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La crisi dei visti che rende impossibili i tour in America

A causa delle politiche di Trump e del Covid, l'organizzazione di una tournée negli Stati Uniti somiglia sempre di più a un racconto di Kafka. Ne abbiamo parlato con il team degli Idles e altri musicisti

Foto: Magnus Lunay / Unsplash

Meno di due settimane prima della partenza di un tour di 27 date negli Stati Uniti praticamente sold out, i membri degli Idles sono andati all’ambasciata americana a Londra. Temevano di dovere cancellare tutto.

Avevano passato i 10 mesi precedenti cercando disperatamente di ottenere un visto e il 24 settembre era il primo appuntamento utile, visto che lo staff dell’ambasciata era oberato di lavoro. Nemmeno in quell’occasione hanno ottenuto garanzie sul fatto che sarebbero effettivamente stati in grado di partire per il tour, che doveva cominciare il 7 ottobre.

«Una follia», dice il manager degli Idles, Mark Bent, che ha passato tutto il 2021 cercando di barcamenarsi tra i problemi legali derivanti dall’organizzazione di un tour durante una pandemia. «La maggior parte della gente semplicemente non capisce quanta fatica si fa a organizzare un tour internazionale di questi tempi».

Per i musicisti stranieri, andare a suonare negli Stati Uniti ha sempre voluto dire avere a che fare con un sacco di burocrazia. Ma negli ultimi anni, a causa da una parte delle politiche dell’era Trump che intendevano limitare il numero di stranieri in grado di entrare nel Paese, dall’altra all’incubo del Covid, il processo è diventato ancora più kafkiano e costoso, tanto che molti musicisti sono stati costretti a cancellare i loro tour all’ultimo minuto. Ciò significa che, dopo quasi due anni senza lavorare, alcuni musicisti non sono ancora in grado di guadagnare e coltivare il loro pubblico.

«Il governo americano non sta concedendo visti tramite l’ambasciata in Spagna», ha scritto di recente la band indie rock spagnola degli Hines, che è stata costretta a cancellare un tour negli Stati Uniti coi Future Islands. «Non sappiamo che altro dire. Abbiamo il morale a terra e i nostri progetti stanno andando in frantumi. Speriamo che la vostra estate sia migliore della nostra. Ci vediamo presto (?)». Alla fine la band è riuscita a ottenere il visto e ha cominciato il tour a ottobre, ma ha perso un mese intero di date.

Anche The Tallest Man on Earth, nome d’arte del cantautore svedese Kristian Matsson, ha dovuto cancellare un tour negli Stati Uniti poco prima dell’inizio. «Da oltre un anno gli Stati Uniti non concedono visti lavorativi ai cittadini svedesi per via del Covid», ha scritto ai fan. «Sappiamo che alcuni musicisti hanno ricevuto esenzioni a questa regola, ma nonostante tutti gli sforzi fatti per averla e nonostante il fatto che sono vaccinato e che sono negativo al Covid, mi è stato negato più volte l’ingresso nel Paese».

Anche la violoncellista inglese Isata Kanneh-Mason, il dj francese Brodinski, l’artista electro French 79 e molti altri hanno dovuto cancellare i loro tour americani all’ultimo minuto. E il frontman dei Boy Pablo, Nicolas Muñoz, è stato costretto a suonare al Lollapalooza senza la sua band, che non è riuscita a entrare nel Paese. La lista è lunga.

Fiona McEntee, avvocata specializzata in immigrazione, dice di non aver mai visto niente di simile. «È molto frustrante, i ritardi per via del Covid sono comprensibili, ma questa è una follia. Se pensi che molti musicisti e artisti con cui lavoro non sono stati in grado di lavorare nell’ultimo anno e mezzo, non riesco a immaginare quanto sia brutto per loro».

Gli Idles sono frustrati. La band post punk inglese si è costruita un grosso seguito negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni proprio andandoci spesso in tour, e quest’anno è riuscita finalmente al punto di fare vari sold out di fila in un posto come il Terminal 5 di New York, che ha una capienza di 5000 persone.

I loro problemi sono cominciati a gennaio 2021, quando Bent ha presentato una richiesta di appuntamento per un visto all’ambasciata americana di Londra. Si tratta di un passaggio necessario per andare in tour negli Stati Uniti. Chiunque viaggi con la band, compresi gli assistenti, deve presentarsi di persona all’ambasciata per il processo di verifica che precede la concessione del visto. Nel caso degli Idles, quando Bent ha presentato la richiesta si è sentito dire che non c’erano appuntamenti disponibili fino a gennaio 2022.

«Il Covid ha incasinato tutto», dice Bent. «Ma abbiamo deciso di andare avanti e fare tutte le altre cose che c’erano da fare nel frattempo, per essere pronti nel caso in cui fossimo riusciti a ottenere un appuntamento prima. La cosa migliore era essere pronti, con tutti i documenti in regola».

