in questi giorni. Materazi, una sola z, in omaggio ai Fugazi. Una band che ha ispirato Riccardo Montanari, Edoardo Piron e Marco Manini non tanto nei suoni quanto nello spirito, opportunamente adattato a questi confusi anni ’20.

Mettere insieme calcio e musica in un album con le storie di undici giocatori e un allenatore, questo l’intento dei tre. «Siamo cresciuti con il calcio e abbiamo sempre giocato», ci raccontano in collegamento web dal loro studio di Milano, dove stanno preparando il live durante il quale presenteranno il loro album d’esordio. «È sempre stato parte della nostra vita fin da bambini. Siamo nati tra il ’90 e il ’92 e siamo cresciuti con Mai Dire Gol. I commenti, le papere, i personaggi assurdi. Facciamo parte della YouTube generation, abbiamo passato nottate a guardare i video di vecchi giocatori e quelli di Antonio Albanese nei panni di Frengo e Stop. Questo progetto è la sintesi di quelle nottate. Siamo partiti dalla musica, scontrandoci successivamente con l’esigenza di trovare un contenuto vocale. Nessuno di noi voleva mettersi in primo piano con la scrittura. Non volevamo fare il classico gruppo con un cantante che canta dei cazzi suoi, delle sue pene, e allora il primo tema che abbiamo trovato è stato il calcio. All’inizio l’idea era di scrivere e cantare storie di calcio, ma ci siamo resi conto che queste storie c’erano già».

La maggior parte dei pezzi dell’album infatti, più che su testi veri e propri, si basa su registrazioni. Come quella della telecronaca del gol con cui Antonio Cassano ipnotizzò la difesa dell’Inter e fece innamorare tutti i malati di calcio, un sabato sera di tanti anni fa. Nella formazione schierata in campo dai Materazi ci sono solo personaggi non banali, e banale non è nemmeno la scelta di Zdeněk Zeman come allenatore. Non ci sono Del Piero e Totti, molti hanno vinto poco o niente, ma in qualche modo hanno lasciato il segno. Come Mimmo Criscito, eroe dei tre mondi e capitano storico del Genoa, o Giuseppe Rossi, che vedeva la porta come pochi ma, quando si trattava di lui, la sfiga ci vedeva ancora meglio. «Ci è sempre piaciuta l’idea di fare colpo su quelli che dicono: è vero! Quanto era forte Giuseppe Rossi! Mentre del cucchiaio di Totti se n’è parlato fin troppo. Il fascino per un appassionato di calcio sta nel ricordare storie meno note ma molto pop, come quella di Luciano».

Dal punto di vista musicale le fonti d’ispirazione del progetto vanno ricercate nel biennio 2007-2008, che i tre considerano il periodo migliore dell’indie britannico grazie al debutto di band come Late of the Pier e Klaxons. «La scena nu rave, la dance con le chitarre. Nel 2006 abbiamo vinto i mondiali e c’erano questi gruppi. Avevamo 16 anni, è il periodo in cui assorbi di più. E poi i primi due album dei Bloc Party, Neon Bible degli Arcade Fire e tutta la scena Dfa. Fra i gruppi attuali sicuramente ci hanno ispirato gli Sleaford Mods».

I tre sono amici da una vita e abitavano assieme quando hanno dato vita al progetto, con il quale a febbraio 2020 si sono esibiti live al MiAmi invernale. Poi è arrivata la pandemia e hanno per forza di cose dovuto concentrarsi sulla scrittura dei pezzi. «È un progetto studiato per suonare dal vivo e fare casino», puntualizzano, «dopo il lockdown ci hanno proposto i live con le sedie ma non andava bene. Il nostro è a metà tra un live e un dj set, non ci sono tempi in cui ci si ferma a prendere gli applausi».

Nel disco l’unico pezzo non ballabile è quello dedicato a Salvatore Soviero, portiere del Genoa, e ai coloritissimi insulti scagliati contro un guardalinee reo di avere assegnato un calcio d’angolo alla squadra avversaria. «Abbiamo inserito un momento di relax, di cambio, per distendere un attimo dopo le batterie velocissime degli altri pezzi, immaginando che qualcuno ascolti ancora l’album dall’inizio alla fine come facciamo noi. C’è lui che insulta tutti e, sotto, questo effetto alla Daniel Johnston. Gli accordi sono quelli di La dura legge del gol degli 883, che è l’unico pezzo che cantiamo durante il live, collegandolo proprio alla canzone di Soviero».

