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Kneecap, hip hop per la classe operaia con una pinta in mano

Vengono da Belfast, rappano in irlandese, sono contro ogni settarismo, suscitano un sacco di polemiche. L’intervista in attesa dell’album di debutto ‘Fine Art’ che è ambientato in un pub e ha l’energia caotica della musica tradizionale

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

Il Rutz è come tanti pub di Belfast o di qualunque altra parte d’Irlanda: un po’ malandato, con gente che esce dai bagni pulendosi della polverina dal viso e musica tradizionale sparata a palla. «È uno di quei posti in cui anche se vai per una pinta veloce, finisci per rimanerci molto di più», dice Móglaí Bap, uno dei tre membri dei Kneecap, trio rap di Belfast. «I pub, qui, sono come le nasse per la pesca delle aragoste», aggiunge Mo Chara. «Una volta che ci entri non riesci più a uscirne».

Tecnicamente al Rutz non riesci neanche a entrare. Non perché sia un locale esclusivo e raffinato – Dio non voglia – o perché sia riservato ai clienti abituali. È che il Rutz non esiste. È l’ambientazione che i Kneecap hanno inventato per il loro album di debutto Fine Art che uscirà il 14 giugno per Heavenly Recordings. Essendo storyteller, i tre volevano creare un concept  incentrato su un unico luogo, ma che racchiudesse l’intero universo della band. «Non c’era posto migliore di un pub», dice Móglaí Bap.

Fine Art ha richiesto una lunga gestazione per il trio formato dai vocalist Móglaí Bap e Mo Chara insieme al DJ Próvaí, che si mostra raramente senza il suo passamontagna verde, bianco e arancione. Si sono fatti conoscere nel 2017 con il singolo d’esordio C.E.A.R.T.A., un pezzo hip hop irresistibile con un tocco inedito per molti, ma naturale per i Kneecap: i testi nella loro lingua madre irlandese (“cearta” significa “diritti”). Hanno messo un freno alla loro produzione discografica (giusto un mixtape nel 2018, 3cag, e qualche singolo qua e là), ma con canzoni come Get Your Brits Out, Amach Anocht e Mam hanno dimostrato di saper passare dalla satira affilata ai party rap più sfrenati, passando per vulnerabilità e delicatezza.

Nel frattempo, sono andati regolarmente in tour, entusiasmando il pubblico e trovando il tempo di partecipare alla scrittura della sceneggiatura e di recitare in un film semi-autobiografico (Kneecap, che vede la partecipazione di Michael Fassbender nel ruolo del padre di Móglaí Bap, è appena diventato il primo film in lingua irlandese presentato in anteprima al Sundance, dove ha vinto il Next Audience Award ed è stato acquistato da Sony Pictures Classic).

Un bel codazzo di opinionisti e politici irritati ha preso di mira i Kneecap, trasformando la band in un argomento di scontro culturale nell’Irlanda del Nord, il cui status di colonia britannica è sempre un tema molto delicato (un esempio su tutti: i Kneecap non si riferiscono mai alla loro patria chiamandola Irlanda del Nord, il nome che appare sulla maggior parte delle cartine geografiche, ma come il Nord dell’Irlanda). I lealisti del Nord e i conservatori del Regno Unito, ovviamente, non li gradiscono per via delle loro idee politiche di forte matrice repubblicana, ma il trio ha anche attirato l’ira di persone che ci saremmo aspettati di vedere dalla loro parte, come alcuni tradizionalisti diffidenti nei confronti dell’uso della lingua irlandese nella loro musica o certi repubblicani dissidenti che si oppongono ferocemente ai testi che parlano di droga.

I Kneecap, che hanno scelto questo nome ispirandosi all’abitudine dell’IRA, durante i Troubles, di punire gli spacciatori di droga gambizzandoli, affrontano le critiche senza problemi. Mettono al centro la classe operaia e la loro musica si concentra sul modo in cui vivono i lavoratori (loro compresi).

La traccia che dà il titolo a Fine Art è stata la prima cosa che i Kneecap hanno inciso dopo essere entrati in contatto col produttore inglese Toddla T, nel 2023. Móglaí Bap racconta che T ha incoraggiato la band a «guardare in modo introspettivo all’Irlanda e alla nostra storia, a ciò che è successo e a ciò che possiamo trarne: frammenti di cultura, di notizie e altro». Quel giorno si sono concentrati sulla tempesta mediatica che loro stessi hanno scatenato nel 2022, quando a Belfast hanno svelato un murale raffigurante un’auto della polizia in fiamme con lo slogan “Níl fáilte roimh an RUC” (il Royal Ulster Constabulary non è il benvenuto). Era un messaggio contro la polizia. «La gente, qui, non ama la polizia», spiega DJ Próvaí, paragonando la presenza degli agenti nelle zone impoverite e svantaggiate di Belfast (sia cattoliche che protestanti) alla loro presenza nelle aree disagiate degli Stati Uniti. «I problemi sono gli stessi».

