Kim Gordon, la madrina del grunge tra rock e femminismo | Rolling Stone Italia
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Kim Gordon, la madrina del grunge tra rock e femminismo

In questa storica intervista del 1997, la co-fondatrice dei Sonic Youth racconta la sua esperienza con il maschilismo nel rock, cosa pensa delle Spice Girls e perché non vuole che le sue canzoni finiscano in radio


Kim Gordon, la madrina del grunge tra rock e femminismo

Kim Gordon

Foto: Frans Schellekens/Redferns

Nonostante sia conosciuta come la madrina del grunge per aver co-fondato (insieme al marito Thurston Moore) i Sonic Youth, Kim Gordon insiste a dire di non essere davvero una musicista. «Non penso come pensano i musicisti», dice senza falsa umiltà. «Sono cresciuta come artista visiva». Suo padre era il preside della UCLA, e la madre, dice, «faceva vestiti assurdi e li vendeva nel cortile di casa». (Kim stessa, di recente, ha lanciato la sua stramba linea d’abbigliamento, X-Girl, per il mercato giapponese). Ragazza anti-californiana, scappò a Est dopo l’accademia d’arte per trovare percorsi originali, cioè verso New York. È lì che nel 1981 si formarono i Sonic Youth, il quartetto più influente della storia dell’avant-rock, ispirando musicisti di tutti i tipi, dai Nirvana ai Pavement a Neil Young. Gordon è nota anche per essere critica feroce dell’egemonia maschilista. Il suo ultimo album Sentimental Education – con le Free Kitten, il gruppo che ha formato con Julia Cafritz, la chitarrista delle Pussy Galore – è un altro azzardo. Attualmente Gordon divide il suo tempo tra un loft nel centro di Manhattan e un rifugio nel Massachusetts centrale. Ci incontriamo lì vicino nella casa di un amico, una villetta nascosta in un bosco. Come a enfatizzare l’atmosfera bucolica, Coco, tre anni, la figlia di Gordon e Moore, si è presentata per giocare un po’ prima di uscire con il papà.

Come hai imparato a suonare?
Non ho mai imparato a suonare.

Perché volevi far parte della scena rock & roll?

Non credo di aver mai voluto far parte della scena del rock & roll. Suonavo in una band per un progetto d’arte. Ma c’è qualcosa, un’energia e una potenza che non ha paragoni. Quando ho capito che potevo farlo anche io, è stato… un risveglio. Sono una persona piuttosto timida, ma amo mettermi alla prova in situazioni spaventose.

Che ruolo ha il gender nel rock?

È androgino perché puoi cambiare genere e tornare indietro. È ovviamente attivo, ma allo stesso tempo ti fa sentire il potere di chi è passivo. Iggy Pop ne parlava, una volta, del potere dell’elettricità. Non c’è niente di simile, è aggressivo ma allo stesso tempo puro. È bello sfasciare le chitarre (ride).

Durante i tuoi anni al liceo, hai vissuto un qualche tipo di risveglio femminista? 

Ero consapevole che mio fratello potesse fare cose che a me non erano permesse.

Cosa pensi della parola “femminista”? La usi? 

Sono una femminista negligente. Tutte le ideologie mi rendono nervosa perché a un certo punto impediscono la complessità delle cose. Credo che il femminismo sia molto interessante dal punto di vista storico. Per me, è una parola che appartiene agli anni ’70.

Che ruolo ha avuto per le donne nel rock? 

Beh, tutta la scena riot-grrrl viene da lì. Tutta la scena indipendente ha preso molte idee del femminismo. Ma ci sono diversi livelli: donne che parlano di una società dominata da uomini e ragazze che vogliono solo avere una band.

Kim Gordon

Hai detto che il tour di Ragged Glory di Neil Young, nel 1991, è stata la tua prima vera esperienza con il sessismo nel rock.
In realtà, l’Inghilterra dei primi anni ’80 è stata la mia prima esperienza. Mi sentivo invisibile in Inghilterra. Se non eri un personaggio sconvolgente o un tipo come Siouxsie Sioux, non sapevano come comportarsi. Ma sì, la crew di Neil Young pensava fossimo matti, soprattutto perché c’era una donna sul palco e pensavano che mi sarei fatta male. Se organizzavano una festa di compleanno per qualcuno c’era sempre una spogliarellista presente. Una volta lo stage manager mi ha sgridato perché ero vicina al palco: “Stai distraendo Neil”. Ugh.