Alla fine sono riusciti a prendere appuntamento per il 24 settembre, anche se proprio quella sera avrebbero dovuto aprire per Liam Gallagher a Belfast. Bent, secondo cui la band ha speso almeno 20 mila dollari per gestire la situazione, ha fatto di tutto per permettere a tutti i membri della band di essere a Londra all’appuntamento e non in Irlanda del Nord. Pochi giorni prima del concerto Gallagher si è fatto male scendendo da un elicottero e il concerto è stato cancellato. «La giornata improvvisamente è diventata libera, e siamo stati fortunati che fosse successo proprio nel giorno che ci serviva. All’ambasciata di solito sono molto rapidi, questa volta no. Ci sono state complicazioni con alcuni documenti, e il processo è stato molto più lento e difficile del solito».

Idles. Foto: Tom Ham

Una grossa parte del problema sta nel fatto che lo staff dell’ambasciata è ridotto per via del Covid proprio mentre c’è un numero senza precedenti di persone che avrebbe bisogno dei suoi servizi a causa del travel ban americano che colpisce i cittadini del Regno Unito e dell’Unione Europea e che dovrebbe scadere a novembre. Vengono fatte delle eccezioni per viaggiatori con «abilità straordinarie», il che include gli artisti che devono andare in tour, ma ottenere tale eccezione rende più difficili le cose.

E per ottenerla, questa eccezione, bisogna tra le altre cose presentare dei contratti firmati per dei concerti sul suolo americano. «Il problema è che i musicisti sono riluttanti a fissare ufficialmente delle date senza avere la certezza di ottenere il visto», spiega McEntee. «È un paradosso. “Non ti diamo il visto finché non hai i concerti fissati” e la gente risponde: “Non fisso i concerti finché non mi date il visto”».

Anche prima del Covid, il processo per ottenere il visto era già stato reso più difficile dall’amministrazione Trump. «Le sue policy Buy American e Hire American servivano a tenere lontani gli stranieri», spiega l’avvocato specializzata in immigrazione Lorraine D’Alessio. «Sono regole che impongono di avere un buon avvocato».

E i buoni avvocati costano, il che aggiunge un altro costo cosa che, alla fine, può fungere da barriera all’ingresso per i musicisti meno famosi. Tutto questo vale anche per gli artisti che vengono dal Canada. «I prezzi per le procedure rapide dei visti sono schizzati alle stelle dopo il Covid», afferma Michael Dimoulas, chitarrista della tribute band canadese Hotel California: The Original Eagles Tribute. «Prima costavano 400 dollari, oggi 1500. C’è stato un momento in cui costavano 2500. Noi suoniamo 150 volte all’anno e possiamo permettercelo, ma i gruppi più piccoli? Loro no».

Se quando, una decina d’anni fa, sono nati gli Idles la situazione fosse stata questa, il gruppo non avrebbe mai potuto costruirsi il seguito necessario a riempire un posto come il Terminal 5. «Dobbiamo tutto alla possibilità di viaggiare e fare concerti piccoli e crescere coi fan», afferma Bent. «Se una band deve pagare 10 mila dollari per farlo, o c’è un’etichetta che le dà una mano o non può permetterselo. Il problema è che di questi tempi nessuno ti dà quel tipo supporto, devi farcela da solo».

E anche dopo essere andati all’ambasciata per quell’appuntamento dell’ultimo momento, il 28 settembre – ovvero nove giorni prima dell’inizio del tour – gli Idles hanno ricevuto una e-mail in cui si diceva che due foto che facevano parte della documentazione presentata per il visto erano state rifiutate, senza spiegare il motivo. Tutto il processo per il visto era a rischio.

«Avevamo appena annunciato l’album (ovvero Crawler che uscirà il 12 novembre, ndr)», afferma Bent. «E Joe Talbot, il cantante, avrebbe dovuto fare alcune apparizioni sulla stampa per promuoverlo. Invece è stato costretto a fare le corse per cercare di procurarsi una foto professionale da allegare alla domanda di visto. Abbiamo dovuto cancellare la promozione. E Jon Beavis, il batterista, ha stampato i documenti, è andato in posta e li ha spediti. Tutto perché la e-mail è arrivata alle 15 e dovevamo spedire tutto entro le 16:30. Avevamo un’ora e mezza per risolvere il problema».

Per McEntee, la situazione è assurda, considerando i benefici derivanti da tour e concerti. «La bellezza della musica è che ogni concerto è unico», dice, «non è che i musicisti che vengono qui a suonare stanno rubando il lavoro ai musicisti americani. E c’è in corso una campagna per mantenere aperti i club e le sale concerti indipendenti. Beh, per restare aperti hanno bisogno che ci siano musicisti che vengono a suonare. Quindi, sì, effettivamente ci sono in gioco dei posti di lavoro, ma in un altro senso».

Alla fine gli Idles hanno ottenuto l’approvazione del visto il 1° ottobre, all’ultimo momento. Bent si è detto molto sollevato, ma anche frustrato per il fatto che sia stato necessario sbattersi tanto solo per avere il diritto di andare a suonare negli Stati Uniti. «È solo l’America che ha questi problemi», spiega, «In tutti gli altri posti il processo è molto molto semplice e costa meno. Ovunque, dal Giappone all’Australia. Persino andare in Russia è più facile che andare a suonare in America».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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