Ma l’uso dell’acronimo RUC nel murale è frutto di una scelta ben precisa, perché il Royal Ulster Constabulary (il corpo di polizia che durante i Troubles ha svolto un ruolo importante, fungendo da braccio dello Stato britannico, prendendo di mira soprattutto repubblicani e cattolici) tecnicamente non esiste più. È stato sostituito nel 2001 dal Police Service of Northern Ireland (PSNI), in seguito all’Accordo del Venerdì Santo che nel 1998 ha posto fine ai Troubles dopo decenni di violenza. Tuttavia, RUC è un’espressione gergale profondamente radicata e l’uso che ne hanno fatto i Kneecap ha infastidito il tipo di persona che amano stuzzicare (e che sembra amare il fatto di essere infastidita dai tre). Stephen Nolan, un presentatore di lungo corso di BBC Northern Ireland che Mo Chara ha paragonato a Piers Morgan, ha parlato del murale nel suo programma: «I Kneecap dicono che il murale è stato svelato, come se fosse un’opera di arte raffinata». La clip audio ha regalato a Fine Art un drop irresistibile, perfetto.

I Kneecap avevano già scritto alcuni pezzi per il loro album di debutto, ma dopo aver inciso Fine Art hanno buttato via tutto per dar vita a qualcosa di nuovo con Toddla T. Non era più il momento per quelle vecchie canzoni, dice Mo Chara. «Il solo fatto di essere in studio con T è stato speciale: tutte le idee che avevamo avuto per l’album sono cambiate nel momento in cui siamo entrati in quella stanza con lui».

Toddla T ha convinto la band a prendersi una pausa di riflessione prima del debutto piuttosto che tirare dritti. «Suonavamo insieme da cinque anni, eravamo arrivati a quel punto in cui vuoi provare qualcosa di nuovo o lasciarti alle spalle qualcosa», dice Mo Chara. «Forse ci eravamo spinti un po’ troppo fuori dagli schemi, con le prime canzoni che avevamo scritto. T è stato bravo a riportarci coi piedi per terra, dicendoci che dovevano semplificare la nostra robae portare la gente nel nostro mondo».

Quel mondo, in Fine Art, è grande e caotico, ma nella migliore delle accezioni. Il ritmo e l’energia del disco sono quelli dei live dei Kneecap, mentre l’atmosfera del Rutz emerge in bozzetti come Chaps, in cui Toddla T dà voce al discografico londinese più viscido che si possa immaginare, o State of Ya, in cui la grande dj della BBC Annie Mac (che nella vita reale è sposata con T) rimprovera Mo Chara per non essere riuscito a pulirsi tutte le tracce di cocaina dal viso.

Brani rap (Sick in the Head, Drug Dealing Pagans) sono affiancati a esplosioni punk (I’m Flush, Rhino Ket) e a diversi sottogeneri di rave music (Parful, Ibh Fiacha Linne). Gli ospiti sono altrettanto eterogenei: Grian Chatten e Tom Coll dei post punk irlandesi Fontaines D.C. prendono parte al primo singolo, Better Way to Live; l’MC londinese Jelani Blackman è protagonista di Harrow Road; Radie Peat della folk band irlandese Lankum presta la voce a 3CAG, che campiona abbondantemente la canzone del 1977 Caravan di Joe O’Donnell, un musicista di celtic rock famoso per gli esperimenti creativi con la musica tradizionale irlandese.

La chiave della compattezza di Fine Art si trova qui e fra le pareti sudice del Rutz, dove i violini danzano sopra il frastuono e le voci ubriache si uniscono improvvisamente in coro nella canzone folk Amhrán Na Scadán. Come dice Mo Chara, «l’intero album è ambientato in un pub e se non c’è musica tradizionale, non è un buon pub». DJ Próvaí aggiunge: «L’energia della musica tradizionale è davvero contagiosa. La si sente in tutto l’album».

Un’altra grossa influenza è Dancing on Narrow Ground: Youth & Dance in Ulster, un documentario di Desmond Bell della metà degli anni ’90 realizzato per la tv britannica, ma mai trasmesso. Alla fine è stato messo online, con un’aura da samizdat esaltata dal contenuto: una descrizione confusa ed entusiasta di come i rave (e grandi quantità di MDMA) abbiano contribuito a colmare le divisioni tra i giovani dell’Irlanda del Nord durante gli ultimi anni dei Troubles. I Kneecap hanno preso spunto dalle interviste del film per Parful e si sforzano di coltivare quello stesso spirito.

«È così che vogliamo che siano i nostri concerti», dice Mo Chara. «Non importa chi sei, da dove vieni. Facciamo rap in irlandese, magari non abbiamo le tue stesse idee politiche, ma possiamo essere amici di chi non la pensa come noi».

