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Korobu, rock fuori dagli schemi per chi non vuole arrendersi

Strumenti insoliti, un sound tra Radiohead, Animal Collective e Battles, testi che rivendicano «l’esperienza del fallimento»: la band bolognese racconta l’esordio ‘Fading | Building’ e il video di ‘Roads’

Foto press

Si sono formati a Bologna nel 2019, poco prima della pandemia che ha poi tenuto in stallo il mondo della musica per due anni. Soprattutto il loro mondo, visto che i Korobu si muovono in quell’ambito underground che oggi fa sempre più fatica a trovare spazi e che i tre componenti della band hanno invece sempre bazzicato con dedizione: Gianlorenzo “Giallo” De Sanctis (voce, basso, sintetizzatori) è stato il leader dei Buzz Aldrin e nel 2013 ha dato forma all’elettronica scura e tribale degli Husband; Alessandro (chitarre e synth) e Christian (batteria e percussioni elettroniche) hanno militato nel gruppo post rock My Own Parasite, firmando anche la colonna sonora del film Una notte di Toni D’Angelo.

«Frequentavamo gli stessi ambienti, ma non ci eravamo mai conosciuti di persona» dice Giallo «finché un giorno ricevo un messaggio su Facebook da Ale e tra una chiacchiera e l’altra decidiamo di beccarci anche con Christian per delle prove». Da quel momento i tre non si sono più fermati e ora sono pronti per presentare il loro primo album Fading | Building, in uscita venerdì 8 aprile: un interessante viaggio sonoro tra indie rock, blues contaminato da incursioni elettroniche e ritmi esotici riletti in chiave retrofuturista, introdotto dall’artwork di Ericailcane, tra gli street artist nostrani più quotati a livello internazionale, che per Korobu ha realizzato anche il suggestivo video di Roads, qui in anteprima.

«La collaborazione con Leo (alias Ericailcane, nda) è il nostro fiore all’occhiello», afferma Giallo entusiasta. «Lui è un vecchio amico di Ale, proviamo una stima grandissima per i suoi lavori. Ricorrendo alla metafora di un topolino che privandosi di una preziosa mandorla riesce a sabotare un’apparecchiatura di chiara fattura umana che emette suoni ipnotici, ma incomprensibili e spaventosi, è riuscito a interpretare un brano che parla di un presente fatto di seduzioni continue e false prospettive che ci distraggono dai nostri veri sogni».

Questo tipo di critica sociale attraversa le otto tracce di Fading | Building mescolandosi con un sound ispirato a band quali Radiohead, Animal Collective, TV on the Radio, Battles, Soulwax, Liars, Silver Apples, giusto per dare qualche coordinata. «Quelli sono i nostri ascolti, emersi in modo inconscio. Avevamo iniziato con una serie di improvvisazioni, salvo renderci conto che per la musica che avevamo in mente di fare un approccio così istintivo non portava a nulla. Così abbiamo deciso di cambiare rotta e di partire da una matrice – da un giro di chitarra, di basso o di batteria – per poi sviluppare sulla stessa un percorso di ricerca personale e andare man mano ad aggiungere, a stratificare. Abbiamo costruito e dissolto i brani più volte, li abbiamo elaborati, trasformati, incarnati in altre strutture e melodie, fino ad arrivare a una sintesi che crediamo possa rappresentarci in questo momento. Da un lato, volevamo che i pezzi del disco avessero un tiro abbastanza deciso, dall’altro, ci intrigava l’idea di mischiare generi diversi in una maniera non troppo definibile, oltre che piacevole per le nostre orecchie. Il desiderio era di sorprendere persino noi stessi».