Non sapevano come trattarti…
È stato strano. Mi ha fatto pensare a Joni Mitchell e al mondo maschilista in cui è stata per molto tempo. Non conosceva niente di diverso. Per lei non era un grosso problema, ma adesso capisco perché ha scritto tutte quelle canzoni (ride).

Cosa pensi delle Spice Girls e della loro invocazione al “girl power” durante gli MTV Video Music Awards? 

Penso siano completamente ridicole. Come un’attrazione di Disneyland. Il potere di Diana dipendeva in parte dal fatto che era diventata donna senza perdere la sua vulnerabilità. Nessuno parla del potere delle donne. Le Spice Girls… si travestono da bambine. È ripugnante.

Cosa pensi dell’enfasi che il rock mette su bellezza e gioventù?

Credo sia colpa del marketing. A tutti piace un bel bocconcino – ma nessuno vuole diventarlo. Sai, noi non siamo una band commerciale. Non suoniamo musica commerciale, e lo facciamo per un motivo. Forse non vogliamo avere a che fare con tutto quello che finirebbe per soffocare la creatività.

Di cosa parla la canzone Tunic (Song for Karen), da Goo, l’album dei Sonic Youth del 1991?
Volevo immaginare Karen Carpenter (morta di anoressia, ndr) mentre suonava la batteria in paradiso, felice. Volevo parlare delle ragazze che si facevano del male e dell’associazione con l’anoressia, delle ragazze condizionate ad avere questo desiderio di compiacere gli altri – ero curiosa, per Coco: quand’è che le ragazze sviluppano questo desiderio, e perché non ne hanno altri?

Cosa pensi di Madonna?
È stata una delle figure più influenti degli anni ’80, non c’è dubbio. Quello che ha fatto per la musica pop è importante per moltissimi artisti. Credo che abbia cambiato il modo in cui la gente scrive delle donne nel rock. Non ne scrivono più senza parlare della loro sessualità. E sembra una persona intelligente. Sono felice per lei – ha avuto un figlio. Non credo l’abbia fatto per la sua carriera o cose del genere; voleva un figlio e si è data da fare, e credo che ora stia vivendo un sogno.

Che musica ascoltavi da bambina?
Mio padre aveva molti dischi jazz: Bessie Smith e Billie Holiday, Stan Getz e Dave Brubeck. Avevo un fratello maggiore che suonava musica che poi avrei ascoltato anche io, i Beatles e i Rolling Stones e tutto il resto.

Cosa pensi del concetto di “modello per i giovani”?
Credo che quando arrivi a un certo punto della tua vita, forse diventare un modello fa parte delle tue responsabilità. Ma la vedo in maniera molto personale, vorrei diventare qualcuno capace di dare consigli.

Un consiglio che vorresti dare? 

Non lasciare che le cotte diventino ossessioni.

Chi te l’ha detto?
Nessuno. L’ho appena inventato (ride).

In che modo diventare madre ha cambiato il tuo rapporto con il lavoro?
Non lo so; ho meno tempo, ma mi sento più rilassata rispetto a molte cose. So quali sono le mie priorità, le mie battaglie. Allo stesso tempo penso anche di scrivere le cose più interessanti della mia carriera.

Tu e tuo marito vi dividete il lavoro di genitori?
Devo dire che non è una divisione equa.

Tuo marito è femminista?
Credo vorrebbe esserlo, ma non capisce fino in fondo cosa significa. Ha una mentalità aperta. Forse dovrei prestargli qualche libro (ride). Qualche classico che non ho letto nemmeno io.

Qual è per te la canzone pop perfetta?
C’è questo pezzo che suono con le Free Kitten, Teenie Weenie Boppie. Mi piace molto. Parla di una ragazza che prende l’LSD e vede un uomo con dei fiori, l’uomo si trasforma in Mick Jagger, poi vola sul Tamigi e muore, il cielo si riempie di fiori ma non sai qual è il significato. È in francese – ascoltandola non diresti mai che parla di cose così macabre.

Qual è il futuro delle donne nel rock?
Tutte queste giovani cantautrici di successo… non mi interessa la musica mainstream a meno che non sia straordinaria, rivoluzionaria. E le Liz Phair e le PJ Harvey – non vendono tanti dischi. Anche se non le trovo così interessanti. Le donne non hanno ancora esplorato la musica sperimentale. Non vedo perché dovrei aver bisogno che le mie canzoni siano in tutte le radio.

Che cosa c’è di buono nel mainstream?
Qualche programma televisivo, credo. Larry Sanders – è uno show mainstream?

Questa intervista è stata pubblica sul numero del 27 novembre 1997 di Rolling Stone USA.

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