Nelle loro esibizioni dal vivo, che verranno inaugurate da una data in programma il 15 dicembre all’Arci Bellezza di Milano, uno di loro indosserà un passamontagna e gli altri due mascherine alla Giorgio Chiellini, quelle studiate per i calciatori reduci da infortuni alle ossa del viso. «Sono fighissime e aiutano molto ad affrontare il live, nascondendoci dietro la maschera e diventando personaggi diversi. Nel progetto c’è anche un’estetica generale che è stata progettata: che vestiti mettere, come presentarci e così via. Quando non si canta non è necessario mostrare la faccia, non stai dicendo niente di te stesso. Nei nostri pezzi le parole non sono nostre e sul palco siamo degli esecutori. Non mettere la faccia quando suoniamo dal vivo ci dà una libertà espressiva e un’energia diversa». Il tutto all’insegna di una sana filosofia “zero sbatti”, sviluppata anche attraverso precedenti esperienze musicali, in particolare quella di Riccardo Montanari nei Belize e di Marco Manini nei Les Enfants. «Quando è nato il progetto ci siamo detti: abbiamo fatto mille cose, cazzate ed errori compresi, cerchiamo di fare una cosa più leggera e divertente possibile. Fare tanti live tradizionali non è tanto divertente, se ne hai già fatti a decine. Sei sempre in autostrada, devi montare un sacco di strumenti…».

E il futuro dei Materazi Future Club? Ci sarà solo il calcio o racconteranno anche altro? «L’idea iniziale era comprimere tutto in un unico disco e poi basta. Poi abbiamo scoperto che ci piace molto fare i concerti insieme e ora questa cosa vogliamo portarla avanti. Edoardo è molto bravo a scrivere, potremmo fare musica con delle storie scritte e cantate. Probabilmente per l’estate faremo un EP, magari con delle batterie acustiche. Ci piacerebbe allargare i featuring come quello con Max Collini. Per esempio farne uno con Luca Ravenna, che è un grande interista, fargli raccontare un pezzo sull’Inter. Ma in futuro potremmo anche non parlare solo di calcio. Però il calcio ci piacerebbe portarlo anche all’estero, dedicandoci anche ad altri giocatori europei. Nel frattempo potrebbe uscire un EP di “riserve”, oppure con le voci dei commentatori regionali, alla Raffaele Auriemma».

Formazione titolare fa senz’altro leva sulla nostalgia, gli undici protagonisti dell’album hanno tutti smesso di giocare, ma anche oggi ci sono calciatori con una storia da raccontare. «Uno che ci piace tanto è Barella. Giovanissimo, un sacco di figli, supersposato, giocatore incredibile. E anche Verratti, che arriva dal Pescara e passa dalla serie B a una squadra di miliardari a Parigi. Uno che quando gli chiedono se sa parlare francese risponde che non sa neanche parlare l’italiano. Anche Leão è molto interessante, cantava, è appassionatissimo di musica. Si vede dalla leggerezza con cui sta in campo. Fra i mister di oggi ci piace Spalletti, passato dall’Udinese a una delle versioni della Roma più belle in assoluto, con Totti che vince la Scarpa d’Oro. Poi l’avventura in Russia e il ritorno in Italia al Napoli. A livello narrativo è uno che ha una storia gigantesca da raccontare».

Sul mondiale di oggi hanno le idee chiare: «Non andava fatto, in un posto dove è stato gestito malissimo il tema dei lavoratori: sfruttati, morti… La Fifa non permette ai capitani di indossare la fascia arcobaleno, e nega il diritto a manifestare per un diritto in un posto in cui questi diritti non esistono. È sempre molto interessante come i mondiali di calcio diano uno spaccato sul mondo. Molte persone in Cina si sono accorte grazie ai mondiali che in altre parti del mondo non si porta più la mascherina allo stadio, mentre in Iran le autorità se la sono prese con chi non cantava bene l’inno. Per restare in Qatar, ci sono strutture enormi costruite nel deserto da persone che lavoravano come schiavi. Sono realtà di cui noi occidentali veniamo a conoscenza perché ci sono i mondiali. Detto questo, li fanno e li guardiamo perché ci piace guardare il calcio. Praticare un boicottaggio non guardando le partite non sposta nulla».

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