Pubblicato da Locomotiv, l’etichetta dello storico club bolognese fondata nel 2020 dal direttore artistico del locale, Giovanni Gandolfi, l’album è anche il frutto della passione quasi feticistica dei Korobu per gli strumenti più ricercati, non solo synth, chitarre e bassi da collezione, ma anche percussioni raccattate in giro per il mondo da Christian e microfoni e amplificatori vintage. «Ai tempi dei Buzz Aldrin avevo ricevuto dal fonico che ci seguiva, Gianluca Turrini, un microfono a condensatore per registrare della Germania dell’Est, un Gefell Um70», racconta Giallo. «Un giorno se l’è ripreso, così ho incominciato a fare ricerche e da lì è partita un’esplorazione che mi ha portato, piano piano, a scoprire aziende del settore tedesche, austriache, americane, inglesi, con delle storie estremamente affascinanti, e a mettere insieme un piccolo arsenale di microfoni. Per Fading | Building abbiamo usato un AKG D45, microfono molto raro utilizzato anche dai Led Zeppelin, un D19, considerato il microfono del rullante di Ringo Starr, e un RCA DX77, che invece è un microfono americano a nastro degli anni ’50».

A questo si sono aggiunti, tra le altre cose, «un sintetizzatore Buchla e tutta una serie di percussioni un po’ particolari e di strumenti modificati e usati in modo diverso rispetto al loro utilizzo tradizionale, per esempio per percuotere superfici di tamburi in pelle e lamiere, che hanno dato molto colore alle registrazioni: un seeds shaker africano, un guiro in legno di caucciù, uno scetavajasse tipico della tradizione popolare partenopea e altro ancora».

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Alla base di Korobu c’è l’idea di una musica intesa anche come sperimentazione che nei prossimi mesi potrà finalmente concretizzarsi dal vivo. «Il disco era pronto da tempo, abbiamo aspettato a pubblicarlo a causa del Covid e ora non vediamo l’ora di andarlo a suonare in giro: per un progetto come il nostro la dimensione live è fondamentale». Più nascosto, ma non meno pregnante, il contenuto veicolato dai testi in inglese, oltre che dallo stesso nome del trio. «È stato Ale a proporre di chiamarci così, dopo aver visto Silence di Martin Scorsese, film ambientato nel Giappone del XVII secolo, che narra delle persecuzioni dei cristiani da parte dei buddisti, cristiani che venivano costretti a fare korobu, appunto, ossia ad abiurare la fede originaria. Il termine ha in seguito assunto varie connotazioni, venendo associato anche al concetto del precipitare, del perdersi, ed è in questa accezione che abbiamo scelto di usarlo per la band: in quest’epoca consumistica in cui vige il modello del vincente e se fallisci in qualcosa sei uno sfigato, un incapace, rivendichiamo l’esperienza del fallimento come parte dell’essere umano utile anche per crescere. Siamo tutti sui 40, età in cui ti ritrovi a fare i conti con ciò che sei riuscito a costruire o meno, e in questo bilancio pensiamo abbiano valore non solo i successi, ma anche le cadute in quanto esperienze da cui ripartire».

Quanto ai testi, Giallo sottolinea quanto sia fondamentale che ciascuno li interpreti secondo il proprio vissuto e il proprio immaginario, ma al tempo stesso ci tiene a precisare che contengono «una critica nei confronti della società attuale e soprattutto una voglia di rivalsa rispetto alle ingiustizie, inclusa quella di un mondo in cui le persone sono sempre più costrette a vivere per lavorare. Ricordo un intervento in cui Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, faceva notare che quando compri qualcosa non compri con i soldi, ma con il tempo che ti hanno tolto per guadagnarli, quei soldi. Non demonizziamo il lavoro, ma da qualche tempo si è superato il limite, bisognerebbe parlarne di più».

Tra un brano e l’altro non mancano riferimenti a «un’informazione ormai diventata indecifrabile, perché plasmata e distorta al punto che ormai non si capisce più quale sia la realtà, cosa sia vero e cosa no», aggiunge il musicista. «In generale come band stiamo dalla parte dei più deboli e anche nel disco sosteniamo la necessità di una redistribuzione della ricchezza che riequilibri la distanza tra chi nella vita ha avuto troppo e chi nulla». Come dire, le idee sono chiare, l’intento è di sfuggire a una discografia assoggettata alle regole del mercato rispetto alla quale quella dei Korobu è un’avventura da outsider. Ora non resta che portare il tutto sui palchi e diffondere il verbo, il topolino di Ericailcane a fare da mascotte.

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