Questa cosa non sorprenderà chi ha letto un’intervista dei Kneecap negli ultimi sei anni o è andato oltre le congetture superficiali dei tabloid o di politici in cerca di attenzione. Móglaí Bap racconta spesso di quando, insieme a un amico, ha partecipato a una marcia del 12 luglio (un importante evento protestante/lealista che si svolge ogni anno) e un gruppetto di persone ha iniziato a cantare C.E.A.R.T.A., notandolo tra la folla. Torna a parlarne dopo aver ricordato come Naomi Long, ex leader del partito centrista Alliance Party, abbia sostenuto che il murale dei Kneecap con l’auto della polizia in fiamme alimentava ancora di più l’odio settario.

«Se davvero fomentassimo quell’odio, sono sicuro che la gente di Sandy Row non ci apprezzerebbe granché», ribatte Móglaí Bap. «Invece noi eravamo lì, a chiacchierare con loro, in strada, tra giovani. È un’idea molto diversa da quella dei politici di lungo corso».

La band ha dovuto affrontare un’altra ondata di critiche dopo il successo della premiere di Kneecap al Sundance. I conservatori del Democratic Unionist Party hanno contestato i finanziamenti pubblici ricevuti dal progetto, con il deputato Ian Paisley che si è persino spinto ad accusare i Kneecap di «riscrivere e glorificare la guerra settaria dell’IRA fondata sull’odio». I Kneecap hanno replicato offrendosi di organizzare proiezioni gratuite per i membri del DUP: «Manderemo anche popcorn e bibite gassate». Del resto, dice, Móglaí Bap, anche le celebrazioni del 12 luglio ricevono finanziamenti pubblici.

In tutto questo le idee nazionaliste irlandesi dei Kneecap non vengono certo rinnegate o sminuite. È vero che giocano con simboli che richiamano i Troubles (come il passamontagna di Próvaí) e vanno a toccare linee di demarcazione (o forse le sniffano) che storicamente riguardano temi difficili. Ma la loro politica alimenta una visione del mondo inclusiva, anticoloniale e consapevole di come il settarismo sia stato strumentalizzato per spezzare la solidarietà della classe operaia. Al contempo, molti critici sembrano considerare il loro l’uso della lingua irlandese come un atto intrinsecamente divisivo, dal punto di vista politico, piuttosto che semplicemente qualcosa che chi parla irlandese farebbe.

«Le due comunità di Falls Road [nazionalista] e di Shankill [lealista] devono affrontare tanti problemi identici: banche alimentari, povertà, suicidi», dice Moglái Bap. «Penso che molti politici del Nord preferirebbero che la gente si concentrasse solo su alcuni nostri aspetti per creare divisioni, ma ci sono tante altre cose che abbiamo in comune». Aggiunge Próvaí che «bogliamo demolire i sistemi che hanno creato povertà, settarismo, odio e omicidi».

C’è una sequenza, nel film Kneecap, in cui Mo Chara litiga con la ragazza protestante che frequenta in segreto e deve spiegare che, quando la band dice “fuori gli inglesi”, non intende che si debbano cacciare i lealisti, gli unionisti o i protestanti, ma parla di eliminare definitivamente lo Stato britannico da un’Irlanda unificata. Quando lei chiede perché non l’abbia detto semplicemente, Mo Chara risponde: «Perché è il ritornello di una cazzo di canzone, non la Proclamazione di Pasqua del 1916!».

La provocazione è un carburante perfetto per la creatività, ma in un mondo che va avanti a suon di indignazione, non sempre passa. Ci sono vantaggi evidenti nell’accettare questo compromesso, come i Kneecap hanno potuto toccare con mano; ma, anche se non paiono affatto interessati a smorzare i toni, forse stanno iniziando a preoccuparsi di non essere fraintesi. Fine Art potrebbe far incazzare alcuni, ma dentro non c’è solo la politica. È un disco personale, pieno di vulnerabilità, con riflessioni sulla salute mentale che si affiancano a una canzone con un ritornello splendidamente sguaiato che recita: “Sono strafatto di ketamina, questa roba stende i rinoceronti”.

«Penso che, visto il luogo da cui veniamo, tutto sia politica», dice Mo Chara. «Siamo una band, porca miseria. Facciamo musica. Ovviamente ci occupiamo anche di politica. Ma mi preoccupa il fatto che, solo perché siamo di Belfast e rappiano in irlandese, qualsiasi crisi politica si verifichi i media ci vengano a cercare per chiederci che cazzo ne pensiamo».

Quando parliamo è inizio febbraio. Il giorno prima Michelle O’Neill del Sinn Féin ha prestato giuramento come Primo Ministro dell’Irlanda del Nord, diventando la prima politica repubblicana, nazionalista e cattolica a ricoprire la carica. Per cui, scusandoci molto, chiediamo ai Kneecap cosa pensano di questo momento. Móglaí Bap risponde di essere moderatamente speranzoso che un governo efficiente porti servizi sociali migliori al Nord e, forse, anche un referendum sulla riunificazione. «Poi», aggiunge sarcastico, «nascerà un sistema completamente nuovo in cui tutti saranno trattati bene».

Da Rolling Stone US.

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